Roma, Italia, 1º Luglio 2017
Lettera Circolare 12/2017
“Creatività apostolica e missionaria”
Cari Padri, Seminaristi, Fratelli, e Novizi,
“Non si può essere apostolo senza essere creativo; e senza essere creativo non si può essere missionario”.
Da qui che per noi, che ci confessiamo “essenzialmente missionari” , uno degli elementi aggiunti non-negoziabili del carisma del nostro Istituto, è precisamente la creatività apostolica. Il quale deriva dallo stesso mandato di Cristo: Andate in tutto il mondo a proclamare il Vangelo, e come il Padre ha mandato Me così Io mando voi .
Così, in quell’Andate pronunziato dal Verbo Incarnato è implicito che la nostra è una pastorale di proposta, non burocratica, ma incisiva. Perché l’elezione degli apostoli da parte di Cristo non implica soltanto la chiamata di stare con Lui, né tantomeno l’invito ad abbandonare tutto per Lui. Nella nostra vocazione è implicita la vocazione di “andare” per fare discepoli di Cristo tutta la gente. Gesù è venuto nel mondo inviato dal Padre, e sta sempre in cerca dell’umanità perduta fin che la trovi. Noi, già sacerdoti, già seminaristi, novizi e fratelli, daremo testimonianza di appartenere alla stirpe degli apostoli solo se accettiamo di camminare con Cristo e condividiamo il suo profondo anelo per la salvezza delle anime, urgente oggi più che mai, perché “oggi, in questo andate di Gesù sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova Uscita missionaria” .
Perciò, questo “andare” comporta necessariamente un’attitudine missionaria, la quale fa che non ci accontentiamo nel rimanere chiusi nelle nostre parrocchie o case religiose, aspettando che gli altri vengano a noi, in special modo date le circostanze del mondo di oggi. Ognuno di noi deve sentirsi inviato ad ogni anima con la quale entra in contatto o a coloro che sono sotto la sua giurisdizione. Ancora di più: dobbiamo sentirci chiamati a salvare tantissime anime nel modo in cui Dio vorrà servirsi di noi. L’amore di Cristo ci spinge! , ed è lo stesso amore del Verbo Incarnato il quale ci deve spingere ad ingigantire i confini del Regno di Dio.
San Giovanni Paolo II dice che “Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio” a quelli che sono lontani da Cristo, “perché questo è il compito primo della Chiesa”. La missione dice il Santo Padre “rappresenta ancora oggi la massima sfida per la Chiesa’’ e “la causa missionaria deve essere la prima”. Riprendendo questo insegnamento il Papa Francesco ci dice: “Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa”.
Nella precedente Lettera Circolare abbiamo parlato della dimensione universale e dell’aiuto certissimo di Dio per compiere la missione a noi affidata. In questa Lettera vorrei fare riferimento all’importanza della nostra fedeltà allo Spirito Santo -protagonista di tutta la missione ecclesiale–che non solo ci spinge alla missione, ma che suscita in noi una generosa creatività di parole e di opere per far sì che il Vangelo che annunciamo diventi vita nelle divere circostanze dove noi ci troviamo, e ci permette di superare tutte le difficoltà che possiamo incontrare nella missione.
1. La missione è l’indice esatto della nostra fede
Dicono le nostre Costituzioni che “lo spirito della nostra Famiglia Religiosa non vuole essere altro che lo Spirito Santo’’ e che “solo nella più assoluta fedeltà allo Spirito Santo si può utilizzare con destrezza la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio”.
Da qui che la fedeltà allo Spirito Santo che si richiede da noi -“massima, totale e generosa”- implica da un lato la conseguente risposta di fedeltà all’amore a Dio e al carisma ricevuto (per tanto è quello che la Chiesa richiede da noi), in modo tale da poter dire con l’Apostolo: Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!. Ma, d’altro lato, questa fedeltà allo Spirito Santo è il mezzo per il quale possiamo aspettare che i nostri sforzi diano frutto. Per questo in modo molto bello le nostre Costituzioni continuano a dire: “Il nostro povero sospiro è fecondo e irresistibile unicamente se è in comunicazione con il vento di Pentecoste”. Per tanto, non si può parlare di creatività apostolica senza parlare di essere fedeli alle mozioni dello Spirito Divino.
San Giovanni Paolo II nella sua lettera magna sulla missione ripete con insistenza che “lo Spirito Santo è il protagonista della missione” e il nostro diritto proprio prende come propria quest’affermazione in varie occasioni. Giacché è lo Spirito Santo Colui che non solo “trasforma i discepoli in maniera meravigliosa” e li fa adatti a lavorare come suoi strumenti, ma allo stesso tempo agisce sugli ascoltatori e fa che la Buona Novella “si diffonda nella storia”.
Il Papa Francesco dice, a sua volta: “Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice”. Quindi “evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano’’, e che per lavorare si lasciano, inanzitutto, trasformare dallo Spirito Santo.
Ora, perché questa trasformazione dei discepoli e quest’azione dei discepoli in mezzo alle anime si possa compiere, è imperativo che noi, missionari del Verbo Incarnato, ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, viviamo il mistero di Cristo inviato, amiamo la Chiesa e gli uomini come Gesù li ha amati.
Per questo ci si indica come parte della spiritualità propria dell’essere missionari l’accettazione e l’impegno di “lasciarsi plasmare interiormente da Lui, per diventare ogni volta più simili a Cristo” e a “cogliere i doni di fortezza e discernimento, che sono tratti essenziali della spiritualità missionaria”. Perché “Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall’opera dello Spirito”. Oggi la missione, come nei tempi apostolici, continua ad essere “difficile e complessa”, per questo è assolutamente necessario che rimaniamo in intima unione con Gesù Crocifisso, animati dallo Spirito Santo, fondamentalmente e principalmente per mezzo della preghiera.
È nella preghiera dove “occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da Lui condurre in tutta la verità”, ed è lì dove noi dobbiamo impregnarci della libertà dello Spirito con il quale Dio benedice i veri umili.
Cercare Cristo nella preghiera è primordiale per noi. E questo è così, semplicemente perché essere religioso ed essere missionario, implica essere uomini di fede. Lo dice bene il nostro Direttorio: “la missione è un problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi”. Fede che deve alimentarsi dal rapporto diario con Cristo Eucaristico.
Il Beato Paolo Manna scriveva ai suoi: “Il fervore della vita di un missionario, la sua attività controllata, sapiente, industriosa, instancabile, la gioia inalterabile e la sua perseveranza nel lavoro, in mezzo alle privazioni, calamità e difficoltà, sono sempre il risultato di una vita di fede. Se la fede si offusca, anche lo zelo diminuisce d’intensità; allora nascono perfino nei più forti, la stanchezza e la depressione e si può arrivare fino alla disperazione e alla perdita della vocazione. Se il missionario vive di fede, allora è grande, è sublime, è divino; la Chiesa e le anime possono aspettarsi tutto da lui; nessun lavoro, nessuna difficoltà lo spaventa, nessun eroismo è superiore alle sue forze; ma se lo spirito di fede in lui è languido e debole, si agiterà, lavorerà senz’altro, ma poco o niente approfitteranno della sua fatica e il poco risultato delle sue opere fatte senza voglia, aumenterà la sfiducia e la depressione”.
È da qui che, prima d’inviarci, Cristo ci chiama a se; e se giorno dopo giorno lo cerchiamo nella preghiera, non ci mancherà né la forza né la creatività né l’impegno per cercare spazi di presenza, di testimonianza e di servizio apostolico e la voglia di continuare sempre avanti nel compito missionario. “Solo nelle profondità della contemplazione lo Spirito Santo può trasformare il vostro cuore; e solo se il cuore è trasformato si può adempiere al grande compito di aiutare gli altri affinché lo Spirito li guidi fino alla verità tutta intera, che è l’essenza della missione cristiana”.
Per arrivare a questa sintonia con lo Spirito Santo il Direttorio di Spiritualità segnala che dobbiamo: a) stare attenti alle sue ispirazioni, lottando contro l’abituale dissipazione, la mancanza di mortificazione e gli affetti disordinati; b) esercitarsi nel discernimento degli spiriti, e finalmente, c) esser docili e pronti nell’esecuzione a ciò che ci chiede lo Spirito Santo perché i calcoli lenti sono estranei alla grazia dello Spirito Santo, lavorando sempre contro la tentazione della dilazione, contro la paura al sacrificio e alla donazione totale e contro la tentazione di recuperare ciò che abbiamo dato cercando compensazioni, mettendo radice o facendo “nido’’ in cose che non siano Dio.
È del tutto importante sapersi “inviato da Cristo’’, giacché “non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato a evangelizzare”. Il diritto proprio, citando il magistero della Chiesa, segnala che sebbene è certo che al missionario gli viene chiesto di “rinunciare a se stesso e a tutto e a quello che ha avuto fino ad ora e a farsi tutto per tutti’’, precisamente perché il missionario è inviato, da altra parte è vero che pure sperimenterà la presenza consolatrice di Cristo, che lo accompagna in tutti i momenti della sua vita: Io sarò sempre con voi fino alla fine del mondo. Convinti di ciò, dobbiamo metterci in cammino senza temere, anzi, con audacia per portare avanti con costanza e generosa dedizione, tutto ciò che lo stesso Spirito Santo ci suggerisca.
2. L’ardente fervore missionario
Se il missionario non solo è un uomo di fede, ma è anche “l’uomo della carità’’, è definitivamente necessario che ci nutriamo dello stesso Spirito d’Amore, che è lo Spirito Santo; che ci lasciamo guidare e ispirare da Lui, e che “facciamo posto” nel nostro cuore perché questo si riempia dello zelo che con sana invenzione ci farà “andare’’ con piena disponibilità alla ricerca delle anime, superando ogni ostacolo.
Chiaramente insegna il Concilio Vaticano II: “Tali disposizioni interne devono essere diligentemente promosse e coltivate già fin dal tempo della formazione, nonché elevate e nutrite attraverso la vita spirituale. Il missionario, animato da viva fede e da incrollabile speranza, sia uomo di preghiera; sia ardente per spirito di virtù, di amore e di sobrietà; impari ad essere contento delle condizioni in cui si trova; porti sempre la morte di Gesù nel suo cuore con spirito di sacrificio, affinché sia la vita di Gesù ad agire nel cuore di coloro a cui viene mandato; nel suo zelo per le anime spenda volentieri del suo e spenda anche tutto se stesso per la loro salvezza, sicché nell’esercizio quotidiano del suo dovere cresca nell’amore di Dio e del prossimo’’.
Per questa ragione, insiste il diritto proprio che i nostri religiosi coltivino già dagli inizi della formazione “un grande amore per le virtù che formano la base della crescita spirituale, tali come l’umiltà, la carità e la docilità verso i superiori”. “Giacché difficilmente saranno adatti per la missione quei tipi di personalità che ‘sanno tutto’, che ‘litigano con tutti’, che trovano difetti in tutto, discutono di tutto o non ascoltano né obbediscono nessuno tranne quando gli altri concordano con quello che loro pensano’’. Il motivo di questo è molto semplice: perché “Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. E se Dio resiste ad un missionario, costei che cosa potrà fare?”.
Ognuno di noi deve tenere sempre presente che “i voti non ci dispensano della propria iniziativa apostolica, e di cercare intensamente nel rapporto con Dio, la volontà di Dio nelle diverse circostanze, assecondando le mozioni dello Spirito Santo”. Questo è ciò a cui noi ci riferiamo generalmente quando diciamo che “si deve avere un motore proprio”. Iniziativa apostolica e obbedienza sono due realtà che non si possono opporre in modo dialettico l’un l’altra. L’iniziativa personale non esclude né va contro l’obbedienza, e questa non deve escludere tale iniziativa; ambedue le realtà devono essere armonicamente unite.
Per questo il nostro Direttorio di Missioni Ad Gentes stabilisce che: i nostri religiosi “devono prepararsi con una formazione spirituale e morale speciale, per un dovere così elevato. Devono, dunque, essere capaci di prendere iniziative, costanti per portare a compimento le opere, perseveranti nelle difficoltà, sopportando con pazienza e fortezza la solitudine, la stanchezza e il lavoro che non da frutti”. Lo stesso ci ricordavano i Padri del recente Capitolo Generale del 2016, quando si parlava della formazione dei nostri religiosi come missionari: “è necessaria una profonda visione di fede, illuminata particolarmente dal mistero dell’Incarnazione. [Questo] richiede di riflettere e meditare su come si sarebbe adattato il Verbo a questa cultura concreta, a quella del proprio posto di missione; e in quale modo il Suo mistero illumina questo essere e questo fare umano concreto”.
Per illustrare ciò che stiamo dicendo vorrei citare qui questa pagina magistrale di San Manuel González il quale con competente stilo scrisse: “Con quello zelo che inquieta, che disorienta, che toglie il sonno, che fa delle anime dei fedeli un’ossessione per il prete, è questo lo zelo con il quale lui impara a farsi tutto per tutti ed è questo zelo ciò che dà questa adattabilità ai mestieri, condizioni, caratteri e circostanze tanto necessarie per essere padre a tante classi di figli’’. E continua il santo: “Questo zelo è quello che da al sacerdote quest’abilità e flessibilità per farsi agricoltore con i lavoratori, avvocato con i penitenti, falegname, muratore e di qualsiasi altro mestiere, quando c’è da fare un’opera di questa e non c’è denaro per pagarla; bimbo con i bimbi, giovane con i giovani, adulto con gli adulti. Questo zelo, per ultimo, è quello che mette sulla faccia del sacerdote quell’inalterabile sorriso che accoglie tutti e tutto, ciò che è gradevole e ciò che è sgradevole, e nella sua bocca quella parola sempre tranquilla ed affettuosa; è quello che spinge la sua mano a portarla molte volte nel proprio portamonete, svuotandolo nella tasca dell’altro. Sì, lo zelo fa veri miracoli d’iniziativa, d’improvvisazione, di dominio di se stesso, di generosità senza condizioni e senza limiti”. Perciò dico che, se questo solo annida nel cuore del vero missionario, allora lì fiorirà la vera evangelizzazione.
Impregnati dello Spirito di Cristo, che è lo Spirito Santo, Lui stesso ci ispirerà ad aprire nuovi cammini perché il messaggio del Figlio di Dio penetri nei cuori e nei punti d’inflessione della cultura, istruendoli nella lettura dei segni dei tempi e così staremo all’avanguardia della rinnovazione voluta dalla Chiesa; rispondendo efficacemente e completamente alle esigenze del presente. San Giovanni Paolo II scrisse: “è lo Spirito Santo colui che spinge ad annunciare le grandi opere di Dio”.
E in questo annunciare le opere di Dio, è quasi come conseguenza naturale dell’azione dello Spirito Santo suscitare, nel cuore dei missionari, iniziative di ogni classe, perché con grande slancio ed entusiasmo, ognuno non solo s’imbarchi nella nobile impresa di salvare le anime, ma anche si moltiplichino i modi e la ricerca di occasioni per l’annuncio evangelico.
Per questo noi diciamo che non vogliamo “tralasciare nulla di intentato perché l’amore di Cristo abbia il supremo primato, nella Chiesa e nella società”. Allora, dall’incontenibile sollecitudine che sgorga dalla nostra coscienza pienamente responsabile del mandato e dell’amore di Cristo, sorge questo zelo per le anime. “Tutto il nostro lavoro missionario ed apostolico si basa nella convinzione che è necessario che Lui regni”. Da qui che a noi non ci “basta un’atteggiamento semplicemente conservatore”, ma piuttosto sperimentiamo un’appassionata “impazienza per predicare il Verbo in tutte le forme seguendo il consiglio di San Paolo: predica la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta…”. Perché come ben diceva il venerabile Vescovo Fulton Sheen: “grandi sforzi senza lo Spirito sono impazienza, invece l’impazienza mossa dallo Spirito Santo è zelo per le anime”. Per tanto, consideriamo che è la nostra felicità sacerdotale – e quella del seminarista, del monaco, del fratello e del novizio il consumarsi e il prodigarsi per la salvezza delle anime.
Dato che “la stessa vita consacrata, sotto l’azione dello Spirito Santo, si rende missione”, siamo convinti che nella nostra consacrazione religiosa, l’intimità, la ricchezza e la stabilità del nostro vincolo speciale con lo Spirito Santo sono alla radice di questo zelo, di questa passione per la missione, e di questa creatività missionaria che caratterizza la nostra Famiglia Religiosa.
Da noi si richiede che siamo “coraggiosi nell’operare’’ e che ci distinguiamo per “la genialità e il coraggio” del nostro apostolato. Come missionari del Verbo Incarnato questo è ciò che ci appartiene e questo è lo spirito che ci è stato legato: non calcolare quanto costi essere servo di Cristo e del suo Vangelo, essere audaci in tutte le nostre imprese apostoliche poiché in queste c’imbarchiamo confidando nella Divina Provvidenza che mai smette di assisterci e ci fa andare avanti in tutto; e per questo chiediamo a Dio incessantemente la grazia di “conservare e coltivare il fervore spirituale e la gioia dell’evangelizzare, incluso quando dobbiamo seminare tra le lacrime”, perché Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza… e non ci vergogniamo dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro.
In comunione con il vento di Pentecoste, siamo chiamati ad essere disponibili per il “ministero della Parola senza frontiere, guidati per ragioni d’urgenza, opportunità ed efficacia al servizio del Regno di Dio”; perché siamo convinti che essendo della “stirpe degli apostoli’’ abbiamo ricevuto tutto l’ampio mondo come i cinque talenti che ci tocca far fruttificare, e per questo non rinunciamo a priori a nessuna forma di apostolato né vogliamo risparmiare nessun sforzo per portare il Vangelo di Gesù Cristo in tutte le parti. Già lo dicevano i Padri Capitolari nel 2007: “nessuna opera di apostolato ci è estraneo, precisamente perché niente di ciò che è autenticamente umano ci è estraneo”. E perché, analogamente con il mistero dell’Incarnazione, che è al centro della nostra spiritualità e carisma, e nel quale il Verbo ha assunto la natura umana completa e perfetta, dobbiamo essere convinti che dobbiamo arrivare a tutti gli uomini e a tutti gli ambiti che possano essere assunti dal Vangelo, giacché “non fu redento quel che non fu assunto”.
Per questo noi vogliamo e dobbiamo essere missionari seguendo l’esempio del Verbo Incarnato e al modo degli apostoli e della moltitudine dei santi missionari che ci hanno preceduto, completamente dediti alla missione “con uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere”, “non tristi ne scoraggiati”, ma tramite una vita donata alla causa di Cristo, irradiando il fervore di aver ricevuto l’allegria di Cristo, e persuasi che è un onore per noi il consacrare la nostra vita “affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo”. È questo il nostro impegno: sia la nostra missione una parrocchia in mezzo all’indifferenza delle grandi città, sia in un paese isolato; sia che lavoriamo in un’università o nella cura degli orfani e dei disabili; sia pure che ci troviamo nel chiostro, oppure che siamo stati ‘lasciati da parte’ a causa di malattieovunque andiamo “essendo relegati’’ per ragione di malattia o di età ad un’apparente inattività”. Perché dovunque noi vogliamo essere il sale della terra e la luce del mondo; sale che dia un’ispirazione nuova alla società, luce che orienti verso orizzonti eterni.
Perciò, anche se alcuni considerino che sia “strampalato” ed addirittura alcun altro affermi “che non sia prudente’’ “intraprende opere con pochi mezzi, in povertà di ricorsi e di personale; e fare grandi sacrifici per intraprendere nuovi apostolati o missioni; scegliere ed accettare i luoghi più difficili” per andare in missione, noi che vogliamo essere ogni volta più fedeli alla nostra spiritualità “ancorata al mistero sacrosanto dell’Incarnazione”, intendiamo -come consta nelle Note dell’ultimo Capitolo Generale- che “vivere da esso [dal mistero dell’Incarnazione] comporta una costante chiamata alle virtù della trascendenza e dell’annientamento”; e che, anche se a qualcuno questo gli possa essere scomodo, noi non vogliamo né possiamo rinunciare alla nostra identità.
Sosteniamo che, sebbene sia certo che da noi si richiede che siamo “religiosi che vivono al massimo la povertà”, non è meno certo che, per le opere di apostolato, abbiamo bisogno di mezzi materiali proporzionati e che per tanto essere anche “magnanimi e munifici nell’intraprendere le opere apostoliche, secondo la volontà di Dio, senza indietreggiare a causa delle difficoltà e delle spese che si devono realizzare nei diversi compromessi apostolici, confidando per questo nella Divina Provvidenza. Specialmente nelle case di formazione, nell’educazione, nei mezzi di comunicazione sociale, nelle pubblicazioni, nelle missioni, nell’attenzione ai più bisognosi, ecc.”.
D’altra parte, vorrei sottolineare che tutti gli apostolati propri hanno grande validità, e quando parliamo di “creatività apostolica e missionaria’’ non stiamo dicendo che dobbiamo guardare “quello che fanno gli altri’’ per imitarlo, andando in contro di ciò che ci è proprio. Anzi, i nostri apostolati propri non solo conservano tutta l’attualità, ma addirittura la Chiesa ci ha inviato a svolgere precisamente questi apostolati dal momento che ci ha dato la missione canonica, il giorno della nostra approvazione come istituto religioso. Per questo quando parliamo di “creatività missionaria’’ ci riferiamo alla debita adattazione che questi richiedono (“secondo le diverse circostanze del tempo, posti, cultura”) perché siano veramente “mezzi privilegiati dell’evangelizzazione, di testimonianza e promozione umana”, per farli sempre vigorosi, di maggior raggiungimento e importanza, opportuni, up-to-date, sapendo cercare nuovi spazi, senza timore ad “intervenire’’ nel fare il bene, incoraggiandosi ad arrivare agli areopaghi moderni dove il messaggio del Vangelo può avere maggiore inserimento, ecc. Senza che questo sia a scapito della propria identità o ci allontaniamo dall’intenzione evangelica fondazionale, anzi, tutto il contrario!, si tratta di prendere dal nostro tesoro il nuovo e il vecchio .
Questa “creatività apostolica’’ è chiesta dalle nostre stesse Costituzioni quando dicono: “Vogliamo assumere, nella misura del possibile, senza lasciare i mezzi tradizionali di apostolato, i moderni campi che si aprono all’attività della Chiesa. La sana creatività è un elemento essenziale della Tradizione viva della Chiesa. Non dobbiamo avere paura, è Cristo stesso che c’invita: Prendere il largo!”.
Ed in un altro posto, il diritto proprio ci indica: “la missione, di suo, accetta una grande creatività, sempre che si rispetti l’essenziale: che si predichi l’autentico Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, che si cerchi efficacemente la conversione di coloro che sono nel peccato, che si abbia una rinnovazione in profondità della vita cristiana, che si preveda la perseveranza degli stessi”.
Lungi da noi una “pastorale di mantenimento”, senza entusiasmo, senza incisività, senza contatto con le persone, da scrivania, che è disconnessa dalla realtà e che aspetta che le anime vengano a bussare alla porta. Giacché questa “pastorale” è, in definitiva, nominalista, superficiale, di attesa e non di proposta- come chiede la Chiesa e noi la vogliamo- e per tanto non attira, non trasforma, non muove ai grandi ideali e produce pochi frutti.
Per tanto, le scuse di mancanza di tempo, di mancanza di aiuto, di essere circondato da “visi lunghi”, di mancanza d’infrastruttura, o i pretesti nati dell’eccessiva preoccupazione per la salute, dell’ansietà provocata dell’esagerata pretesa “di condizioni ideali”, o la tanto comune tentazione di pensare che “nessuno vede quello che facciamo”, o nel farsi uno scudo nell’affermazione “io non sono il responsabile” per smettere di lavorare nella ricerca di nuove iniziative, ecc., non devono mai inibirci, paralizzarci o dissuaderci di muoverci per tentare almeno che altri amino e servino Gesù Cristo e di fare sempre ancora di più e cercare sempre il meglio per Cristo. È precisamente lì, in queste circostanze, dove dobbiamo esercitare la nostra creatività apostolica. Di fatto, quante volte, giustamente per queste stesse difficoltà affrontate con fortezza, con creatività, con perspicace ingegno, Dio ha benedetto e benedice i nostri apostolati con grandissimo frutto. Mai siamo più autenticamente del Verbo Incarnato come quando cerchiamo “d’impadronire per Gesù Cristo tutto l’autenticamente umano, ancora di più nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse”, perché questo è il nostro carisma.
Cari Tutti: ciò che è tipicamente nostro è “orientare l’anima per grandi azioni…”, è “impegnare le proprie vite affinché gli altri abbiano vita e speranza”, è l’andare avanti spinti da “uno zelo instancabile per le anime, con spirito di sacrificio, con pazienza, con misericordia…” fondando “tutto il nostro entusiasmo apostolico” solo in Cristo e nell’aiuto ineffabile della nostra Madre Santissima.
In questo senso, vorrei citare qui, per edificazione di tutti e come esempi concreti di entusiasmo missionario, il lodabile sforzo dei nostri, per esempio, nel lanciarsi a costruire essendo loro stessi in situazione di grande necessità, confidando che Dio darà i mezzi per le vocazioni che ci manda (come il caso del Noviziato in Tanzania e del Seminario e Noviziato nelle Filippine); o il desiderio quasi incontenibile dei nostri monaci di aprire più monasteri – il ché implica grande sacrificio- nell’ ordine a moltiplicare presenze d’intercessione e di preghiera in un mondo che ogni volta ha più bisogno di esse; la dedicazione e l’impegno con il quale i nostri lavorano per andare avanti e incluso espandere il “Progetto Fabro” con pubblicazioni di qualità in spagnolo e in inglese (incluso in russo); le offerte fervorose di tanti religiosi per andare ai posti difficili (incluso dove i missionari sono perseguitati e uccisi); nel non rigettare sforzi per l’arido compito di imparare lingue difficili (come l’arabo, il cinese, il russo, le lingue germaniche, il lituano e tanti differenti dialetti); l’intenso e arduo lavoro che si fa in parecchie giurisdizioni per le Giornate dei Giovani, delle Famiglie, sempre preoccupati “di contare con i mezzi per dargli un’attenzione spirituale più regolare, e una formazione più completa e solida”; l’apostolato di grande frutto che significano i Volontariati; tutto questo unito alla grande forza che da a tutta l’opera missionaria, in quei luoghi dove si fa, lavorare insieme alle nostre Suore; come così anche, l’occulto però magnifico compito di conservare il buono spirito e seminare la Buona Novella che realizzano coloro che lavorano nelle distinte pagine web dell’Istituto. Voglio anche evidenziare la dedizione con la quale molti dei nostri lavorano affannosamente portando avanti la formazione di tanti candidati al sacerdozio e alla vita Consacrata (133 è il numero attuale di postulanti e novizi e più di 350 coloro che si stanno formando); come anche il silenzioso e abnegato apostolato della direzione spirituale, dell’insegnamento e dell’assistenza nel governo e nelle missioni che circa 200 dei nostri sacerdoti prestano alle Sorelle Servidoras.
Dunque, anche se abbiamo molti, moltissimi esempi valorosissimi e occulti ai nostri occhi, ma ben presenti agli occhi di Dio, bastino questi come dimostrazioni palpabili e fattibili, sempre che abbiamo nell’anima e nel cuore il senza di Me non potete far nulla che disse il nostro Signore. Solo Dio sa le molte iniziative apostoliche che per sua grazia e generosità nostra si potranno realizzare. Il destino di una nazione intera può essere trasformato radicalmente per il tempo e per l’eternità dipendendo dalla fedeltà e generosità con la quale seguiamo le ispirazioni che lo Spirito Santo ci dà nel fondo della nostra anima. Questo, di fatto, è successo molte volte nella storia dell’evangelizzazione dei popoli. Teniamolo sempre presente.
3. Tribolazioni apostoliche
Sarebbe una visione miope della realtà, ignorare o negare le difficoltà delle diverse indoli -interne ed esterne- che si presentano nella missione. E senza trattenermi ad elencarvele dettagliatamente vorrei ricordarvi questo: le difficoltà sono parte del nostro cammino, e a volte sembrano insuperabili, ma non ci devono scoraggiare, perché il compito di salvare le anime non è un’opera meramente umana, ma divina. E Lui stesso che pronunciò Andate in tutto il mondo a proclamare il Vangelo fu lo stesso che disse: Non abbiate paura! Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo; Confidate in me, io ho vinto il mondo.
Oggi giorno, per grazia di Dio, il nostro Istituto si trova nei cinque continenti, maggiormente nei paesi dove prima camminarono santi missionari, uomini superiori, per mezzo dei quali lo Spirito Santo ha operato meraviglie.
Alcuni furono uomini eminenti per la loro intelligenza ed insegnamenti, come fu il caso del nostro caro San Giovanni Paolo II, il grande missionario planetario, che fino alla fine dei sui giorni continuò dicendo: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!”; “Alzatevi! Andiamo!”.
Altri per la loro grande abilità per parlare la lingua del posto, o per il loro tatto nell’assomigliarsi e nel trattare con le diverse persone, come fu il caso del gran missionario Matteo Ricci, italiano, che trascorse quasi 28 anni in Cina. “Dove c’è amicizia c’è buon risultato”, pregava uno dei suoi adagi. E con la sua caratteristica simpatia verso il popolo cinese, accettandone la sua storia, la sua cultura e la sua tradizione, si fece “cinese con i cinesi”, e questo lo convertì in “una preziosa catena d’unione tra Occidente ed Oriente, tra la cultura europea del Rinascimento e la cultura Cinese, così come, reciprocramente, tra l’antica ed elevata civilizzazione cinese ed il mondo europeo”.
Altri si distinguerono per la loro grande visione strategica e per la loro laboriosità per la missione, come fu per esempio il caso di Santo Toribio di Mogrovejo, missionario spagnolo, che a 42 anni fu nominato arcivescovo di Lima. Girò, maggiormente a piedi, tre volte la sua Arcidiocesi che a quel tempo includeva il Perù, la Bolivia, il Cile, l’Equador, la Colombia, la Venezuela e una parte dell’Argentina. Era solito dire: “Il Nostro gran tesoro è il momento presente. Lo dobbiamo approfittare per guadagnare con lui la vita eterna. Il Signore Dio ci chiederà strettamente di rendere conto del modo in cui abbiamo impegnato il nostro tempo”. È stato lui a fondare il primo seminario d’America e incrementò di un centinaio il numero delle parrocchie nell’arcidiocesi. Sua è la frase che preghiamo nella nostra formula della professione, quando diciamo che impegnamo tutte le nostre forze per “non essere schivi all’avventura missionaria”.
E potremmo continuare ad elencare innumerevoli esempi di missionari coraggiosi, dedicati a qualsiasi lavoro, pronti per qualsiasi impresa. Qualunque sia il caso, quello che è certo è che non sono state né solo le loro doti naturali, né solo la loro capacità organizzativa, né solo i molti mezzi materiali le cose che fecero di essi grandi missionari. È stata soprattutto la coscienza della propria inutilità e la donazione generosa con abbandono totale e fiducioso nell’amore onnipotente e provvidente di Dio, ciò che fece di loro grandi missionari e di più, missionari santi, che si lasciarono portare dal vento dello Spirito Santo, convinti della verità e dagli insegnamenti di San Paolo: “che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere… Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio”.
L’opera della salvezza dell’umanità, della quale noi siamo – per pura grazia ed elezione divina- collaboratori, è un’opera eminentemente divina, di una grandezza tale che supera le dimensioni e possibilità delle forze umane; e per tanto, solo si può realizzare se noi accettiamo e confidiamo pienamente nell’onnipotenza e bontà illimitata del nostro Dio. Questo fu il segreto dei santi, l’anima del loro zelo, della loro perseveranza e del loro trionfo; questo è il sublime insegnamento che ci hanno lasciato e che io vorrei che teniamo sempre presente.
Tutti, prima o poi, siamo purificati nel crogiolo delle tribolazioni apostoliche. Tuttavia, dobbiamo essere coraggiosi ed entusiasti nei nostri apostolati, senza lasciare che le difficoltà, la mancanza d’aiuto, l’affanno di vedere grandi frutti, l’incertezza del futuro, l’ingratitudine degli stessi benefattori, le mancanze di forze fisiche e le desolazioni dell’anima, ci scoraggino, ci tolgano l’entusiasmo, o ci distolgano dall’opera cominciata. Perché “la grazia di Dio si realizza pienamente nella debolezza”.
Insieme al Padre Spirituale della Nostra Famiglia Religiosa, vi ripeto: Nessuno si perda d’animo! Nessuno si lasci smarrire nei momenti delle difficoltà e delle eventuali sconfitte! Nessuno si lasci vincere dalla tentazione dell’inutilità degli sforzi.
Anche San Giovanni Bosco alcune volte scriveva ad un parroco sconfortato: “lei, stia tranquillo. Non parli di liberarsi della parrocchia. C’è da lavorare! [Si dica a se stesso:] morire nel campo del lavoro come un buon soldato di Cristo. Non valgo per niente? tutto posso in colui che mi dà forza. Ci sono delle spine? con le spine trasformate in fiori gli angeli intrecceranno per lei una corona nel cielo. I tempi sono difficili? Sempre lo sono stati, ma Dio mai ha mancato col suo aiuto. Christus heri et hodie.”. E in un’altra occasione diceva ai suoi: “lavorate tutti con zelo e ardore: lavoro, lavoro! Affannatevi sempre e instancabilmente per salvare le anime”. Questo stesso dobbiamo fare noi, “avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuol mormorare”. Quello che importa è dare un passo, un passo in più, sempre è lo stesso passo che torna a ricominciare”.
È certo che molte volte “ogni mattone è una croce, ogni pietra una sofferenza. Le lacrime le uniscono. Così hanno costruito i santi” , così dobbiamo costruire noi. Anche se a volte sembra che Dio si compiaccia di moltiplicare le difficoltà, che ci sofferma ed inchioda nell’impotenza e anche se vogliamo, non possiamo: Confidiamo sempre! Nostro Signore è nostro! Andiamo a Lui con fiducia. Le anime aspettano molto da noi. Non le deludiamo nella donazione generosa.
Vorrei finalmente fare menzione qui della testimonianza coraggiosa e tante volte eroica di vari dei nostri che in posti difficili di missione ci danno esempio di perseveranza e ci dimostrano che la vera regalità -come ci ha insegnato Colui il cui regno non è di questo mondo– si trova nell’allegria dell’abnegazione e nell’essere tenuto per nulla. Ad essi, che non si accontentarono semplicemente con passare per questi posti difficili, e senza perdersi d’animo davanti alle difficoltà, rimangono lì, anche se ancora dovrà trascorrere tanto tempo perché dalla loro semina del Vangelo si possano vedere alcuni frutti, esprimo la nostra sincera gratitudine e riconoscenza, perché la lampada della loro fede e della loro carità brilla con più purezza. E nessuno che così si dona, può perdersi. Continuiate ad essere sempre fedeli!
Alla Madre del Verbo Incarnato e Regina degli Apostoli, affido tutte le opere apostoliche del nostro Istituto come così anche i progetti e quelli che in un futuro Dio vorrà ispirare alle nostre anime. Infonda Lei nei nostri cuori il fervoroso zelo che animò il suo. Ci aiuti in tutto questa nostra Madre, nella quale confidiamo e che è il nostro ideale missionario. Ave Maria e avanti!
Evviva la missione!
P. Gustavo Nieto, IVE
Superiore Generale