Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi

Pumpenai, Lituania, 1 aprile 2019.

Lettera Circolare 33/2019

Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi

Gal 5, 1

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

Tra due settimane dovremmo celebrare solennissimamente la Settimana Santa, chiamata proprissimamente, la Settimana Maggiore di tutta la Cristianità. Durante questa settimana dobbiamo contemplare Gesù Cristo Crocifisso e Risorto, il quale “ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità, liberandoci da ogni schiavitù del peccato, dalla pena del peccato, dalla morte, dal potere del diavolo e della legge mosaica”. 

E per questo si incarnò quale Figlio di Dio: e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita , come ci insegna l’apostolo S. Paolo.  

Essendo il Mistero Pasquale di Cristo fonte inestinguibile di spiritualità, deve illuminare sempre le nostre vite affinché possiamo raggiungere la nobile aspirazione di essere esperti nella scienza della croce, nell’amore alla croce e nell’allegria della Croce –come tanto saggiamente ci indicano le nostre Costituzioni–; per vivere da risorti, secondo la Legge Nuova, –lo Spirito Santo–, la libertà dei figli di Dio propria dell’uomo nuovo, sempre con immensa allegria e con grande impegno per la missione.

Probabilmente, al giorno d’oggi, una delle parole più usate nello scenario contemporaneo è “libertà”. E così vediamo come molti concepiscono questo essere liberi –o il vivere da risorti– come liberarsi da ciò che in qualche modo li restringe esteriormente. Perciò detestano la disciplina, cadono nell’indulgenza della carne e sono indifferenti alla verità. Non sono pochi quelli che, per di più, amano una religione che si adatti ‘al proprio modo di vivere’ o una vita religiosa ‘a modo proprio’. Per questo stesso motivo, non sono mancati né mancano falsi profeti che diluiscono la dottrina per rendere la ‘religione’ o la ‘vita religiosa’ –e compresa la stessa vita cristiana– più popolare (in senso errato) al punto tale che è difficile distinguerla da un movimento secolare e mondano. Ma non è questa la libertà ottenutaci da Cristo. 

La libertà che il nostro Redentore ha ottenuto per noi è quella libertà interiore della perfezione, non per scegliere il male ma per possedere il bene. Questa è esattamente quella libertà che la cultura dominante, l’uomo dei nostri tempi, non vuole, poiché implica, fra l’altro, responsabilità e sacrificio.  

Per questo noi, religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato, come coloro che vogliono mostrare con la propria vita che Cristo vive, dobbiamo oggi e sempre “vivere come risorti, cosa che implica –come esplicitamente indica il Direttorio di Spiritualità– il cercare le cose di lassù, dove siede Cristo alla destra di Dio; [il] pensare alle cose di lassù, non a quelle della terra; vivere cioè nella libertà dei figli di Dio, che non sono schiavi:

  • né degli elementi del mondo;   
  • né della lettera che uccide;    
  • né dello spirito del mondo

perché non dobbiamo sottometterci al giogo della servitù… (altrimenti) Cristo non ci gioverebbe a nulla”.

Il Venerabile Arcivescovo Fulton Sheen diceva che “la radice del nostro problema è che la libertà per e in Dio è stata interpretata come un liberarsi di Dio. La libertà è nostra per darla. Ognuno di noi rivela qual è il senso della propria vita dal modo in cui usa della propria libertà. Coloro che volessero conoscere il senso supremo del modo in cui usare la propria libertà devono contemplare la vita di Nostro Signore e Nostra Signora”. 

Per questo vorrei invitare tutti, durante le prossime celebrazioni del Mistero Pasquale, a contemplare il nostro Redentore nella sua Passione: Egli, dal pulpito della croce e con le mani inchiodate spalancò i cancelli della libertà perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia….

1. Gesù Cristo, l’unico Re che merita di essere servito.

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo, ci ha insegnato il Verbo Incarnato.

Tutta la scena del Calvario è permeata dalle parole di nostro Signore, perché in esse si rivela la suprema lotta di ogni anima: la lotta per preservare la nostra libertà spirituale. Non possiamo servire Dio e il denaro; non possiamo salvaguardare la nostra vita nel tempo e nell’eternità; non possiamo festeggiare qui e nella vita eterna; o digiuniamo ora e festeggiamo in cielo, o festeggiamo qui e digiuniamo nell’eternità.

“Oggi si è estesa di gran lunga la gamma di abusi della libertà, e questo conduce a nuove forme di schiavitù, molto pericolose, perché mascherate sotto apparenza di libertà”. In nome di questa falsa libertà, o meglio, ‘schiavitù moderna’, molti vogliono la resurrezione senza passare per la passione. E perciò non vogliono sentir parlare di penitenza, di purificazioni attive e passive, di lotta contro il mondo, il demonio e la carne, dell’urgenza della missione, dell’obbedienza, di una seria spiritualità, dell’importanza insostituibile della vita di orazione, etc. Tutti elementi che fanno parte del normale cammino di santificazione proposto da Cristo. 

Tutto quest’ambiente attuale farà sì che, molto probabilmente, rispetto al vivere la nostra libertà con Cristo, ce la passeremo “male”. È una realtà inevitabile – come impariamo bene già dai tempi del Seminario –. Pertanto, non dovrebbe sorprenderci il costatare nelle nostre vite ciò che lo stesso Signore ci annunciò: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, […] il mondo vi odia. E ciò che si dice del mondo, deve applicarsi anche ai mondani, siano essi laici, religiosi (o ex), sacerdoti o vescovi. Nonostante tutto, per noi, l’importante è tener sempre presente che la vera libertà consiste nel conservare nostra la ‘nostra’ anima, anche se dovessimo perdere il corpo per preservarla.

Talvolta potremo preservarla facilmente, ma potrebbero sorgere occasioni che esigano perfino il sacrificio della nostra vita, come nell’esempio datoci dagli innumerevoli martiri lungo il corso la storia della Chiesa, i quali per salvare la propria anima e continuare ad essere fedeli a Dio, considerarono un nulla perdere le proprie vite. Di loro si dice che, per essere liberi hanno disprezzato la loro vita fino a morire

Per tutti viene il momento supremo nel quale bisogna scegliere tra il piacere temporale e la libertà eterna. Non una, ma molte volte nella vita, in distinte circostanze e a vari livelli. A nostro Signore si presentò in modo molto chiaro sul Calvario e mantenne la propria anima libera anche a costo della vita. Si abbassò alla schiavitù corporea della Croce per conservare la Sua anima ‘Sua’ e consegnarla Egli stesso nelle mani del Padre. 

Cristo consegnò la sua maestà alla supremazia dei suoi nemici; schiavizzò le sue mani e i suoi piedi ai suoi chiodi; sottomise il suo Corpo alla tomba; consegnò il suo Santissimo Nome al disprezzo dei suoi nemici; versò il suo Preziosissimo Sangue restando irremovibile davanti alla lancia; sottomise la sua consolazione ai dolori dai suoi nemici; e mise la sua vita ai loro piedi, come un servo.

Ma conservò il suo spirito sempre libero per se stesso. Cioè, Cristo consegnò il suo Corpo all’accanimento degli uomini ma non la sua anima. Perché sapeva che mantenendo la propria libertà, avrebbe potuto recuperare tutto ciò che già aveva consegnato nelle loro mani. I suoi nemici lo sapevano, e per questo tentarono di schiavizzare il suo spirito con tutti i mezzi, sfidando il suo potere: Scenda ora dalla croce e crederemo in lui.

Se Gesù Cristo avesse avuto il potere di scendere dalla croce e, senza dubbio si negò, dunque in realtà non era un prigioniero crocifisso ma un giudice nel proprio tribunale ed un re sul suo trono. Se Egli avesse avuto il potere di scendere dalla croce, e di fatto fosse sceso, si sarebbe sottomesso alla volontà dei suoi nemici e, pertanto, si sarebbe convertito in loro schiavo, desacralizzato e calpestato il dono prezioso della libertà.

Cristo si rifiutò di fare ciò che è umano, di scendere dalla Croce. Fece ciò che è divino! E, nel farlo, mantenne la sua anima ‘sua’. Avendo conservato il suo spirito per se stesso, Cristo era signore di se stesso. Questo è il modello al quale dobbiamo conformare le nostre vite, perché non ci si aspetta meno da noi: “Vogliamo formare anime sacerdotali e di sacerdoti che non siano ‘tributari’. Che vivano in pienezza la regalità e la signoria cristiana e sacerdotale”, dicono le nostre Costituzioni.

Per questo ci si esorta vivamente a una vita di signoria, cioè: 

a) Signoria su se stessi: giacché nella misura in cui l’uomo trionfa sul peccato, domina gli incentivi della carne e governa la propria anima e il proprio corpo. Pertanto, il religioso, nella misura in cui sottomette completamente la propria anima a Dio, giunge ad una situazione di indifferenza e distacco dalle cose del mondo, che non vuol dire impotenza ma, al contrario, una volontà dominatrice e libera, capace di dedicarsi alle cose senza lasciarsi dominare da esse. 

b) Signoria sugli uomini: poiché nella misura in cui il religioso si dà generosamente al servizio di Gesù Cristo, l’unico Re che meriti di essere servito, acquisisce una regalità effettiva, oltre che spirituale, sugli uomini, sia su chi ha autorità sia su chi ne abusa. Poiché prende su di sé il peso dei loro peccati e delle loro pene, per un amore umile e servizievole che giunge fino al sacrificio di se stesso.  

c) Signoria sul mondo, e ciò in due modi: 

Uno, collaborando con il mondo della creazione attraverso il lavoro ed il mondo della redenzione per mezzo dell’apostolato. Affinché questa regalità sia effettiva, sarà necessario che, pur dedicandosi alle cose, vi sia, allo stesso tempo un distacco ed una disaffezione da esse. 

L’altro, rifiutando il mondo, sia per lealtà verso lo stesso mondo che deve esser stimato come mezzo e non come fine, sia per lealtà a Dio, resistendo alle concupiscenze, tentazioni e peccati del mondo; essendo indipendenti di fronte alle massime, burle e persecuzioni del mondo e dipendendo solo dalla nostra retta coscienza illuminata dalla fede; disposti al martirio per lealtà a Dio, fatto che costituisce il pieno e totale rifiuto del mondo perverso.

Credo resulti molto fruttuoso durante questi giorni di Quaresima contemplare e costatare il fatto che nostro Signore mantenne il suo spirito libero al più terribile dei costi, per ricordarci che nemmeno il timore di una crocifissione è motivo per abbandonare la più gloriosa di tutte le libertà: il potere di consegnare la nostra anima a Dio.

Nella misura in cui ci manteniamo inamovibili nel nostro proposito come religiosi del Verbo Incarnato, cioè: “cercare la gloria di Dio e la salvezza delle anime, quelle nostre e dei nostri fratelli, praticando, soprattutto, le virtù che più di tutte ci fanno partecipare all’annientamento di Cristo” ed investire tutte le nostre forze ad inculturare il Vangelo, possiamo dire che avanziamo verso la meta. Proposito che dobbiamo conservare intatto come Cristo conservò il suo spirito: “Un vero religioso al contrario, deve amare il suo Istituto e conservare una stretta fedeltà ad esso, che lo ha generato alla vita religiosa, fino a tal punto, se è necessario, di dare la propria vita”. Questo e non meno è ciò che ci si aspetta da noi. Agire diversamente sarebbe come comportarsi da nemici della croce di Cristo.

Una delle ultime parole di Cristo sulla croce: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito dimostra che nostro Signore mai perse di vista il suo obiettivo e, giacché non lo fece, sacrificò tutto il resto per mantenersi libero per raggiungerlo. 

Questa fu la raccomandazione della Sapienza incarnata al giovane ricco: va e vendi quello che possiedi, affinché potesse correre più perfettamente per il cammino verso la vita eterna. Lo stesso Nostro Signore lasciò tutto, incluso la vita, ed in questo modo ci insegnò il cammino ed il costo che ha “l’eterna libertà”, come splendidamente la chiama Mons. Fulton Sheen. 

Dal sacrificio della vita di Cristo per conservare libero il suo spirito, dobbiamo imparare a non lasciarci mai vincere dalle pene, prove e delusioni di questa vita, da qualsiasi parte provengano. Perché sempre esisterà il pericolo – e non pochi vi sono caduti – che, dimenticandoci dell’ideale, ci concentriamo di più nel salvare il corpo che non l’anima e volendo prender parte nel mondo, non avremo parte alla Redenzione. Correndo il rischio di somigliare a quel Dema il quale, innamorato di questo mondo, abbandonò la predicazione di San Paolo e la sua missione, come purtroppo si ripete lungo il corso della storia della Chiesa e di fatto è successo anche con alcuni che erano dei nostri.  

Quante volte incolpiamo le persone, le cose, e a volte perfino le istituzioni di essere indifferenti ai nostri dolori e pene come se queste fossero le cose più importanti. A volte preferiremo addirittura che la natura sospendesse il suo corso, o che le persone lasciassero i propri compiti, affinché non solo ci aiutino nelle nostre necessità ma anche ci consolino con la loro simpatia.

Se ci dimentichiamo che molte volte il lavoro è più del confort, saremo simili a quelle persone che si nauseano in mare e vorrebbero la barca si fermasse, senza calcolare che un centinaio di persone ritarderebbero, e si dimenticassero anche del porto, se servisse, semplicemente per servirli. 

Notiamo che nostro Signore sulla Croce avrebbe potuto fare in modo che la natura curasse le sue ferite; avrebbe potuto convertire la corona di spine in una ghirlanda di rose; i suoi chiodi in uno scettro, il suo Sangue in un mantello reale, la sua croce in un trono d’oro, le sue ferite in pietre preziose. Ma questo avrebbe indicato che l’ideale di sedersi alla destra del Padre nella gloria sarebbe diventato secondario di fronte ad una consolazione terrena immediata e temporale. Quindi l’obiettivo della sua vita sarebbe stato meno importante che un momento in essa; allora la libertà del suo spirito sarebbe rimasta legata alla cura delle mani; l’essere superiore sarebbe allora stato schiavo dell’inferiore, ed è proprio questo che dobbiamo evitare. Per questo dobbiamo essere molto attenti, giacché questa tentazione appare e riappare costantemente nelle nostre vite.

Dobbiamo tener presente che l’unica cosa necessario e la più importante nella vita cristiana, è salvare la nostra anima ed acquistare la gloriosa libertà dei figli di Dio. Cristo rimase in croce fino a che tutto fosse consumato. Egli è il nostro Modello, e come Lui dobbiamo rimanere in croce fino a quando le nostre vite siano consumate. In altre parole, mai dobbiamo abbandonare il fine ed il proposito supremo della vita: la salvezza delle nostre anime; anzi, dobbiamo perseverare nella nostra donazione a Dio con fedeltà fino alla fine. Questo è il nostro eterno destino, la meta della nostra fede. 

Può essere che molte volte la tentazione sia forte e i vantaggi temporali sembrino enormi, imperdibili e siano a portata di mano; però, in questi momenti, dobbiamo ricordare la grande differenza fra la sollecitudine di un piacere temporale e l’attrattivo del nostro celeste destino. Perché come dice l’apostolo San Paolo: le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi

Ricordiamoci di quando eravamo bambini e ci si rompeva un giocattolo o di quando, dopo un capriccio, non ottenevamo nulla di quel che volevamo, sentivamo il mondo crollarci addosso, per la ‘tragedia’ che ci era successa. Ora, pensiamo, non sono diventate queste ‘grandi pene’ della fanciullezza, più tardi, con la maturità, insignificanti, simbolo della banalità delle nostre pene e sofferenze attuali, in comparazione alle gioie che ci attendono nelle mansioni nella Casa del Padre? Perché Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano e perseverano con gran fedeltà fino alla fine.

2. Siamo stati chiamati alla libertà

Il sublime esempio dell’Uomo dei Dolori, nostra via da percorrere per mantenere libere le nostre anime e solo per Dio, è anche, dagli inizi –e deve esserlo sempre–l’ideale da riflettersi a livello di tutto l’Istituto rispetto al proprio carisma fondazionale e al patrimonio spirituale, che è come l’anima che lo muove. 

Lungo questi trentacinque anni di esistenza quante prove, quanti attacchi, quante contraddizioni abbiamo dovuto affrontare per conservare –come Cristo– lo spirito intatto! Ma ne vale la pena! 

Così dev’essere e così dovrebbe continuare. Le pene e le croci della vita sono inevitabili per un buon cristiano, ma allo stesso tempo sono un segno inequivocabile della nostra appartenenza a Cristo. È lo stesso insegnamento d’oro iscritto nell’essenza stessa del Mistero Pasquale che in modo particolare contempliamo nella Settimana Santa. Quale miglior segno della nostra realtà che quello della croce! Perciò, dagli inizi, abbiamo chiesto la grazia della “povertà e persecuzione” e dobbiamo continuare ad implorarla.

Ma come dicevamo prima: Gesù Cristo è l’unico Re che meriti di essere servito e, pertanto, vale la pena resistere alle massime, burle e persecuzioni del mondo e dei mondani; e fino ad essere disposti al martirio per lealtà a Dio, restando inamovibili nel carisma e nel fine singolare e specifico dell’Istituto. 

Noi non potremmo affermare di star progredendo se col passare degli anni – per pressioni esterne o problematiche interne; per timore o sotto pretesto di “fervore”; per qualche moda passeggera o qualche vento apocalittico; o per cercare noi stessi; o per diplomazia di convenienza; o per qualsiasi altro motivo – cambiassimo il nostro obiettivo e finissimo per sfigurare la nostra identità. Questo è, in modo speciale, l’argomento di attacco e, al tempo stesso, la tentazione di molti ordini religiosi, e forse la causa principale, della loro caduta e discesa verso la completa distruzione e scomparsa (in alcuni casi potremmo perfino parlare di “caduta libera”).

È bene notare e ricordare che “ogni vero rinnovamento della vita religiosa consiste in un tornare continuamente, con i necessari adattamenti, a quello spirito dal Fondatore vincolato al compimento delle Costituzioni, cioè al patrimonio dell’Istituto nel quale si contengono le ricchezze che lo Spirito Santo ha concesso per il bene della Chiesa”. Questo è un insegnamento costante del Magistero della Chiesa. 

Sfortunatamente, a volte, alcuni, sotto pretesto di zelo e di azione “salvatrice” possono volerci allontanare dalla nostra identità o attaccare ferocemente alcuni degli elementi non negoziabili aggiunti al carisma. La storia della vita religiosa ci insegna con chiarezza che questa è stata ed è una costante degli autentici carismi nella Chiesa. Il nostro Istituto non è stato immune da questi pericoli e ciò non deve sorprenderci. 

Dobbiamo sapere che, se siamo fedeli alla nostra vocazione nella Chiesa, saremo attaccati e calunniati: o perché siamo tomisti, o perché facciamo missioni popolari o perché inviamo missionari alle missioni ad gentes, o per la solennità della nostra liturgia, o perché leggiamo i grandi mistici della cristianità, e qui bisognerebbe aggiungere un lungo etcetera. Quante prove, ostacoli, contraddizioni, infondate ed inoltre ‘senza senso’ ci hanno fatto patire lungo questi trentacinque anni! Quante volte ci hanno prima accusato di una cosa per poi accusarci del contrario! Quanti – tra i quali anche alcuni che credevamo ‘nostri’ – sono caduti in queste reti! Quanti hanno agito come quelli che passando per il Calvario gridavano: salva te stesso e scendi dalla croce!, poiché anche loro erano interessati alla salvezza…ma fisica, non spirituale ed equiparavano il potere salvifico di Cristo al vedersi liberi da tribolazioni! Si dimenticarono dell’ammonimento di San Paolo: Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; per questo non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti. Non ci dobbiamo dimenticare che l’essere perseguitati per il nome di Cristo, per la nostra fedeltà a Lui, costituisce l’ultima delle beatitudini proclamate dal Signore, che ha, questa sì, una condizione: che ciò che si dice di noi sia falso: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Il Beato John Henry Newman diceva: “. . . la religione dell’uomo naturale in ogni epoca e luogo è spesso molto attraente in superficie, ma senza valore agli occhi di Dio; buona per quel che si può vedere, ma senza valore e speranza, poiché non va oltre, perché si fonda sull’autosufficienza e si manifesta nell’autosoddisfazione. Ammetto che può essere bella da vedere […]; può avere tutta la delicatezza, l’amabilità, la tenerezza, il sentimento religioso […]; ma anche così, è rifiutata dal Dio che scruta il cuore, giacché tutte queste persone camminano con la propria luce, non con la Vera Luce degli uomini, poiché il loro io è il loro supremo maestro, e perché girano e rigirano nel loro piccolo circolo di loro pensieri e giudizi, senza considerare ciò che Dio dica loro, e senza temere di essere da Lui condannati. . . ”. 

L’unica religione che può aiutare il mondo è propriamente quella che lo contraddice e i cui atti supremi sono le beatitudini. Perciò Dio ride di [loro], poiché vede arrivare il [loro] giorno

“L’uomo non può essere autenticamente libero – avvertiva Giovanni Paolo Magno – né promuovere la vera libertà, se non riconosce e non vive la trascendenza del proprio essere sul mondo e la propria relazione con Dio, poiché la libertà è sempre quella dell’uomo creato ad immagine del suo Creatore […] Essere liberato dall’ingiustizia, dalla paura, dalla coercizione, dalla sofferenza, non servirebbe a niente, se si resta schiavi nel fondo del cuore, schiavi del peccato. Per essere veramente libero, l’uomo deve essere liberato da questa schiavitù e trasformato in nuova creatura. La libertà radicale dell’uomo si situa dunque al livello più profondo: quello dell’apertura a Dio per la conversazione del cuore, giacché è nel cuore dell’uomo che si situano le radici di ogni soggezione, di ogni violazione di libertà. Infine, per il cristiano, la libertà non proviene dall’uomo stesso: si manifesta nell’obbedienza alla volontà di Dio e nella fedeltà al suo amore. È allora che il discepolo di Cristo trova la forza di lottare per la libertà in questo mondo”.

Come diceva l’Apostolo: Tu però rimani saldo in quello che hai imparato, visto che come già diceva il profeta: Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti. Giochiamoci, dunque, il tutto per tutto, per rimanere ancorati alla verità, nel carisma e nel patrimonio spirituale dell’Istituto, che non consiste in altro se non essere fedeli a Dio che lo ha ispirato. Poiché “è necessario che un’impresa così gloriosa per Iddio e di così gran profitto per il prossimo sia circondata di spine e croci, altrimenti, se nulla rischiamo per Dio, nulla di grande concluderemo per suo amore”.  

3. La croce preludio della gloria della Resurrezione 

Durante la Settimana Santa dobbiamo avere l’occasione di ascoltare, più di una volta, il racconto della Passione di Nostro Signore, e se vi prestiamo attenzione, esso ci mostrerà che nessuna difficoltà, per grande che sia, dissuase Cristo dal divino proposito di dare la propria vita per la redenzione degli uomini. Nemmeno permise che dodici legioni di angeli lo scortassero nella sua ora più oscura, né che la spugna imbevuta d’aceto toccasse le sue labbra per mitigare le sue pene sulla croce.

Il Verbo Incarnato caricò su di sé, liberamente, deliberatamente e sempre con lo stesso proposito di redimerci, la sofferenza corporea, l’angustia mentale, l’amara disillusione, il falso verdetto della giustizia, il tradimento della vera amicizia, la perversione dell’onestà della corte e la violenta separazione dall’amore di sua Madre. E dopo tre ore di agonia disse: Tutto è compiuto

Questo grido di Nostro Signore ci vuol comunicare che la sofferenza entra nei piani di Dio, diversamente, Egli stesso l’avrebbe rifiutata. Lo sappiamo molto bene, ma giova ricordarlo: la croce entra nel piano di Dio, altrimenti Gesù non l’avrebbe abbracciata. Ancor più, la croce è il piano di Dio. La corona di spine entra nel piano divino, diversamente non l’avrebbe portata. Niente è accidentale nella Passione; tutto è provvidenzialmente ordinato, calcolato da Dio per il nostro maggior bene. Il senso completo del piano non si svelò del tutto se non tre giorni dopo, nella Risurrezione.

Questo stesso piano ci tocca ripetere e dalle nostre scelte dipendono realtà eterne. Quindi ciò che conta non è tanto quali siano i tipi di sofferenza, le prove o le contrarietà ma, molto più, come reagiamo ad esse. Poiché il nostro atteggiamento di fronte alla croce ci immortala, per il bene o per il male.

Ci si chiede se talvolta esista un’espressione più ottimista sulle pene di questa vita rispetto alle parole di San Paolo, che il diritto proprio si diletta a citare: tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio . San Paolo non dice che tutte le catastrofi e le esperienze che ci sopraffanno, dall’unico punto di vista definitivo che è la fede, concorrano al nostro bene poiché nessuno che abbia fede direbbe che la vita non ha le sue miserie. Semplicemente, si tratta del fatto che, chi ha fede, reagisce diversamente rispetto alla stessa afflizione di chi ha non ha fede o ce l’ha molto debole. È la fede la quale fa che uno non cerchi, nella propria vita, ciò che sia gradevole o produttivo, ma che accetti anche il dolore e gli obblighi come parte del reticolo del mantello della santità che Dio tesse per ciascuno.

Il Ven. Fulton Sheen diceva –e impariamo bene da queste parole e ringraziamo sempre le croci che ci capitano–: “Gli attacchi e i problemi esterni rafforzano, non destabilizzano, un uomo con vera fede, così come la tormenta serve a radicare la quercia più profondamente nella terra”. Anche questo lo abbiamo sperimentato molte volte. 

Nella misura in cui aumenta la nostra fede ci avviciniamo sempre più a questa follia della croce, che ci rende capaci di trascendere la sconfitta, che non rende male per male e che, nonostante le difficoltà e le pene di questa vita, non si scoraggia. Poiché sa che davanti a lui procede Colui che al posto del gaudio che Gli si offriva, sopportò la croce e ci offrì il suo Cuore per il riposo delle nostre vite.

Da ciò segue la necessità di imparare ad approfittare di tutti i patimenti, a lottare per saperli almeno sopportare con somma pazienza, senza lamentele volontarie, ad incrementarli con l’immolazione volontaria e con l’intenzione universale di renderli fecondi a vantaggio di tutti, specialmente dei poveri, dei peccatori, dei nemici.

Perciò il diritto proprio ci spinge a rallegrarci anche nei patimenti: afflitti, ma sempre lieti. Essendo consapevoli che la sofferenza della croce è la necessaria ed inevitabile condizione per la gloria della Risurrezione. Gesù non ci ingannò, ce lo disse chiaramente: Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia , e ci assicurò: vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia

Solo quelli che amano autenticamente nostro Signore ed hanno fede nella vita eterna possono ridere di fronte alle falsità e vanità delle ostentazioni di questo mondo. Risata che sgorga dall’Infinito verso il finito che cerca di erigersi in assoluto. 

Cristo sulla croce ha privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro e ha posto tutto sotto i suoi piedi, cioè li ha resi privi del loro dominio, hanno perso il loro potere. Gesù stesso ci ha detto: Coraggio! Io ho vinto il mondo

Perciò di fronte alle molte lotte che ci toccano e ci toccheranno nell’arco della nostra vita –individualmente e come Istituto – e ancor più, nelle peggiori angustie, “bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia” e pregare come il Beato John Henry Newman, dicendo: “Insegnami Signore a considerare frequentemente ed attentamente questa verità: che se guadagno tutto il mondo ma perdo Te, alla fine, ho perso tutto. Ma se perdo tutto il mondo ma guadagno Te, alla fine non ho perso nulla”. 

In mezzo alle croci restiamo fermi in Colui che è la nostra Pietra Angolare e rispondiamo ai mondani come fece Daniele, il quale davanti alle burle di quell’altezzoso re che diceva: Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano?, lui rispondeva: il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dei e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto .

Gesù Cristo utilizzò le contraddizioni di questa vita per redimerci, anche noi dobbiamo usarle per applicare i frutti di questa redenzione. “Tutta l’efficacia corredentrice delle nostre sofferenze dipende dall’unione con la Croce e dalla misura e grado di questa unione”. Anche per questo dobbiamo imparare ad affrontare le circostanze avverse, le croci di questa vita, senza quell’atteggiamento “depressivo di vedere più il male che il bene”, al contrario, affrontarle sempre con allegria soprannaturale dell’anima.

Il mondano avrà sempre la tristezza per compagna, sia essa manifesta o nascosta, perché non può scappare alla realtà che al di fuori di questo mondo che perisce, è un miserabile: l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui . Al contrario, quanto più uno è spirituale, più è allegro; non perché uno non soffra avversità ma proprio perché si dispone a ricevere il dono della sapienza della croce che necessariamente porta con sé l’allegria della croce. 

Questa allegria della croce è in stretta relazione con la Redenzione, poiché è Cristo, elevato sul legno a nostra salvezza, Colui che ci solleva dalla precarietà di questo mondo. Solo quelli che stanno nel mondo senza essere del mondo possono valutare in modo serio e senza rammarico i successi di questa vita. Se uno ha sempre davanti a sé il Regno di Dio, il cielo come meta, vede quindi assai più chiaramente e secondo verità tutte le problematiche di questo mondo e della società: l’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno

Fissiamo nella mente e nel cuore che il nostro distintivo è “essere vittime con la Vittima” ma con spirito sempre vittorioso. Questo è vivere da risorti. Cioè secondo tutte le conseguenze della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo:

  • Vivere secondo la Legge Nuova –lo Spirito Santo-: il che vuol dire “vivere in accordo a questa realtà: l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato . È vivere secondo la fede che si rende operosa per mezzo della carità . E la carità non avrà mai fine!”.
  • Vivere nella libertà dei figli di Dio poiché Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi . “La libertà autentica si identifica con la santità, con la Legge Nuova, con la fede cristiana, con la carità, questa è la libertàdei figli di Dio. Ha per fondamento la verità ed è propria di coloro che si lasciano guidare dallo Spirito Santo”.
  • Vivere come uomini nuovi: L’uomo nuovo si oppone all’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli . L’uomo nuovo è l’uomo interiore, potentemente rafforzato… mediante il suo Spirito. L’uomo nuovo si identifica con l’uomo mosso dallo Spirito. È l’uomo che canta il cantico nuovo.
  • Vivere con immensa allegria: allegria che, nel nostro caso, deve manifestarsi in maniera speciale, nella celebrazione del Giorno del Signore, la Domenica; nel senso della festa; e nella ricreazione, che noi chiamiamo eutrapelia. Allegria che è spirituale e soprannaturale e nasce dal costatare il mistero della resurrezione del Signore.  Pertanto “può essere sperimentata tanto nella prosperità come nell’avversità. Nella prosperità, questa consiste non nei beni che sfrutta ma in quelli che spera; non nei piaceri che sperimenta, ma nella promessa di quelli a cui crediamo senza averli visti. I beni possono abbondare, però quelli che speriamo sono di un genere che né tarme né ruggine possono distruggere, né ladri possono toglierci e rubare. Inoltre, nelle avversità possiamo rimanere allegri con la certezza che lo stesso Verbo Incarnato patì la croce come condizione della sua risurrezione”. 
  • Vivere con grande impegno per la missione: senza essere schivi all’avventura missionaria; conservando “il fervore spirituale, l’allegria di evangelizzare, anche quando dobbiamo seminare fra le lacrime”. 

* * *

Cari tutti: le pene, i lavori, i sacrifici… che importano? Fino a quando annunciamo Colui che disse: Io sono la risurrezione e la vita, niente ci deve rattristare. Noi dobbiamo trasmettere la verità di Dio, anche a costo del nostro sangue. Dobbiamo trasmettere la santità di Dio, accettando di essere segno di contraddizione. Dobbiamo trasmettere la volontà di Dio, fino a dare la vita per le pecore. 

Che questa Pasqua di Resurrezione che fra poco celebreremo ci trovi ogni volta più impegnati ad essere uomini nuovi. Non impauriti dalla croce, ma fervorosi nel sacrificarci.

Pasqua vuol dire la libertà più assoluta. È la libertà conquistataci da Cristo al patir la morte in Croce, per darci esempio di come dobbiamo sempre dare la priorità più eminente alla Volontà del Padre. E con ciò ci ha insegnato a non essere tributari, a non sottometterci ai poteri temporali, né allo spirito del mondo, né alle mode culturali, come fossero il fine ultimo al posto di Dio.  

Non dimentichiamoci di uno dei più grandi insegnamenti della Lettera ai Galati: che Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi!;  è questa una frase piena di contenuto. E il miglio modo di esser liberi consiste nell’imitarlo, cioè distogliendo noi stessi dal centro della motivazione e fissando le nostre scelte, decisioni e azioni nell’Amor Divino. Teniamo sempre presente che la libertà è nostra, ma per darla; noi siamo liberi di scegliere le nostre schiavitù. Arrendersi all’amore di Dio è darsi alla felicità e pertanto essere perfettamente liberi. E così, servirlo è regnare. 

Che la Santissima Vergine Maria, la più libera dopo Cristo, ci conceda la grazia di seguire ogni giorno della nostra vita il suo sapiente monito di Madre: Fate tutto quello che vi dirà

Auguro a voi tutti una fruttuosa Settimana santa e una gioiosa Pasqua di Risurrezione, mandando un forte abbraccio a tutti.

Nel Verbo Incarnato,

P. Gustavo Nieto, IVE 

Superiore Generale

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