“Essenzialmente Missionari”

Roma, Italia, 1° aprile, 2017

Lettera Circolare 9/2017

“Essenzialmente Missionari”

Costituzioni, 31

Cari Padri, Fratelli e Seminaristi, 

Fra poche settimane dovremo celebrare con gioia il Mistero Pasquale, che è per noi “fonte inesauribile di spiritualità”, e “manifestazione per eccellenza dell’amore di Dio agli uomini”, poiché ci amò fino alla fine. Quanta fiducia e pace infonde nelle nostre anime la contemplazione del mistero del Verbo Incarnato nella sua missione redentrice!

Da lì nasce anche l’immensa allegria – così essenziale nella nostra spiritualità – che deve eccellere nelle nostre anime, nelle nostre comunità, e in tutte le nostre missioni con particolare eloquenza durante il tempo pasquale.

In occasione dei misteri che siamo prossimi a contemplare, vorrei far notare che lo stesso giorno di Pasqua dobbiamo leggere il passaggio della Scrittura che dice: Noi siamo testimoniL’hanno ucciso appendendolo alla croce, ma Dio l’ha risuscitato al terzo giorno. E continua dicendo: Lui ci ha comandato di predicare al popolo e dare testimonianza che Dio l’ha costituito giudice dei vivi e dei morti.

È così che la Risurrezione di Cristo porta con sé la dignissima e gioiosa missione dell’annuncio del Vangelo a tutte le genti e per tutto il mondo, specialmente attraverso la testimonianza.

Per questo, vorrei in questa lettera circolare proporvi di riflettere, da un lato, sul nostro spirito missionario e dall’altro, riguardo la testimonianza che come missionari del Verbo Incarnato dobbiamo dare davanti a tutti i popoli.

È un mio fervoroso desiderio che Dio voglia servirsi di queste righe per riaffermare nelle nostre anime – con piena e sincera adesione – ciò che il nostro Direttorio di Spiritualità esprime con profonda e preziosa concisione: “Cristo risorto, […] ci dà il mandato della missione: Come il Padre ha inviato me, così io invio voi; nella quale bisogna dare testimonianza: Voi darete testimonianza di questo; per il potere del Signore, dirigendosi a tutte le genti, di tutto il mondo: Andate e insegnate a tutte le genti, per tutto il mondo, a predicare il Vangelo, insegnando a osservare ciò che Lui ci comandò, battezzando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in modo che chi crederà sarà salvato, e Cristo ci accompagnerà fino alla consumazione del mondo”.

1. Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo

“Dio ha voluto che il mondo si salvasse per mezzo dei missionari”, come dice il nostro Direttorio di Missioni Popolari, poiché come dice la Scrittura è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E così, tutta la storia della Chiesa dà testimonianza di come Dio nella sua infinita misericordia, associò innumerevoli uomini e donne perché coltivassero la sua vigna, “giacché ‘solo tramite le missioni le anime raggiungono l’eterna salvezza’”. E, come “le opere di Dio si sono sempre viste combattere per maggior splendore della divina magnificenza”, Sant’Alfonso era solito dire: “si vedono chiaramente gli sforzi dell’inferno per impedire le missioni”.

San Giovanni Bosco, nel suo sermone predicato in occasione del congedo dai suoi primi missionari in Argentina, diceva loro: “Ciò che il Salvatore dava con quelle parole agli apostoli era il mandato, e non semplicemente il consiglio, di portare la luce del Vangelo in tutte le parti del mondo. E gli apostoli, dopo l’ascensione del Signore, compirono il loro mandato puntualmente. San Pietro e San Paolo percorsero molte città, e molte regioni. Sant’Andrea andò in Persia, San Bartolomeo in India, San Giacomo in Spagna; e tutti, alcuni in certi luoghi e altri in altri, si consegnarono a tal punto alla predicazione del Vangelo, che San Paolo poté scrivere ai fratelli: La vostra fede si annuncia da tutte le parti”. 

E poiché, a quanto pare, ci fu chi si opponeva al fatto che San Giovanni Bosco inviasse missionari in terre così lontane, adducendo false sicurezze o, come dice Sant’Alfonso, “fantasticando vani pretesti”, (alcuni gl’intimavano che non fondasse nuove missioni, perché si “rafforzassero”, perché stabilisse meglio le case che già avevano, perché garantisse di più la presenza in Italia), lo stesso santo rispondeva in maniera contundente: “Gli apostoli non agirono in questo modo; il Signore aveva detto loro: Andate in tutto il mondo”. Con lo stesso spirito evangelico operava San Pietro Giuliano Eymard, che davanti alle critiche che riceveva, semplicemente rispondeva con nuove missioni.

Orbene, il mandato di Cristo agli apostoli non è qualcosa che appartiene al passato, ma gode di perenne attualità nella sua santa Chiesa. San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptoris Missio afferma: “Cosa è stato fatto all’inizio del cristianesimo per la missione universale rimane valida e urgente oggi. La Chiesa è missionaria per sua natura, come il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Pertanto, tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle persone”.  La stessa cosa viene detta ripetute volte da Papa Francesco, quando parla del dinamismo missionario permanente della Chiesa che la porta ad essere sempre “in uscita”. 

Infatti, se la Chiesa non fosse missionaria tradirebbe la sua propria essenza e missione, che è prolungare l’invio redentore del Verbo di Dio incarnato. Così l’insegna tutta la tradizione della Chiesa, e con parole più che eloquenti lo sentenzia il Concilio Vaticano II: “La Chiesa pellegrina è missionaria per natura sua, posto che ha la sua origine nella missione del Figlio e dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre”. E in altro luogo: “Come infatti il Figlio è stato mandato dal Padre, così ha mandato egli stesso gli apostoli (cfr. Gv 20, 21) dicendo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20). E questo solenne comando di Cristo di annunziare la verità salvifica, la Chiesa l’ha ricevuto dagli apostoli per proseguirne l’adempimento sino all’ultimo confine della terra (cfr. At 1, 8). Essa fa quindi sue le parole dell’apostolo: «Guai… a me se non predicassi! » (l Cor 9, 16) e continua a mandare araldi del Vangelo, fino a che le nuove Chiese siano pienamente costituite e continuino a loro volta l’opera di evangelizzazione”. 

Allo stesso modo il nostro Istituto, nato in seno alla Chiesa per grazia carismatica dello Spirito Santo, cioè, per l’edificazione della stessa Chiesa, è stato concepito come un Istituto missionario, e ognuno di noi è inviato da Cristo alla maniera in cui Lui fu inviato dal Padre. Per questo diciamo che “vogliamo dedicarci alle opere di apostolato, imitando Cristo che ‘annunciava il Regno di Dio’”. E così profondamente radicata è la chiamata alla missione nella nostra vocazione di religiosi del Verbo Incarnato, che diciamo che vogliamo essere “ ‘come una nuova Incarnazione dl Verbo’, essendo essenzialmente missionari e mariani”.

Anche a noi “è stato affidato il compito sublime di rendere effettivo e completare questo ineffabile mistero di salvezza universale; ci è stata affidata la missione di dare a Gesù Cristo le anime che ancora non lo possiedono, di lavarle con il suo sangue, di arricchirle con i suoi meriti, che altrimenti resterebbero inutilizzati, di estendere su tutta la terra il regno benedetto di Dio. Il Nostro Istituto non ha altra ragione d’esistere che questa. Noi gli apparteniamo perché, per divina elezione, siamo i ministri della redenzione”. 

Pertanto, questo invio presenta due caratteristiche: 

– “ha una dimensione universale: tutti gli uomini sono chiamati a far parte del Regno di Dio, giacché Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (1 Tim 2, 4);  

– implica la certezza dell’aiuto divino: Io starò sempre con voi fino alla consumazione del mondo (Mt 28, 20); Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro… (Mc 16, 20)”.

Il Verbo Incarnato ci ha affidato una missione universale: andate in tutto il mondo. Per questo, il nostro Direttorio dice chiaramente: “Non vi è luogo dove ci sia un’anima inaccessibile al missionario”.  

Da ciò ne segue che “la nostra piccola Famiglia Religiosa non deve mai essere ripiegata su sé stessa, ma deve essere aperta come le braccia di Cristo nella Croce, che nell’aprirle così tanto per amore, le aveva slogate.”. E questo è ciò che dobbiamo mantenere sempre fermamente radicato nella mente e nel cuore. Individualmente e collettivamente parlando, dobbiamo sentire vivamente la responsabilità dell’impegno preso il giorno della nostra professione dei voti religiosi nel nostro Istituto, di  “non essere schivi all’avventura missionaria”, “perché è da noi, dal nostro fervoroso zelo, che molte milioni di anime sperano la salvezza”.  

Questo senso di responsabilità apostolica, questa sollecitudine per le anime, questa visione planetaria della missione, che non conosce limiti geografici, né s’intimidisce per le circostanze perché sa che non c’è luogo sulla terra dove non operi la Provvidenza di Dio, e che fa sì che il missionario unto dalla carità di Cristo cerchi con “creatività apostolica” nuovi modi di far amare e servire Cristo, questo e non altro, è lo spirito missionario che abbiamo ricevuto dal nostro Fondatore come tanto chiaramente rimane plasmato nei testi del diritto proprio. Pertanto “non possiamo non obbedire con coraggio e con gioia” alla chiamata del “Re eterno”, del “Sommo e vero Capitano” “la cui volontà è quella di conquistare tutto il mondo” come ogni anno meditiamo nei nostri esercizi spirituali.   

Per questo diciamo, che la nostra disposizione per la missione deve essere quella del terzo binario. E la nostra bramosia deve essere quella di vivere con tale disposizione “permanentemente, senza attenuazione né restrizione, senza riserve né condizioni, senza sotterfugi né dilazioni, senza ripieghi né lentezze. Tanto negli impegni dell’intimo, come nei grandi impegni storici: [giacché] non è capace di edificare imperi chi non è capace di dare fuoco alle sue navi quando sbarca”. 

Per questo, i missionari del nostro Istituto “devono prepararsi con una formazione spirituale e morale speciale per un compito così elevato. Devono, dunque, essere capaci di prendre iniziative, costanti per terminare le opere, perseveranti nelle difficoltà, sopportanto con pazienza e fortezza la solitudine, la stanchezza e il lavoro infruttuoso”. 

A tutti ci concernte avere non solo grandissima stima dello spirito missionario della nostra amata Famiglia Religiosa ma anche il dovere di impegnarci ogni volta di più in questo, senza sminuirlo – poiché è lo stesso Re dell’universo che ci rende partecipi della sua missione redentrice–; senza circoscriverlo dentro calcoli umani – perché i calcoli umani distruggono l’azione dello Spirito-, senza offuscare neanche minimamente il santissimo ideale per il quale Dio ci ha chiamato: andate… e ammaestrate tutte le genti, battezzandole…, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato, ma piuttosto, onorarlo con una vita santa, coltivandolo nelle nostre comunità e sapendolo trasmettere genuinamente ai nostri formandi in cui si desidera vedere uno zelo missionario vivo.  

Sono anche per noi le parole che San Giovanni Paolo II dirigeva ai religiosi nell’anno 1982: “Non riducete mai, per niente, questa identità e mai dimenticate la finalità esatta del ministero e del servizio apostolico al quale siete stati chiamati”.

Ovviamente, questo sempre implica “sacrifici”, ma dobbiamo essere coscienti che senza spargimento di sangue non c’é redenzione, poiché dobbiamo essere anche coscienti dell’urgenza della missione in quest’ora della storia della Chiesa. Lo stesso Concilio Vaticano II, che è stato la grande preparazione della Chiesa per il terzo millennio cristiano, esorta i sacerdoti con queste parole: “dimostrino prontezza e, all’occasione, si offrano generosamente al proprio vescovo per iniziare l’attività missionaria nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi. Dello stesso zelo siano animati i religiosi e le religiose, ed anche i laici verso i propri concittadini, specie quelli più poveri.”. E riguardo le Chiese giovani, che molte volte hanno necessità di più sacerdoti, il quale analogamente si può applicare alla nostra giovane famiglia religiosa, dice lo stesso Decreto conciliare: “Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è altresì conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima effettivamente alla missione universale della Chiesa, inviando anch’esse dei missionari a predicare il Vangelo dappertutto nel mondo, anche se soffrono di scarsezza di clero. ”.  

Sulla stessa linea, dopo aver constatato che “La Chiesa … sa che le resta ancora un’ingente opera missionaria”, il Concilio si dirige specificamente ai religiosi e, con un’audacia inusitata, menziona perfino la possibilità di adattare le Costituzioni dell’Istituto, fedelmente alla mente del Fondatore: “Gli istituti di vita attiva, perseguano o no un fine strettamente missionario, devono in tutta sincerità domandarsi dinanzi a Dio se sono in grado di estendere la propria azione al fine di espandere il regno di Dio tra le nazioni; se possono lasciare ad altri alcune opere del loro ministero, per dedicare le loro forze alle missioni; se possono iniziare un’attività nelle missioni, adattando, se necessario, le loro costituzioni, secondo lo spirito del fondatore; se i loro membri prendono parte secondo le proprie forze all’attività missionaria; se il loro sistema di vita costituisce una testimonianza al Vangelo, ben rispondente al carattere ed alla condizione del popolo.”. Se gran parte della fecondità della nostra Famiglia religiosa è nell’aver potuto vivere e applicare gl’insegnamenti e l’autentico spirito del Concilio Vaticano II, in modo speciale questo si deve intendere delle indicazioni di questo Concilio marcatamente missionario.

Lanciamoci allora a raggiungere quell’ideale con piena fiducia in Dio, – poiché, nonostante le nostre grandi limitazioni e peccati, è lo stesso Verbo Incarnato che ci sceglie e c’invia –, e ci dà la certezza del suo ausilio: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E non solo dico lanciarci a raggiungere quell’ideale come chi dà colpi all’aria, ma farlo responsabilmente, efficacemente, in modo intelligente, non improvvisato, con grandissima generosità – anche quando i numeri sembrino non accompagnare, anche quando la mancanza di appoggio tenda a scoraggiarci, anche quando il maligno ci combatta, anche quando in quel luogo non ci voglia andare più nessuno– poiché sebbene noi siamo servi inutili, il protagonista della missione è lo stesso Gesù Cristo e il suo Spirito. E una volta nel luogo che la Provvidenza ha destinato per ognuno di noi, darci tutto e darci per sempre con una fede solida e intrepida, con incontenibile entusiasmo, perseverando fino alla fine nella disposizione di dare la vita per le pecore. Perché cos’é essere missionario se non “disporsi a morire, come il chicco di grano, per vedere Cristo in tutte le cose”?. 

Cari tutti: L’amore di Cristo ci urge. Per quello, il nostro Direttorio di Spiritiualità dice, citando San Luigi Orione: “Colui che non vuole essere apostolo esca dalla Congregazione: oggi, chi non è apostolo di Gesù Cristo e della Chiesa, è apostata”.

2. Sarete miei testimoni 

In una lettera circolare anteriore dicevamo che la missione è inscritta nel cuore stesso della vita consacrata e che il nostro compito di evangelizzazione si realizza con più effettività mentre maggiore sia l’unione e la concordia tra i membri della comunità. 

Similmente, vorrei ora, riferirmi a un tema non meno importante e pratico che è quello della qualità di vita comunitaria e dello spirito di famiglia che ci deve animare. Ammesso che anche a noi come alla comunità cristiana primitiva, Gesù Cristo ci ha conferito la missione di essere suoi testimoni.

Le nostre Costituzioni trattano con speciale enfasi e diafana chiarezza l’importanza del testimonio di vita nell’opera missionaria: “In quest’opera di apostolato nella quale ‘si è missionari anzitutto per quel che si è… prima di esserlo per quello che si dice o che si fa’, occupa il primo posto la testimonianza di vita, ‘prima e insostituibile forma di missione’, in modo che risplenda tra i fedeli la carità di Cristo”.

Ognuno di noi è missionario della Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato per servire Cristo nel suo Corpo Mistico, anche quando sia nel claustro di un monastero o prostrato in un letto. E come tali, siamo chiamati a testimoniare individualmente e comunitariamente Cristo Risuscitato in una maniera peculiare, cioè d’accordo a ciò che è espresso nel nostro carismo fondazionale.

Per questo la nostra testimonianza come religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato deve essere la testimonianza radicale di un religioso che permanentemente “vive come un resuscitato, cercando le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; rivolgendo il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra  e che vive nella libertà dei figli di Dio”. Noi dobbiamo dare testimonio evidente della nostra fede nel Verbo Incarnato attraverso delle opere, specialmente “orientando l’anima a cose grandi… a realizzare opere grandi di virtù”. Il nostro deve essere, il testimonio di colui che mosso dall’amore a Cristo si lancia all’avventura missionaria perché lo stesso Cristo gli disse: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna; è lo stesso che disse: Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici. Il testimonio che dobbiamo dare al mondo, è quello del religioso che, a imitazione del Verbo Incarnato, fa di sé una donazione totale e valorosa, attraverso una vita religiosa vissuta con fedeltà, con allegria e umanità, e che con gran forza proclama “che il mondo non può essere trasformato nè offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini”. È di più, è testimonio del religios che trasmette con la sua vita il desiderio ardente di martirio che coltiva nella sua anima, perché è convinto che dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni. 

Tuttavia, questo testimonio individuale non è né alieno né accessorio, né alternativo alla vita di comunità, ma, essendo parte integrale della stessa, è dalla comunità stessa da dove si irradia agli altri. E da qui il ruolo fondamentale della vita fraterna non solo nel nostro cammino spirituale ma anche nel compimento della nostra missione nel mondo.

Tutti siamo figli di una stessa Famiglia, il cui onore e progresso deve essere l’ideale dei nostri cuori. E come membri della nostra amata Famiglia del Verbo Incarnato, a tutti ci si chiede “una partecipazione convinta e personale nella vita e nella missione” del nostro Istituto dove certamente non deve mancare la sfida per mantenere l’equilibrio tra preghiera e lavoro, apostolato e formazione, impegni apostolici e riposo. Pertanto, risulta di grande importanza l’aiuto mutuo, l’incoraggiarsi spiritualmente gli uni gli altri, il sopportare tranquillamente le imperfezioni degli altri, e il sapersi rallegrare insieme, vivendo come una vera famiglia in Cristo. 

Detto in altro modo, per raggiungere la meta elevatissima alla quale Dio ci ha chiamato dentro la sua Chiesa, dobbiamo avere presente che la vita fraterna ha come obiettivo formare una famiglia peculiare, “qualitativamente” parlando, cioè, per il nostro modo di vivere. Non siamo stati riuniti da motivazioni umane, ma per un invito speciale di Dio, al fine che le nostre comunità siano segno visibile del modo di vivere del Verbo Incarnato particolarmente imitando il suo annientamento informato dal suo amore redentore. Ognuno di noi deve lottare per essere “un altro Cristo” imitando l’immensa bontà del Cuore di Gesù, che a tutti fa sempre il bene, senza far caso delle offese, delle ingiustizie ricevute, delle mancanze di rispetto; piuttosto, sapendo scusare e perdonare il fratello che sbaglia. “Diamoci il lusso di essere buoni con chi meno sembra esserlo…”, diceva il Beato Paolo Manna ai suoi missionari, “se io sono buono con il mio fratello triste, addolorato, pieno di difetti, gli allevio la pena e lo obbligo a correggersi. Con la generosità nel tratto, con l’abbondanza di bontà verso il fratello pigro o sconsolato, aumento la sua capacità di lavoro e di bene. Forse ai nostri fratelli non sappiamo che dare, ma sempre possiamo dispensargli con grande abbondanza, il nostro ottimismo, la nostra stima, il nostro animoso affetto”. È questa carità praticata dentro la stessa famiglia quella che attrae i cuori. 

Pertanto, il “formare comunità” non è un ostacolo per la missione, piuttosto, contribuisce direttamente all’evangelizzazione. La fraternità autentica è il segno, per eccellenza, che ci ha lasciato il Signore: in questo sapranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri . Da questo ne segue che “quanto più intenso è l’amore fraterno, tanto maggiore è la credibilità del messaggio annunciato”. 

Ma anche includere, che le opere di apostolato non si oppongono alla vita fraterna, come dialetticamente argomentano alcuni, ma molto per il contrario, “la missione rinforza la vita consacrata, le infonde un rinnovato entusiasmo e nuove motivazioni, e stimola la sua fedeltà”. In termini simili le nostre Costituzioni dicono: “La vita pastorale … quando si realizza in maniera ordinata fomenta, in modo eminente, la vita fraterna”.

È interessante notare che benche le nostre Costituzioni stabiliscano che “salvo casi eccezionali”, nelle nostre comunità “dovranno essere destinati, per lo meno tre religiosi”, minzionano tuttavia e allo stesso tempo, la possibilità che vadano in due: “no es conveniente que vayan solos, sino al menos dos”. E inoltre anche il diritto proprio prevede la possibilità che ci siano comunità piccole e perfino membri isolati, data l’indole missionaria del nostro Istituto; il quale non toglie, che si mettano i mezzi “di dotarsi più operai”. E questo è così, non solo per l’indole e il carisma proprio del nostro Istituto, poiché entra in pieno nell’intenzione e nella mente del nostro Fondatore, ma anche per la situazione attuale della Chiesa nella quale “è urgente la missione ad gentes”. 

Che rimanga chiaro allora, che sebbene “il religioso ‘solo’ non è mai un ideale” nemmeno questa possibilità è motivo per essere rimessi al mandato di Cristo: Anadte in tutto il mondo e annunciate il Vangelo. La ragione di fondo, è la stessa esposta dal Beato Paolo Manna, che, nonostante avesse il suo Istituto la stessa norma nostra, scriveva in una lettera circolare: “in alcune missioni del nostro Istituto, non sempre si ha potuto attenersi a questa regola: i missionari furono troppo pochi e si ha dovuto andare dietro alle anime, laddove la grazia ci portava a una vastissima estensione”.

Abbiamo sempre presente, che la nostra vita comunitaria non è un mero assembleismo, e per questo al di là del numero di membri di una comunità, come bene dice il nostro Direttorio di Spiritualità e ripete il Direttorio di Vita Consacrata: “Il fondamento più profondo della nostra unità come Famiglia Religiosa lo troveremo sempre nell’Eucaristia”, che è definitivamente, il nostro centro naturale.

Invano arguiscono alcuni dicendo che il numero di membri in una comunità – per il fatto di essere pochi – affetta la perseveranza dei religiosi. La perseveranza è una grazia, e, pertanto, è di ordine interiore, e non si può attribuire a qualcosa di esteriore. Il numero di membri della comunità non ha nessuna relazione causale con al grazia interiore della perseveranza, grazia che Dio dà sempre a chi pone i mezzi per perseverare. Certamente, che la vita comunitaria aiuta, e aiuta molto. Ma non è la causa né la condizione per perseverare. 

E per questo, i nostri missionari, anche se molte volte in missioni molto distanti, o passando lunghi periodi ‘senza un compagno di missioni’, si sanno inviati e accompagnati, effettivamente da tutta una Famiglia Religiosa, che vuole il loro bene e si preoccupa per loro. Perché anche il diritto proprio dispone che anche qualora un religioso si trovi in una msissione distante, o solo, la Congregazione come buona madre s’impegna a mantenere frequenti contatti con questi nostri fratelli, e cerca tutti i mezzi per favorire e rinforzare i vincoli fraterni. E così, con gran virilità e grande spirito di fede, molti di noi hanno fatto strada da soli all’inizio fino a che dopo si sono aggiunto a loro degli altri.

Potrei citare qui vari esempi di santi missionari religiosi che furono soli e ottennero ciò che pareva loro impossibile: penso ad esempio a San Francesco Saverio e tanti altri che Sant’ Ignazio mandò da soli (anche quando lo stesso Sant’Ignazio scrisse nelle sue Costituzioni che i gesuiti avrebbero dovuto andare almeno a due a due), o San Francesco Solano che percorse chilometri da solo anche se per i francescani la vita conventuale è essenziale. 

Penso a San Junipero Serra che mi era tanto vicino ai tempi della mia missione nel Santuario di Nostra Signora della Pace, canonizzato nel 2015 dal Santo Padre, che essendo asmatico e soffrendo una piaga cronica alla gamba, a 56 anni d’età e con la sola esperienza di aver trascorso 12 anni insegnando filosofia e teologia, si offrì come missionario per andare fino in Nuova Spagna (Messico). Da dove penetrò fino al Nord (l’attuale California, Stati Uniti) fondando 9 missioni (attuali città), battezzando più di 6000 persone e confermandone altre 5000. Fu lui che introdusse, inoltre, l’agricoltura e il sistema d’irrigazione di quelle terre. Il motto di queto santo missionario fu: “Sempre avanti, mai indietro”. 

Penso alla generosità invincibile di San Vincenzo de Paoli che continuava a mandare missionari in Madagascar anche quando li uccidevano o morivano per la piaga che allora devastava quel paese. 

Senza andare più lontani, ricordiamo l’esempio del missionario planetario che fu San Giovanni Paolo II, che con i suoi 104 viaggi fuori d’Italia ci diede l’esempio che “il mandato di Cristo e l’avvertimento dell’Apostolo: Guai a me se non evangelizzassi! Sono ancora validi”. Egli stesso diceva: “Ravvivate la grazia del vostro carisma specifico e intraprendete di nuovo con coraggio il vostro cammino, preferendo […] i luoghi più umili e difficili”.

Tale è lo spirito d’immolazione che dobbiamo coltivare come missionari che sio sono consacrati per dare testimonianza del Risorto fra le genti, senza lasciarsi intimorire dai dubbi, incomprensioni, rifiuti, o persecuzioni. 

Ma siccome gli esempi più vicini sono ancor più convincenti –e lo menziono qui per l’edificazione di tutti– con quanta soddisfazione constatiamo –già durante il Capitolo Generale e io personalmente nella mia visita a varie delle nostre missioni– la totalità, il coraggio, la maturità e la generosità di tanti dei nostri che portano avanti la missione, anche se in qualche momento sono soli o in piccole comunità. Semplicemente perchè essi, leali alla parola data di “non essere schivi all’avventura missionaria”, sono disposti a corrispondere all’amore di Cristo che li amò per primo non solo accettando di andare in luoghi difficili e lontani, ma anche a stare in condizioni del tutto straordinarie, come può essere lo stare da soli o in comunità formate da due, attaccati alla sola promessa di Cristo che disse: Sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. E questa fiducia nasce dalla convinzione di sapere che l’essere inviati come missionari è sinobnimo di essere amati con predilezione dal Padre, al quale si vuole corrispondere con una consegna senza riserve. 

Che il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa, San Giovanni Paolo II, il grande missionario planetario, ci conceda la grazia di abbracciare con crescente fervore lo sforzo missionario e di rispondere con allegro coraggio alla chiamata di Cristo: Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo.

Raccomando alla Santissima Vergine, primo testimone della Risurrezione di Cristo, tutta la nostra Famiglia Religiosa. Che la sua amorosa intercessione ci conceda questa Pasqua la grazia di testimoniare fino ai confini del mondo la gioia di vivere secondo le beatuitudini evangeliche. 

Felice Pasqua a tutti!

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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