“Il sistema preventivo è la carità”

Roma, Italia, 1° maggio 2018

Mese di Maria 

Lettera Circolare 22/2018

“Il sistema preventivo è la carità”

Direttorio di Seminari Minori, 144

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

Il meraviglioso mese di maggio è costellato di feste mariane che ci fanno sperimentare la tenerezza e la vicinanza materna della Madre di Dio. Oggi stesso, i nostri religiosi in Perù celebrano Nostra Signora di Chapi e fra una settimana tutta la Famiglia Religiosa Famiglia celebrerà solennemente Nostra Signora di Luján –Regina dell’Istituto–, alla quale seguirà la festa di Nostra Signora di Fatima per poi celebrare con gioia, infine, la festa di Maria Ausiliatrice; invocazione, quest’ultima, perpetuamente associata alla figura di San Giovanni Bosco, “padre e maestro dei giovani”. 

Vorrei dunque, sotto lo sguardo materno di Maria Ausiliatrice –e in questo tentativo per mezzo delle lettere di sottolineare “il nostro”– dedicare la presente lettera alla prassi educatrice che lo stesso Don Bosco chiamava “sistema preventivo” questa volta, applicato specialmente all’esercizio del nostro ministero pastorale. Noi abbiamo assunto come proprio questo metodo nel “nostro modo di fare apostolato” e che s’inserisce appieno in ciò che comunemente menzioniamo come “i nostri apostolati propri”. Meriterebbe un’altra lettera circolare la particolare impronta che il sistema preventivo esercita sul nostro modo di vivere la vita religiosa, perché diventa tanto incisiva che lo stesso diritto proprio la chiama “plasmare la nostra spiritualità”. Mi è sembrato importante fare riferimento in modo puntuale e dedicare una lettera circolare a questo tema, in maniera tale che lo abbiamo sempre presente, affinché lo applichiamo con spirito di fedeltà al suo ispiratore e sia riconosciuto nelle nostre missioni e apostolati. 

1. Apostolato

Le nostre Costituzioni stabiliscono che “in maniera speciale, ci dedicheremo alla predicazione della Parola di Dio… in ogni sua forma”, e specialmente si menziona “l’educazione e formazione cristiana di bambini e giovani”. La quale si deve compiere con entusiasmo e, si aggiunge, “secondo lo spirito si San Filippo Neri e di San Giovanni Bosco. [infatti] L’ ‘Oratorio’ continua a essere molto attuale”.

Cioè, la pastorale con bambini e giovani –come non potrebbe essere altrimenti– forma parte essenziale dell’evangelizzazione della cultura. Così lo intendeva lo stesso Don Bosco e perciò affermava: “ho consacrato la mia vita intera al bene della gioventù, persuaso che dalla loro buona educazione dipende il benessere della nazione”. È noto il suo motto: “buoni cristiani e onesti cittadini”. 

Il Magistero della Chiesa da parte sua anche “ricorda ai pastori d’anime l’obbligo gravissimo di disporre tutto in modo che i fedeli usufruiscano dell’educazione cristiana, e in primo luogo i giovani che costituiscono la speranza della Chiesa”. 

Di conseguenza, la pastorale giovanile svolta con “un fuoco vivo acceso per amore dello Spirito Santo nell’anima di chi ama i giovani” è divenuta un segno distintivo della nostra pastorale e una preziosa eredità che dobbiamo far crescere in estensione e solidità in favore dei bambini e dei giovani. 

Una testimonianza di ciò sono gli oratori festivi –che devono essere “immancabili” nelle nostre parrocchie – i campeggi che fin dall’inizio hanno forgiato bambini e giovani veramente cristiani, i gruppi di chierichetti –‘vivaio’ di vocazioni sacerdotali–, le Giornate dei Giovani –che già da 21 anni organizza la nostra Famiglia Religiosa–, il lavoro nelle scuole –punto chiave della cultura e il cui lavoro è “somma trascendenza”–, lo stesso insegnamento del catechismo –apostolato prioritario di tutte le nostre parrocchie–, il lavoro con i bambini e giovani nelle case di carità, e ora, soprattutto negli ultimi anni, il grande apostolato con i giovani universitari che nei diversi paesi si riflette nelle diverse istituzioni, come ad esempio il CIDEPROF (Centro d’Investigazione della Problematica Familiare) in Argentina, le Voci del Verbo in Italia e las Voces del Verbo in Spagna a e altri gruppi analoghi in altri posti, etc.  

Tutti questi apostolati che altro non sono se non una manifestazione di quell’apostolato principale che è “portare gli uomini alla conversione a Dio, ‘all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede’, e che deve tendere alla degna recezione dei sacramenti” sono stati e continuano a essere causa d’innumerevoli e in dubitabili frutti spirituali nelle diverse anime che Dio ha voluto raccomandarci: quante anime si sono riconciliate con Dio, quanti hanno abbracciato la fede cattolica, quanti hanno scoperto la vocazione, quanti hanno intrapreso amicizie sante, quante famiglie cristiane hanno avuto come punto di partenza qualcuno dei nostri oratori, delle nostre Giornate dei Giovani o gruppo giovanile!

Allora, io credo che, se questi apostolati hanno dato e continuano a dare frutti tanto buoni e numerosi per la gloria di Dio e il bene delle anime, ciò si deve in grandissima parte al sistema preventivo o “spirito oratoriano” di cui sono colmi e che dobbiamo potenziare con forza. Da ciò, l’importanza di parlare di questo tema.

2. Sistema preventivo 

Il sistema preventivo definito da Don Bosco “consiste in far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto e vegliare, dopo, in maniera che gli alunni abbiano sempre su di sé l’occhio vigilante del direttore o degli assistenti, i quali, come padri amorevoli, parlano, servono da guide in ogni circostanza, danno consigli e correggono con amabilità; il che vale a dire: consiste in mettere i bambini nell’impossibilità di peccare”. 

Detto in poche parole: “il sistema preventivo è la carità”.  

Spiega San Giovanni Bosco: “La pratica di questo sistema si basa sulle parole di San Paolo: La carità è benigna e paziente… tutto soffre, tutto spera e tutto sopporta. Con lei, la Ragione e la Religione sono i mezzi di cui si deve servire continuamente l’educatore, insegnandoli e praticandoli se desiderano essere obbediti e raggiungere il loro fine”.

E se in questo sistema preventivo si volesse determinare quale dei tre fattori si deve considerare come il più importante, non ci sono dubbi sul fatto che il primo sia l’amore. L’amore è, effettivamente, “il principio ispiratore” e l’anima del “metodo preventivo” ma come lo stesso Don Bosco dichiara “questo non basta, manca il meglio”: “che i giovani non siano solamente amati, ma che si rendano conto che li si ama”. 

È qui che l’amorevolezza si rende imprescindibile, perché questa è “amore dimostrato”, pertanto, amore effettivo e affettivo, provato con i fatti, percepibile e percepito. Non deve vedere nulla con debolezza, ne sentimentalismo, ne sensibilità incontrollata, ma coinvolgimento emotivo illuminato e purificato sempre dalla ragione e dalla fede

Solo quando i bambini e i giovani si sentono “amati nelle cose che piacciono loro, partecipando alle loro inclinazioni”, saranno disposti a vedere che li si esorta per amore a fare quelle cose che a loro piacciono poco. San Giovanni Bosco faceva molta attenzione ad “assecondare le inclinazioni di ognuno, confidandogli ciò che sapeva gli dava gran piacere”, e lui stesso andò a lavorare per ottenere loro ciò di cui avevano bisogno per sviluppare quelle inclinazioni. 

Don Bosco esprime la carità così intesa come amorevolezza. Il termine italiano in sé non ha una traduzione soddisfacente in spagnolo, ma il diritto proprio segnala che “può significare: amabilità, affetto, familiarità di padre e fratello maggiore”. San Giovanni Paolo II non dubita a dire che “la amorevolezza non è solo una colonna del metodo educativo … ma riflesso e partecipazione della paternità di Dio, perché ha la sua fonte nello stesso cuore di Cristo e in Maria Santissima, il modello e la ispirazione. Allora è [l’amorevolezza], zelo ardente per la salvezza integrale dei giovani; è sollecitudine pastorale estremamente rispettosa della persona; è potenza effettiva capace di guadagnarsi il cuore e, definitivamente, ha un valore decisivo nel processo educativo”.

Grazie all’amorevolezza l’alunno “non si arrabbia per la correzione che viene fatta loro ne per i castighi con i quali lo minacciano, o che talvolta gli vengono imposti; perché questo va sempre accompagnato da un avviso amichevole e preventivo, che lo rende ragionevole e termina, ordinariamente, per guadagnare in tale maniera il suo cuore che egli stesso comprende la necessità del castigo e quasi lo desidera. D’altra parte, avrebbe evitato una mancanza ‘se una voce amica l’avesse avvertito’”. 

Mi pare importante sottolineare che nel sistema preventivo tutto dev’essere guidato dalla dolcezza dell’amabilità e con l’affabilità: “lo spirito umano è fatto in maniera tale che, trattandolo con rigore, si ribella. Tutto con dolcezza, nulla per forza; la durezza perde sempre tutto, esaspera i cuori, genera odio. La dolcezza muove a suo piacere il cuore dell’uomo, e fa di lui ciò che vuole”. 

Risulta specialmente illuminante l’osservazione di Don Orione: “Il giovane ha necessità di persuadersi che noi siamo interessati a fargli del bene e che viviamo non per noi stessi ma per lui; che lo amiamo sinceramente, e ciò non interesse ma perché questa è la nostra vita, perché egli fa parte della nostra vita; lo amiamo in Gesù Cristo. Il giovane deve comprendere che viviamo per lui; che il suo è il nostro bene; che le sue gioie sono le nostre gioie; e che le sue pene e i suoi dolori sono le nostre pene e i nostri dolori. Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui grandi sacrifici, e a sacrificarci veramente per la sua felicità e per la sua salvezza. Il giovane deve sentire insieme a lui questo: un’atmosfera buona, un alito d’affetto puro e santo, di fede e di carità cristiana; e allora sarà nostro… e in tal maniera lo potremo condurre a Dio e alla Chiesa”.

In ogni caso, “l’amore per i giovani può e deve, per conservare la dovuta autorità, essere unito a una prudente forza e severità. Il sacerdote deve possedere una seria autorità, ma la deve esercitare sui giovani senza che se ne accorgano; questa autorità si deve dimostrare piuttosto con la sua personalità e dissuasione che con la coercizione”. Per questo, all’ora Beato Michele Rua che Don Bosco inviò come direttore di un collegio, scrive: “Comandando, si usino sempre modi e parole di carità e mansuetudine. Le minacce, le arrabbiature, ancor più la violenza devono sempre stare lontane dalle tue espressioni e azioni”.  

Conforme a ciò, il diritto proprio con fine delicatezza ci dice: “Si dovrebbe dire del Superiore [o di chiunque lavori con bambini e giovani] ciò che qualche ex alunno disse di Don Bosco: ‘Dando ordini quasi ci pregava; e noi ci saremmo sottoposti a qualsiasi sacrificio per accontentarlo’”. 

Ovviamente, questo non significa che bisogna sacrificare la disciplina per un tratto pieno di dolcezza, offrendo così una pseudo educazione debole. San Giovanni Bosco stesso ci dice: “mantenentevi fermi nel cercare il bene e impedire il male”. Egli era un educatore di disciplina, lo dimostra la sua stessa definizione del sistema preventivo (far conoscere le prescrizioni e regolamenti di un istituto e vigilare), e il suo impegno nel mettere per iscritto tutti questi regolamenti per le diverse case e le sue corrispondenti attività. Però si deve anche evitare di cadere nell’altro estremo: quello di “un’autorità rigida senza carità, che offre un’educazione troppo forte e austera” e usa “una vigilanza de tipo ‘poliziesco’ invece che paterna” “sostituendo la carità con la freddezza di un regolamento”. Rispetto a ciò anche ci avverte Don Bosco: “Non pieghiamoli con l’obbedienza a noi se non per prestare loro il nostro servizio con maggior piacere. […] Evitate l’inquietudine dell’animo, gli sguardi dispregiativi, le parole ingiuriose”.  

Ciò che il propone il santo educatore è: “la familiarità con i giovani”.

Semplicemente, perché “la familiarità genera affetto, e l’affetto, fiducia”. Per questo il diritto proprio afferma: “Solo nello spirito di famiglia, solo nello spirito di fiducia che esiste fra genitori, figli e fratelli, si può vivere l’ambiente educativo, religioso, aperto a tutti, di carità, d’allegria e di libertà”. Ancora di più: “Gesù Cristo si fece piccolo con i piccoli e caricò delle nostre infermità. Ecco il maestro della familiarità!”.

In definitiva, questo sistema preventivo del quale abbiamo appena parlato “consiste in creare un ambiente educativo, di religiosità e di amore in un clima di familiarità”.

Pertanto, sia nell’oratorio, sia in campeggio, sia in una giornata di giovani, etc. è fondamentale che si cerchi di educare i giovani che partecipano. Questa dev’essere un’educazione integrale, cioè, che comprenda tutta la persona umana, e, a seconda delle circostanze, sarà correttiva, curativa, e costruttiva. Il Direttorio di Oratorio specifica: “Questa educazione cristiana integrale può mettere profonde radici nella gioventù solo quando si infondono nei cuori tre grandi principi: i valori eterni (la capitale importanza della salvezza dell’anima), i novissimi e il santo timor di Dio”. 

I Padri Capitolari nell’ultimo Capitolo Generale sottolineavano l’importanza e l’ottimo risultato che stanno dando i “Corsi estivi per universitari” dove li si prepara a esercitare cristianamente le diverse professioni e si concede loro uno spazio affinché i giovani si sostengano e s’incoraggino nella fede, e possano resistere all’impatto della “cultura della morte” e del relativismo culturale regnante. Quanto è da desiderare che questi corsi si diffondano a tutte le Province e che si moltiplichino le opportunità per saziare il desiderio di una formazione solida ed esigente! Posto che “la sorte della società e della stessa Chiesa è intimamente connessa al contributo dei giovani dediti agli studi superiori”.

D’altra parte, nessuna di queste attività di pastorale giovanile possono essere separate dalla religiosità. Perché il nostro fine dominante e preoccupazione pastorale è la salvezza delle anime. Dobbiamo sempre tener presente che il giovane “ha necessità di essere incamminato, allenato, portato alla virtù, alla forza morale, alla conoscenza dei principi direttivi verso il nostro vero destino” e all’imitazione del Santo della gioventù dobbiamo in molti modi e con diversi mezzi stimolarli alla “felicità senza fine” e a considerare la “salvezza dell’anima” come idea dominante della vita spirituale. 

In tal senso vale anche per noi l’avviso del Santo: “fare tutto il possibile per inculcare nel cuore dei giovani l’amore di Dio, il rispetto per le cose sacre, la frequenza ai Sacramenti, la filiale devozione a Maria Santissima, e tutto quanto costituisce la vera pietà”. 

Don Bosco insegnava ai suoi ragazzi –e lo stesso dobbiamo fare noi– che il Sacramento della Penitenza e dell’Eucaristia sono “le due ali per volare al cielo” per questo insisteva che sebbene non si deve obbligare mai gli alunni a frequentare i santi sacramenti; li si deve animare e far sì che possano accedervi comodamente.

La fede che si cerca di infondere è una “fede viva, inserita nella realtà” pertanto si vede ispirata ed esercitata nelle solennità liturgiche, la preghiera, gli esercizi spirituali, tridui, novene, pellegrinaggi, processioni, la devozione alle tre ave Maria, le visite al Santissimo, la lettura spirituale, le giaculatorie, volontariati, l’appartenenza al Terz’Ordine dell’Istituto, etc. 

E fra tutte le devozioni, occupa il primo luogo quello della Vergine Madre. In effetti, “la devozione alla Santissima Vergine è l’appoggio di ogni cristiano, ma in modo speciale dei giovani”, spiegava Don Bosco. Comunque, con oculata prudenza sottolineava anche che: “io consiglierei di fare molta attenzione a non proporre più che mezzi semplici, che né spaventino né affatichino il fedele cristiano, soprattutto se si tratta di giovani. I digiuni, le preghiere lunghe e altre pratiche dure nello stile, finiscono per non farsi o si fanno di malumore e in qualunque modo. Atteniamoci alle cose facili, ma fatte bene e con perseveranza”. Mi pare che non dobbiamo ignorare questo consiglio. 

L’allegria va unita inseparabilmente alla vita di pietà di bambini e giovani. L’allegria è una caratteristica essenziale dell’ambiente familiare ed espressione dell’amore, conseguenza logica di un regime basato sulla ragione e sulla religiosità, interiore e spontanea, che ha la sua origine nella pace con Dio e nella vita di Grazia. Il giovane che si sente in grazia di Dio sperimenta una gioia naturale, sicuro del possesso di un bene che sta interamente in suo potere; e questo stato di piacere si traduce per lui, in allegria. 

Così, questo equilibrato mescolamento di sacro e profano, di grazia e natura, nell’allegria francamente umana del giovane, felice nel suo stato di grazia, deve manifestarsi in tutte le espressioni della vita quotidiana, tanto nel compimento del dovere quanto nella ricreazione. 

Don Bosco considera l’allegria come una necessità fondamentale della vita, una legge della gioventù, che è per definizione età in espansione gioiosa e libera e per questo, dice il diritto proprio: bisogna riempirla di possibilità d’allegria e dar loro “ampia libertà di saltare, correre e gridare a suo piacimento”.

Serva da incoraggiamento l’esperienza dello stesso Santo: “Contenti di quel mescolamento di devozioni, giochi e passeggiate, si affezionavano a me in maniera tale, che non erano solo obbedientissimi ai miei ordini, ma desideravano che affidassi loro qualsiasi cosa per eseguirla”.

“L’ultimo dei sette ‘segreti dell’Oratorio’, rivelati da Don Bosco nel giugno del 1875 e trasmessi da Don Barberis, è: ‘Allegria, canto, musica e ampia libertà di divertirsi”. 

Poiché l’allegria è un mezzo pedagogico e di verifica importante per colui che realizza l’apostolato con i bambini e i giovani. “Dopo la confessione –nota Alberto Caviglia–, non si può segnalare un altro centro più vitale e attivo che questo nel suo sistema. Posto che non solo nella spontaneità della vita allegra e familiare del giovane si ha una delle fonti capitali per la conoscenza delle anime; ma, soprattutto, si ha un mezzo e un’occasione di contattare uno per uno i giovani senza causare loro agitazione né timore, e dire loro in confidenza a ognuno una parola opportuna. Si pratica qui il principio vitale della pedagogia, o meglio, della vera e propria educazione: l’educazione individuale, anche se si pratica nell’ambiente dell’educazione collettiva”.

Non invano Don Bosco raccomandava con grande insistenza –consiglio di base, di grande importanza che sempre dovremmo tenere in conto per il sacrificio che implica– che i suoi religiosi passassero tutto il tempo possibile fra i giovani “e che mettessero nelle orecchie, quando l’opportunità lo richiede, quelle parole affettuose che Voi sapete molto bene”; paroline dirette all’anima. La comunicazione sincera, rispettosa, e sempre in tono amabile aiuta a creare quell’ambiente di fiducia e familiarità tanto importante nell’apostolato giovanile (e io direi in ogni tratto con le anime). Per questo scrive a Michele Rua: “Parla frequentemente con loro, insieme e separati”. Questo è importante, stare con loro e non fuggire da questo compito né per la nostra mancanza di qualità naturali per realizzarlo né per lo sforzo che implica, tentazioni non poco comuni fra di noi.

Allora, nei momenti di riunione collettiva dei giovani l’apostolo della gioventù esortava il direttore o qualche suo collaboratore a “dire sempre alcune parole affettuose in pubblico agli alunni, per avvisarli o consigliarli su quello che devono fare o evitare; si procuri di ricavare avvisi o consigli a partire di quello che è successo durante il giorno, dentro o fuori del collegio”. Ci riferiamo alle già classiche ‘Buone Notti’, indirizzare a creare e intensificare un clima generale di chiara comunicazione. Don Bosco raccomandava la brevità, “il pensierino non duri più di due o tre minuti”, perché non sia un arido sermone, ma piuttosto un bacio paterno sulla fronte del figlio prima di andare a dormire. Ci si raccomanda di utilizzare questo stesso mezzo nel nostro apostolato. 

Anche oggi –come al tempo di Don Bosco– molti dei nostri bambini e giovani provengono da famiglie ferite dalla separazione, crescendo molte volte senza la supervisione dei loro genitori, carenti dell’affetto e della sicurezza familiare e in non pochi casi, circondati dalle più diverse afflizioni con intenso coinvolgimento emotivo e operativo. 

Perciò il sistema preventivo continua a essere vigente e tanto urgente nella pastorale con i più giovani nel quale si cerca di fare “famiglia” con una ricca rete di relazioni paterne, materne, filiali, fraterne, vivendo con solidarietà fra tutti, in franca allegria e compiendo le inevitabili esigenze d’ordine e disciplina.

A tal punto risulta di capitale importanza che chi si trova a carico di questo apostolato–o coinvolto in qualche maniera in esso– procuri di riflettere sulle sue parole e sulle sue azioni, anche sui suoi silenzi, il suo amore di padre perché i giovani possano vedere il segno di un altro amore più eccelso. La amorevolezza della quale abbiamo parlato prima deve rifulgere nei nostri gesti, parole, aiuti, e nella nostra disponibilità cordiale. E anche se l’ho detto prima: l’amabilità del tratto paterno, lo sguardo sereno, il sorriso abituale predispone i cuori e ispira loro rispetto e fiducia. Al contrario, un tratto brusco, una sgarbatezza, “un’accoglienza impaziente e poco cortese”, o fargli sentire in qualche maniera che è inopportuno basterà affinché il giovane non venga a “disturbare” mai più.  

Questo ambiente familiare resta delineato in alcune Buone Notti dell’inizio dell’anno scolastico 1863-1864 nelle quali Don Bosco diceva: “Non voglio che mi consideriate come un vostro Superiore, ma come un vostro amico. Pertanto, non abbiate nessuna paura di me, nessun timore; anzi al contrario, molta fiducia che è quello che desidero, ciò che vi chiedo, ciò che aspetto come da amici veri (…). Formiamo tutti un cuore solo! Io sono disposto a servirci in ogni circostanza. Abbiate buona volontà, siate franchi, siate sinceri come io lo sono con voi”. A chi si dedica all’appassionante missione dell’apostolato con giovani e i bambini il diritto proprio dice: “Fa in modo che tutti quelli con cui parli diventino tuoi amici”, senza gridare o imporre castighi per cose da nulla. Piuttosto, “devi essere tutto per tutti, sempre disposto ad ascoltare ogni dubbio o lamento dei giovani”. 

3. La pedagogia dell’allegria e della festa: Oratori, Campeggi, etc. 

Don Bosco suggeriva a Francesco Bessuco: “Se vuoi farti buono pratica solo tre cose e tutto andrà bene (…). Eccole qui: allegria, studio, pietà. Questo è il gran programma, e se lo metti in pratica potrai vivere felice e fare molto bene alla tua anima”. Questo è anche il programma che Dobbiamo inculcare ai bambini e ai giovani con i quali lavoriamo.

Pertanto, è di grande importanza sforzarsi affinché i nostri Oratori siano festivi: “l’Oratorio festivo è un ambiente religiosamente fervoroso e moralmente sano, che coinvolga il giovane nella sua totalità per orientarlo con profondità e decisione in ordine a possedere la vita celeste in un clima di religiosità, di ragionevole amabilità, di allegria, e di libera e giovanile espansione”. 

“Tutto deve contribuire all’allegria ‘che dev’essere l’atmosfera di ogni centro di educazione’”. 

Particolarmente viene segnalato che questo spirito festivo si deve creare –oltre a ciò che è stato detto– mediante i giochi in maniera tale che diventi un ambiente di “novità” e di pienezza gioiosa dei giovani: “si raccomandano specialmente la diversità dei giochi secondo le età e i costumi del luogo”. Allo stesso modo, e per promuovere la frequenza e la buona condotta nell’oratorio aiutano molto i premi.

“È necessario da parte nostra creare l’ambiente perché si viva la festa e l’allegria. Non si deve temere di fare spese per cibo, dolci e premi che contribuiscano alla festa”, indica il diritto proprio.

Don Bosco dava grande importanza anche alla musica. “Un Oratorio senza musica è come un corpo senz’anima”, era solito dire. Questo perché la musica può dare un’aria festiva a ogni attività: processioni, escursioni, distribuzione di premi, etc. ma principalmente alle solennità liturgiche. Una banda di musica e canti, sono cose che non possono mancare in nessuna attività giovanile. Perciò vi invito a promuovere “l’insegnamento di strumenti, la formazione di gruppi folklorici e cori” fra i nostri bambini e giovani. Un bellissimo esempio da replicare dovunque si lavori con i giovani e i bambini è la banda di musica che ha il nostro Seminario Minore negli Stati Uniti.

L’allegria è essenziale allo spirito dell’Oratorio. È vestire a festa la vita del cristiano, specialmente la domenica. Così lo afferma lo stesso Direttorio di Oratorio: “in questo sta tutto il segreto e la prosperità dell’Oratorio. Quando un direttore non è capace, con sante industrie, di vestire a festa tutte le domeniche il suo Oratorio, o anche avendo stupende iniziative, non le sa comunicare ai suoi aiutanti, ma a grandi linee e solo al momento di metterle in pratica, allora l’Oratorio si trasformerà in una piccola Babele e i giovani inizieranno a stancarsi e smetteranno di frequentarlo”.  

Un altro aspetto perfetto per questo “spirito oratoriano” sono i campeggi che con tanto frutto si realizzano nella gran parte delle nostre missioni. 

Per Don Bosco i campeggi “erano una maniera di mettere in pratica il principio di volere quello che vuole il giovane, perché il giovane voglia quello che vuole l’educatore”. Lo stesso è per noi. 

Questo bellissimo apostolato –nelle sue molteplici forme: escursioni, uscite, passeggiate, vacanze in comunità, pellegrinaggi, ecc.–  non solo contribuisce a creare quel clima d’allegria cristiana che è parte essenziale della formazione integrale del giovane, ma ha un’importanza educativa efficace e duratura. Lo stesso santo diceva: “le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina e favorire la moralità e la salute”; è “far palpare” “che si può servire Dio con una sana allegria”. 

Allora, il diritto proprio specifica con ogni dettaglio la che si deve mettere nell’organizzare questo tipo di apostolati: “per noi è inconcepibile organizzare campeggi che non siano ‘scuola di vita’, ossia, senza disciplina, senza una forte impronta religiosa. Abitualmente li organizziamo con due momento forti di preghiera: la mattina, la Santa Messa; la sera, l’Adorazione eucaristica, o il Rosario se sono laici. Di notte, si diano loro le ‘buone notti’. Questo semplice schema vale per tutte le altre attività”.

Il campeggio dev’essere formativo, deve aiutare il bambino o il giovane a conoscere di più la sua patria e amarla, a capire in concreto cosa sia essere cattolici, cioè, che si sappia vivere bene la propria religione, che impari a essere disciplinato, avveduto, responsabile, servizievole, educato… Dev’essere una scuola di Vita per raggiungere la Montagna, che è Cristo. 

E anche se molti di voi questo già lo sanno, credo che valga la pena ricordarlo: nei nostri campeggi, e lo stesso vale per qualunque dei nostri apostolati con i più giovani, non si deve perdere tempo, bisogna approfittarne al massimo! Animandoli a praticare tutte le virtù, in particolare quella dell’eutrapelia, sfruttando tutti gli sport possibili e sani, in una parola, far sì che i preferiti del Cuore di Cristo abbiano l’esperienza che il cristianesimo è vita in pienezza. 

Tutto ciò che è stato menzionato fino a qui, con le sue dovute applicazioni secondo che si tratti di un collegio, di un gruppo di universitari, di una casa di carità, ecc. E qualunque sia l’attività che con loro si realizzi, si deve fare seguendo i principi insegnati da San Giovanni Bosco, come già si fa con frutto innegabile ma ogni volta con maggiore impegno e senza risparmiare i mezzi per la gloria di Dio, il bene delle giovani anime e la nostra santificazione. In tal senso mi pare di non minor importanza che i nostri formandi siano istruiti nel sistema preventivo già fin dal noviziato. 

“Se si mettono in pratica questi suggerimenti”, diceva il Santo educatore, “la nostra Società sarà sempre più fiorente davanti agli uomini, sarà benedetta da Dio e raggiungerà la sua meta, il che non è altro che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”.  Penso che lo stesso valga per il nostro Istituto. 

All’avvicinarsi della festa di Maria Ausiliatrice, “che dev’essere il preludio della festa eterna che Dobbiamo celebrare tutti insieme un giorno nel paradiso”, voglio ringraziare ed esprimere il mio più grande apprezzamento per l’utilissima e onorevole missione che è l’educazione della gioventù e che instancabilmente realizzano tanti dei nostri in favore di moltissimi bambini e giovani non senza sacrificio e amorosa dedizione. 

Raccomandiamo tutti alla Vergine, così come anche le anime di tutti i bambini e i giovani che la provvidenza ci ha affidati, perché grazie al nostro sforzo intrepido in favore della porzione prediletta del Cuore di Gesù possiamo formare uomini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, Maestro e Signore. 

Con grande affetto nel Verbo Incarnato en ella Vergine Santissima, vi saluto e mando un forte abbraccio a tutti.

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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