La Chiesa Cattolica respira con due polmoni: quello orientale e quello occidentale

Roma, 1 gennaio 2019.

Solennità di Maria Madre di Dio 

Lettera Circolare 30/2019

La Chiesa Cattolica respira con due polmoni: quello orientale e quello occidentale

Cfr. Direttorio di Spiritualità, 260

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi: 

Ho il piacere di salutarvi tutti in questo felice giorno in cui la Chiesa intera celebra il primo e certissimo dogma mariano, il quale afferma che la Vergine Maria è Madre di Dio: Theotokos

L’espressione Theotokos, che letteralmente significa “colei che ha generato Dio”, fa riferimento all’augusto mistero per il quale la Vergine Maria è la “Madre del Verbo Incarnato, che è Dio”. Questa verità fa parte del patrimonio dell’unica fede cattolica della Chiesa, tanto in Oriente quanto in Occidente.  

Dato che tra pochi giorni i nostri religiosi del Ramo Orientale -numerosi membri di rito bizantino e di rito copto– celebreranno la nascita del Verbo Incarnato, e che inoltre quest’anno celebreremo con grande gioia il 25° anniversario della fondazione dell’Istituto in Ucraina, vorrei dedicare la presente lettera circolare al “posto privilegiato e imprescindibile che l’illustrissima dottrina del Santo Dottore Tommaso d’Aquino occupa nel lavoro di evangelizzazione delle terre orientali”. Tale verità è chiaramente evidenziata nel diritto proprio e deve contraddistinguere la missione dei nostri membri nei posti in cui si celebrano questi preziosi riti, veri tesori della Chiesa.

Infatti, la stessa “ragione teologica” che ha spinto i nostri superiori a mandare missionari nei paesi slavi dell’Europa Orientale –e che, in definitiva, è la stessa che li ha motivati a inviare missionari in Medio Oriente già da poco più di venticinque anni– si riduce a un principio espresso con questa metafora: “La Chiesa Cattolica respira con due polmoni: quello orientale e quello occidentale”. 

Per noi è e sarà sempre un orgoglio, non solo vantare membri provenienti dalle Chiese cattoliche orientali, ma anche aggiungere il nostro sforzo per contribuire all’evangelizzazione nelle sue Chiese particolari; perché comprendiamo che “prolungare l’Incarnazione in ‘ogni uomo’ implica non solo prolungarla nell’uomo e nella donna, nel bambino, nel giovane o nell’anziano, ma anche nell’uomo occidentale e in quello orientale, in qualunque diversità di riti e in qualsiasi Chiesa particolare attraverso la quale s’incorporano all’unica Chiesa Cattolica”. Infatti, “l’appartenenza alla Chiesa non è mai solo particolare, ma in ragione di sé stessa è sempre universale”. 

Che la Madre di Dio voglia servirsi di queste righe per portare a tutti i nostri religiosi del Ramo Orientale la nostra più sentita riconoscenza. Il fatto di avere tali religiosi fra i nostri membri è una grazia immensa per l’Istituto, ed entrare in contatto con le loro culture, i loro riti e le loro tradizioni, è una ricchezza per tutti noi.

1. Formazione nella Dottrina di San Tommaso d’Aquino

Il nostro Direttorio di Spiritualità proclama con fermezza che “la Chiesa di Cristo è la comunità universale dei discepoli del Signore, che si estende a tutti i tempi, a tutti i luoghi, a tutte le razze, lingue e culture. È cattolica, universale”. E aggiunge: “La Chiesa è cattolica anche nella dottrina”, nonostante la varietà di scuole teologiche, i diversi e venerabili riti liturgici, ecc., perché tutto ciò è parte della ricchezza della cattolicità della Chiesa.

Noi, con sano orgoglio, affermiamo di essere “membri di un’unica Famiglia Religiosa missionaria, ma soprattutto siamo figli della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica che ‘respira’ con due polmoni: quello orientale e quello occidentale”.

Perciò, i nostri seminaristi e novizi di rito orientale –qualunque esso sia– non devono solo formarsi nella spiritualità e nella disciplina proprie della chiesa sui iuris alla quale appartengono o nella pratica dei loro riti, celebrando la propria liturgia nei limiti del possibile , ma devono anche formarsi secondo la dottrina di San Tommaso d’Aquino. Tutto questo perché, sebbene è certo che “esistono una teologia e una spiritualità propriamente orientali, conformi alla molteplicità di ogni popolo -segno che l’Incarnazione rispetta le diverse culture- non si può opporre la teologia orientale a quella occidentale, né la spiritualità orientale a quella occidentale”.

Noi crediamo –senza paura di sbagliarci– “che il grande sintetizzatore di entrambe le teologie sia stato San Tommaso d’Aquino, il quale, come diceva il Cardinal Slipyj, è l’unico ad aver utilizzato come fonti della teologia cristiana tanto i Padri latini quanto i Padri greci, e tutto ciò in maniera abbondantissima. Per questo, i religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato che lavorano nelle terre orientali, non devono temere di proporre la dottrina perenne del Dottore Angelico con il falso pretesto che si tratti di una dottrina non conforme alla mentalità orientale”. 

Per questo, il Direttorio del Ramo Orientale dedica quattordici paragrafi a sottolineare l’importanza dello studio di San Tommaso per la formazione dei nostri membri di rito orientale e lo fa “seguendo il pensiero profondo del Card. Slipyj”. Dunque, prima di passare al tema principale di questa lettera vorrei offrire una breve rassegna biografica su questo grande principe della Chiesa.

2. Il più grande ucraino dei nostri tempi

Chi fu questo Cardinale? San Giovanni Paolo II, celebrando la Messa in suffragio per la sua anima, disse: “la sua memoria resterà indelebile negli annali della storia civile e religiosa; non potremo mai dimenticare la sua figura ascetica e gerarchica, severa e solenne: soprattutto non potremo mai dimenticare l’insegnamento che ha dato con la totalità della sua vita”. 

Il Cardinal Josef Slipyj nacque a Zazdrist, provincia di Ternopil, Ucrania, il 17 febbraio 1892, in una famiglia greco-cattolica. Mosso dalla sua ardente vocazione sacerdotale, entrò nel seminario greco-cattolico di Lviv, iscrivendosi alla Facoltà di Teologia dell’Università di quella stessa città. Lì restò poco tempo, poiché per iniziativa del Metropolita Andryj Szeptyckyj (1865-1944), il quale avvertì le sue straordinarie doti intellettuali e la statura della sua personalità, fu mandato a Innsbruck, Austria, a svolgere gli studi filosofici e teologici superiori. 

Fu ordinato sacerdote l’8 dicembre 1917 e l’anno seguente conseguì il dottorato in teologia.  Studiò inoltre a Roma in tre atenei pontifici. Una volta ritornato definitivamente in Ucrania, svolse l’incarico di professore nel Seminario della Metropolía Greco-cattolica di Lviv (Leopoli). 

Il 1 novembre 1944 fu consacrato Arcivescovo di Halyč e Kamieniec. Ma l’anno successivo, l’11 aprile 1945, venne incarcerato, giacché l’URSS dichiarò illegale l’esistenza della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, procedendo alla sua liquidazione e proibizione definitiva. Trascorse i seguenti ventotto anni prigioniero in Siberia -e non solo, perché lo trasferirono molte volte-, soffrendo e offrendo tutto per l’unità della Chiesa.

Fu liberato grazie all’intercessione di San Giovanni XXIII, il 12 gennaio 1963, per rendere possibile la sua partecipazione al Concilio Vaticano II. In quel momento iniziò una tappa davvero gloriosa per il Cardinale. Fondò immediatamente l’Università Cattolica Ucraina “San Clemente Papa” (1963), ricominciò le attività della “Società Teologica Scientifica” e la pubblicazione della rivista Bohoslovia. Due anni dopo, fu fatto cardinale da San Paolo VI e il 23 dicembre di quello stesso anno, il Papa gli concesse il titolo di Arcivescovo Maggiore di Kiev-Halyč. 

Durante questa seconda permanenza definitiva nella Città Eterna, il Card. Slipyj si dedicò all’organizzazione della gerarchia Greco-Cattolica Ucraina e alla conservazione del patrimonio spirituale e culturale del popolo ucraino sparso per tutto il mondo. Visitò, nei suoi numerosi viaggi, le comunità di ucraini emigrati, lasciandoci un brillante esempio missionario e di ardore pastorale. Solo per capire, basti dire che nel 1968 dedicó quattro mesi alla sua prima visita pastorale visitando numerose comunità ucraine in Canada, negli Stati Uniti e in vari paesi del Sudamerica. Arrivà perfino in Argentina, dove il governo lo ricevette come ospite d’onore e produsse un francobollo commemorativo. Mosso dal suo zelo missionario, attraversò anche il Pacifico per assistere i greco-cattolici in Australia e in Nueva Zelanda. Nel 1981 fu nominato membro dell’Accademia Pontificia “San Tommaso” in merito alla sua opera di diffusione del pensiero dell’Aquinate nell’ambito intellettuale ucraino. 

Morì il 7 Settembre 1984, nella sede dell’Università Cattolica Ucraina a Roma, all’età di 93 anni. 

Di lui possiamo dire che “fu uno studioso appassionato, un sacerdote e un vescovo che seppe guidare splendidamente il suo gregge disperso e spaventato. Fu senza dubbio il miglior ucraino dei nostri tempi. Fu un confessore di Cristo che soffrì carcere, torture, fame, freddo, scherni, degradazioni e umiliazioni. Fu un grande cardinale, un vero principe della Chiesa, il cui nome diede lustro al Sacro Collegio. Era solito dire: ‘Laddove si trova la mia Chiesa, lì devo esserci io per difenderla’”. 

Fra le opere di questo grande cardinale ucraino si contano circa una decina di scritti accademici di carattere tomista, tra i quali possiamo enumerare: De valore S. Thomae Aquinatis pro Unione eiusque influxu in theologiam orientalem (1921) –citato abbondantemente e in maniera esplicita nel nostro Direttorio del Ramo Orientale-; S. Tommaso e la Teologia d’Oriente (1924); S. Tommaso d’Aquino e la Scolastica (1925); San Tommaso e la scienza filosofica e teologica nell’Oriente (1969), Saggio sulla storia della filosofia medievale scolastica (1974), ecc. 

Parlando della sua opera, S. Tommaso d’Aquino e la Scolastica, spiegò: “in occasione del 600º Giubileo della canonizzazione [di San Tommaso], durante gli anni accademici 1922-1924, ho istituito per i nostri studenti di teologia un corso su San Tommaso d’Aquino. Mi è sembrato molto necessario, perché fra di noi rimane ancora una visione antiquata del Medioevo, in particolare della Scolastica, e inoltre perché non gli è stata generalmente dedicata la benché minima attenzione nelle ricerche più recenti realizzate in questo campo. Mi è stato facile trattare questa materia perché poco tempo prima, per due anni (1920-1922), mi sono dedicato a Roma alla Teologia medievale”. 

3. Perché il mondo orientale deve studiare San Tommaso?

Il nostro diritto proprio risponde a questa domanda facendo uso dello studio magistrale e dell’analisi del Cardinal Slipyj. E’ lui che ci guida fornendoci in qualche modo i motivi per i quali “vogliamo risaltare l’importanza del Dottore Angelico per l’evangelizzazione e per l’opera dell’ecumenismo, specialmente con le chiese ortodosse”. Vediamo alcuni dei suoi testi:

  • Perché “le opere di San Tommaso hanno mitigato la freddezza e il distacco della separazione delle chiese e hanno dato ai difensori dell’Unione delle armi adatte e sicurissime. Gli Orientali si sono appropriati di molti dei suoi argomenti (sulla processione dello Spirito Santo e la dottrina dei sacramenti). Nelle opere dell’Aquinate si è manifestata evidentemente agli Orientali la profondità della teologia occidentale e si è ravvivata la loro produzione decadente. Penso di non essere molto lontano dalla verità quando affermo che quanto più profondamente i teologi orientali hanno conosciuto le opere di San Tommaso, tanto più fermamente hanno aderito alla unione delle Chiese”.
  • Perché “l’ unione delle Chiese agitava sinceramente e con vigore la mente e il cuore dell’Aquinate, al punto tale che gli opuscoli Contro gli errori dei greci, Al cantore di Antiochia, il Commento alle Sentenze, le Quaestiones Disputatae sulla verità e sulla potenza, la Summa contra Gentiles e la Summa Theologiae abbondano copiosamente di temi disputati fra Occidentali e Orientali. Anche prima della sua santa morte, obbedendo a un mandato del Papa, San Tommaso non dubitò a incamminarsi verso Lione per lavorare alla causa dell’unione, anche quando sentiva che il corpo gli negava il sostegno necessario per tale desiderio della sua anima”.
  • Perché “la Chiesa Cattolica rende i massimi onori all’Aquinate. I Sommi Pontefici e il Codice di Diritto Canonico lo hanno dichiarato in maniera onorifica come guida negli studi (studiorum ducem), decretando che si doveva tornare alla filosofia e alla teologia di San Tommaso, e che queste si devono spiegare nello spirito e secondo la mente del Dottore Angelico. Penso che in questa esortazione si trovi il desiderio implicito che il lavoro scientifico dell’azione unionista si fondi sulle opere dell’Aquinate”. 
  • “Inoltre, in Oriente si deve coltivare in particolare lo studio di San Tommaso, anzitutto: 
  • Perché la Scolastica del primo periodo nacque in Oriente e si sviluppò a partire dalla teologia e filosofia patristica;  
  • Perché certamente la teologia e la filosofia orientali rifiorirono sotto l’influsso di San Tommaso e della scolastica, e grazie ad esse è stata promossa l’unione. Effettivamente, l’unione delle chiese è stata riaffermata in seguito all’influsso dell’Aquinate in Oriente”. 

E’ inoltre sommamente importante lo studio di San Tommaso nell’opera dell’ecumenismo, specialmente nei riguardi delle chiese ortodosse. Perciò, il Cardinal Slipyj ci avverte con pertinenza: “Nessuno ignora che la dottrina scolastica e di San Tommaso non sia di nessun gradimento agli Orientali Ortodossi, i quali perfino la detestano. Le ragioni di tale dissenso sono due”:  

– “La prima ragione è che gli ortodossi pensano che la scolastica sia contraria alla mentalità degli Orientali, e che abbracciandola si rinneghi la tradizione teologica dell’Oriente e si abbandoni un metodo consacrato per secoli. Inoltre, secondo loro, la scolastica occidentale consiste in un formalismo, nella difesa di questioni dogmatiche super-dialettiche, nell’esame di distinzioni esagerate e di opinioni futili e ridicole”.  

“I teologi ortodossi hanno ereditato un simile giudizio dai protestanti e l’hanno indurito con i loro preconcetti. Tuttavia, una volta esaminata meglio la questione, questa persuasione manca completamente di fondamento: la scolastica non si oppone minimamente alla tradizione orientale”. 

– “La seconda ragione del dissenso fra Oriente ed Occidente riguarda la lingua, che trova una difficoltà nella traduzione dei concetti. Per esempio, suonano identici sostanza e ipostasi, ma il significato è completamente diverso; allo stesso modo causa e principio. L’Aquinate precisa i termini e permette l’intelligenza di questi termini per applicarli alle verità teologiche dove, apparentemente, vi sono discrepanze. Per tale motivo è importante la dottrina di San Tommaso, perché è l’unica che salva le differenze chiarendo i veri termini che potrebbero rendere possibile l’unione con gli ortodossi”.

Ed ecco che si presentano “i vantaggi dello studio di San Tommaso e della scolastica per gli orientali: 

  1. Lo sforzo realizzato da San Tommaso e dopo dalla Scolastica per dichiarare ed esporre le verità della fede, dando loro un ordine e un nesso logico, mostrano come l’Oriente e l’Occidente non solo non si oppongono, ma si complementano e si sintetizzano in una stessa dottrina cattolica. Avendo preso dai Padri greci e latini, il Dottore Angelico ha saputo sintetizzare il pensiero tanto orientale quanto occidentale, spiegando i termini con precisione e dando la possibilità di risolvere le difficoltà che si opponevano contro le verità rivelate. 
  1. Alla base della filosofia quanto della teologia di San Tommaso vi è la dottrina di Aristotele, il massimo filosofo greco introdotto nella teologia –si noti bene– dai Padri greci. 
  1. Allo stesso modo, i teologi scolastici costruirono la loro opera, com’è già stato detto, sulle opere patristiche, specialmente su Agostino, per quanto il metodo derivasse dai Padri greci”.

Oltretutto, San Tommaso ha già dato la soluzione a molte delle difficoltà degli ortodossi che attualmente si sostengono.  

In effetti, “per l’influenza della patrologia greca nelle opere di San Tommaso, possiamo affermare la dipendenza della teologia occidentale da quella greca. Un altro motivo per il quale non solo entrambe le teologie non si oppongono, ma vi è una mutua e reciproca complementarietà”.

In modo tale che “se le opere di Sant’Agostino –dice il Card. Slipyj– non hanno lasciato tracce più profonde in Oriente, ciò è dovuto all’ignoranza della lingua latina fra i greci. Cosa che non accadde con San Tommaso, perché nel medioevo questo ostacolo fu superato, oltre al fatto che i promotori dell’unione erano obbligati a leggere le opere latine”.

“Alla luce di quanto è stato detto”, conclude il diritto proprio, “i seminaristi maggiori si formeranno nella dottrina di San Tommaso d’Aquino”.

Non fa male tornare a ricordare che lo studio di San Tommaso –per ogni membro del nostro caro Istituto del Verbo Incarnato– è d’importanza centrale nella nostra formazione ed è uno degli elementi non negoziabili aggiunti al carisma. È precisamente questo ciò che ci permetterà di “mordere la realtà” e non battere colpi in aria nella sublime avventura dell’evangelizzazione delle culture. 

Questo abbracciare la grazia del tomismo va anche relazionato intimamente con un altro elemento non negoziabile aggiunto al carisma: la fedeltà al Magistero, poiché questo “ha proclamato che la dottrina di San Tommaso è la sua propria dottrina”. Inoltre, da ciò si deduce il grande “plus” che significa, per i nostri membri, la formazione a Roma, la quale permette loro di “essere testimoni, giorno dopo giorno, della tradizione viva della fede tale quale è proclamata dalla sede di Pietro”. Ciò porta con sé queste virtù di “apertura universale, fedeltà al magistero, spirito missionario, longanimità e magnanimità” tanto necessarie per permeare le culture con il Vangelo.  

4. Liturgia e spiritualità proprie

Tutti sappiamo con quanto fervore i nostri membri delle Chiese cattoliche sui iuris orientali celebrano il culto liturgico, soprattutto l’Eucaristia. Molti di noi hanno avuto l’opportunità di apprezzare quanto sia magnifica e appagante per l’anima la celebrazione dell’Eucaristia secondo il rito copto o secondo il rito bizantino nella nostra Famiglia Religiosa. Con molto piacere siamo portati ad affermare che i suddetti riti sono in verità una ricchezza per la Chiesa, come una stessa melodia eseguita in toni diversi che loda splendidamente la trascendenza e l’insondabile grandezza di Dio.

Questa varietà di riti nella Chiesa “non solo non danneggia la sua unità, piuttosto la rende esplicita; [e] è desiderio della Chiesa Cattolica che le tradizioni di ogni Chiesa particolare o rito si mantengano salve ed integre nelle diverse necessità di tempi e luoghi” perché esse la abbelliscono ancora di più. 

Da questo deriva l’importanza che i nostri membri “ricevano la formazione liturgica, spirituale e disciplinare propria della Chiesa sui iuris alla quale appartengono” e che la sappiano trasmettere alle generazioni future in tutta la sua purezza. Perché la degna celebrazione della Santa Messa e il posto rilevante che essa occupa nelle nostre vite e nella nostra missione evangelizzatrice è anche uno degli elementi non negoziabili aggiunti al carisma. Pertanto, tutti i nostri sacerdoti –qualunque sia il rito al quale appartengono– devono essere maestri nell’ars celebrandi (e i nostri fratelli religiosi e le religiose devono sforzarsi, da parte loro, di vivere nel modo più perfetto l’ars participandi). 

In questo senso il diritto proprio, seguendo gli insegnamenti del Magistero petrino, ci dice: “sappiano e tengano per certo tutti gli orientali, che possono e devono conservare sempre i loro legittimi riti liturgici e la loro disciplina, e che non devono introdurre cambiamenti se non a ragione del loro organico progresso”. 

Vorrei inoltre evidenziare che sebbene i nostri novizi debbano essere formati secondo la spiritualità della propria chiesa sui iuris alla quale appartengono, si “cercherà che i novizi conoscano anche i grandi maestri spirituali della Chiesa universale”, per essere così sempre colmi dell’identità e carisma propri dell’Istituto che tutti dobbiamo rispettare e conservare. E ciò che si dice dei novizi si deve dire anche di ogni membro dell’Istituto di rito orientale. 

In tal senso i Padri Capitolari, nell’ultimo Capitolo Generale, affermavano che “la protezione dei propri riti e la loro promozione, devono coesistere con una chiara coscienza dell’appartenenza all’ IVE, e la disposizione e lo spirito missionario, salve le disposizioni della Chiesa in merito”. 

Sapete molto bene che avere “una spiritualità seria” è inerente alla nostra qualità di religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato, il quale enfatizza le cose essenziali, lasciando da parte ogni formalismo; che si sforza di avere una visione “provvidenziale” di tutta la vita e che, mantenendo “sempre davanti a sé il mistero dell’Incarnazione, sa evitare le dialettiche e assumere ciò che è autenticamente umano… Perché, così come ogni eresia cristologica parte da un errore nella concezione del mistero dell’Incarnazione, lo stesso può succedere nella nostra vita e nel nostro apostolato”. Pertanto, i nostri missionari, specialmente quelli nei territori orientali, devono sapere “come agire rispettando gli elementi propri di ogni tradizione”, i riti caratteristici, “senza perdere la propria identità né il carisma dell’Istituto”. 

Stiamo molto attenti a non fare “una falsa dialettica fra i diversi riti come se fossero in competizione gli uni con gli altri, mettendo rivalità; o volendo cercare di stabilire un ordine gerarchico di subordinazione illecita o inadeguata fra i riti liturgici. Oppure, di riformare riti e costumi mescolandoli con alcuni elementi di altri riti”. 

Per quanto riguarda noi, non significa per nulla cadere in particolarismi, riduzionismi, parzialità o unilateralismi che attentino contro la cattolicità. Lo ripeto: la Chiesa cattolica respira con due polmoni: “non si può respirare come cristiano, direi di più, come cattolico, con un solo polmone; bisogna avere due polmoni, cioè, quello orientale e quello occidentale”. 

Di conseguenza, il Direttorio del Ramo Orientale, con saggia pertinenza ci esorta a “un fine discernimento per promuovere tutto ciò che è autenticamente umano e tradizionale e che appartiene al patrimonio bimillenario della Chiesa, distinguendolo e proteggendolo da tutto ciò che impoverisce la diversità e l’unità della Chiesa”. Il che è un grande aiuto alla causa dell’ecumenismo e, certamente, per attirare vocazioni orientali. 

Così, allora, da un lato, i nostri membri del Ramo Orientale hanno il dovere della fedele osservanza delle loro tradizioni liturgiche, di conservarle e trasmetterle fedelmente alle generazioni future, dato che “formano parte integrante del patrimonio della Chiesa di Cristo”. 

Ma, dall’altra parte, anche “è necessario” –diceva il nostro caro Giovanni Paolo Magno– “che i figli della Chiesa Cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza quel tesoro e sentire così, allo stesso modo del Papa, l’anelo che si restituisca alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non solo da una tradizione, né molto meno da una comunità contro l’altra; e il desiderio che anche tutti noi possiamo godere pienamente di quel patrimonio indiviso, e rivelato da Dio, della Chiesa universale, che si conserva e cresce tanto nelle vite delle Chiese d’Oriente quanto in quelle d’Occidente”. 

Per grazia di Dio, già da 25 anni possiamo contemplare come una preziosa e viva realtà, con gioia riconoscente, quel desiderio espresso nel diritto proprio con le seguenti parole: “è nostro desiderio poter avere nell’Istituto un ramo orientale al fine di aiutare i nostri fratelli delle Chiese d’Oriente”.

Attualmente, la nostra cara Famiglia Religiosa ha una nutrita quantità di membri del ramo orientale, includendo anche le suore dell’istituto Serve del Signore e della Vergine di Matará. A questo numero si devono aggiungere tutti i membri del Terz’Ordine secolare che dalle nostre missioni nelle chiese orientali si associano al nostro impegno missionario.

Durante tutti questi anni le nostre missioni nelle Chiese Orientali sono aumentate: Deo gratias! Continua a essere valida l’esortazione del Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa: “Oggi, specialmente in Oriente, vi è un’urgente necessità di evangelizzazione”. 

Perciò in questo primo giorno dell’anno e a pochi giorni dalla celebrazione della Nascita del Dio Incarnato secondo il calendario delle Chiese orientali, voglio esortare tutti i nostri membri del Ramo Orientale a conservare con fervore la loro tradizione come un patrimonio spirituale peculiare, che sia la forza della loro vita e della loro attività missionaria. 

Abbiate sempre presente che l’attività pastorale –come dice il Santo Padre– dev’essere vista come l’anima di tutta l’evangelizzazione e di tutta la pastorale della Chiesa e questa rappresenta per noi un “apostolato indispensabile”. In voi, Dio ha Benedetto il nostro Istituto con vocazioni orientali di grande qualità. La vocazione è amore che può solo essere ricambiato con l’amore. Sappiano ringraziare per questo prezioso dono fomentando e guidando ancora più vocazioni.  

Ricordate sempre la grande testimonianza di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al successore di Pietro che diedero gli innumerevoli santi e martiri d’Oriente: Sant’Atanasio, San Cirillo, San Pacomio, Santa Caterina d’Alessandria, San Basilio Magno, San Giovanni Crisostomo, San Giosafat, i 27 beati martiri greco-cattolici, San Marone, San Charbel Maklouf, Santa Rafqa e tanti, tantissimi altri. Imparino la lezione spirituale e apostolica dei santi: “non anteporre nulla a Cristo!” Facciano come loro tutto il possibile per “amare e servire, e far amare e far servire Gesù Cristo: il suo Corpo e il suo Spirito. Tanto il Corpo fisico di Cristo nell’Eucaristia, quanto il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa”. Questa è e sarà sempre la nostra missione. In altre parole: scelgano sempre con coraggio la santità.

Duc in altum! La missione “rafforza la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni; la fede si rafforza donandola!” 

Vi raccomando tutti alla Madre di Dio che dal principio prega con la Chiesa e per la Chiesa. E v’invito tutti a pregare per l’aumento di vocazioni sacerdotali e religiose proveniente dalle chiese orientali e perché, tutti uniti sulla roccia che è Cristo facciamo brillare la luce della verità del Vangelo in ogni angolo del mondo.

Felice giorno della Vergine Maria a tutti! 

E ai membri dei nostri rami orientali, Buon Natale! Щасливого Різдва! عيدَ ميلادٍ مَجيد!

Un grande abbraccio, 

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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