Sulla nostra fedeltà al fine specifico della nostra famiglia religiosa

1 gennaio 2017.

Lettera Circolare 6/2017

Sulla nostra fedeltà al fine specifico della nostra famiglia religiosa

Cari Padri, Fratelli e Seminaristi,

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica nel suo documento Orientamenti sulla Formazione negli Istituti Religiosi sostiene che “la vita personale di un religioso o di una religiosa non dovrebbe soffrire divisioni né tra il fine generico della sua vita religiosa e il fine specifico del suo istituto, né tra la vita religiosa in quanto tale da una parte e le attività apostoliche dall’altra. Non esiste concretamente una vita religiosa «in sè» sulla quale si innesterebbe, come un’aggiunta sussidiaria, il fine specifico ed il carisma particolare di ogni istituto”.

Come tutti sappiamo, la nostra stessa consacrazione ci obbliga “a collaborare con ogni entusiasmo all’opera missionaria” secondo il modo proprio dell’Istituto e “secondo la forma della propria vocazione sia con la preghiera, sia con il ministero apostolico, affinché il Regno di Cristo si stabilisca e si rafforzi nelle anime dilatandosi nel mondo intero”. Evitando di cadere nell’errore di “trascurare -dialetticamente- le opere di apostolato che si devono portare a termine, per ‘salvare’ la vita religiosa e la formazione corrispondente” o rifugiarsi nella comodità del lavoro manuale essendo “negligenti nel lavoro intellettuale che richiede uno sforzo particolare”, come chiaramente avverte il Direttorio di Vita Consacrata.

Non dobbiamo dimenticarci che “si tratta di compiere il dovere di stato, assegnando a ogni cosa il suo posto secondo la sua oggettiva gerarchia, e secondo il carisma dell’Istituto, al fine di compiere perfettamente la volontà di Dio” .

È perciò che l’inizio di questo nuovo anno mi è sembrato una buona occasione per dedicare questa Lettera Circolare a riflettere, anche se brevemente, su questo aspetto tanto fondamentale e tanto profondamente radicato nel carisma del nostro Istituto, come lo è nostro fine specifico.

Ossia, sul fatto che – come rimane plasmato nelle nostre Costituzioni e fervorosamente ripetiamo al professare i nostri voti -, noi, religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato, “impegniamo tutte le nostre forze per inculturare il Vangelo, ossia, per prolungare l’Incarnazione in ogni uomo, in tutto l’uomo e in tutte le manifestazioni dell’uomo, d’accordo con gli insegnamenti del Magistero della Chiesa.”. 

Voglia Dio attraverso queste righe suscitare nelle nostre anime un rinnovato ed entusiasta compromesso missionario. Perché come tanto fervorosamente diceva il Padre spirituale della nostra Famiglia Religiosa: “Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli”.

Oggi vediamo con profondo dolore, che molte congregazioni decadono e altrettante muoiono, che i numeri delle principali congregazioni nella Chiesa cadono in modo allucinante, che si chiudono conventi, che spariscono congregazioni religiose (più di trecento secondo i dati della CIVCSVA si sono chiusi dal Concilio Vaticano II fino ad oggi) che hanno avuto momenti di gloria, che il numero di vocazioni collassa in tutto il mondo.

Sebbene questo ci causi molto dolore, è per noi anche motivo di speranza pensare che, in mezzo a questa evidente realtà, la Divina Provvidenza ha suscitato la nostra piccola famigli religisa. Che lo Spirio Santo ci guida e che ci concede – con tutti i nostri limiti e miserie – la grazia di crescere, di avere nuove, giovani ed entusiaste vocazioni, di aprire case (non di chiuderle) nei cinque continenti, che le nostre opere siano in generale ogni volta più forti da quando sono cominciate, che la nostra testimonianza è convincente sotto molti aspetti. Come sapete abbiamo numerose richieste di fondazione (più di 200), molte delle quali fatte da vescovi che scrivono disperati chiedendoci aiuto, che gli inviamo missionari, che salviamo le loro parrocchie.

Malgrado le tante calunnie e le false critiche che si sono diffuse, bisogna dirlo, come si è visto nel recente Capitolo Generale, che date le circostanze generali i nostri livelli di perseveranza sono per grazia di Dio alti, certamente più alti che il livello esistente nella Chiesa Universale, incluso nel paese in cui siamo nati, Argentina. Tutti sappiamo e siamo coscienti che questa è una grazia immeritata di Dio, ma allo stesso tempo rappresenta un’immensa responsabilità. Responsabilità che si riassume in una parola: “fedeltà”. Fedeltà allo Spirito Santo e al dono del carisma concesso; fedeltà alla Santa Chiesa, Sposa di Cristo e Sacramento universale di salvezza; fedeltà alla formazione che abbiamo ricevuto (che è tanto apprezzata da tanti vescovi e autorità ecclesiastiche); fedeltà alla grazia della fondazione, ossia alla grazia di “essere agli inizi stessi di una nuova famiglia religiosa”, fedeltà davanti alla sfida di conservare le nostre abitudini, le nostre tradizioni e i nostri principi.

Tutto questo si potrebbe riassumere in una frase, fedeltà al fine specifico del nostro istituto e sotto il quale consacriamo le nostre vite, professando che “impegniamo tutte le nostre forze per inculturare il Vangelo”.

1. Impegniamo tutte le nostre forze.

Insegna San Tommaso in modo molto illuminante che “gli atti che hanno per oggetto il bene spirituale dell’anima sono più utili al prossimo di quelli che si ordinano al bene corporale e sono un maggiore servicio di Dio, al quale nessun sacrificio è più gradito che lo zelo per le anime”.

Quindi, per offrire questo sacrificio che è più gradito a Dio, in primo luogo, c’è qualcosa che è determinante ed è la nostra fede. La missione nasce dalla fede in Gesù Cristo e solo nella fede si comprende e si fondamenta. Solo spinto dalla fede il missionario può dire con l’Apostolo: mi prodigherò e mi consumerò. Solo mosso dalla fede, il missionario sarà disposto a volersi consumare per il bene delle anime a lui affidate e ancor di più, vorrà perseverare nel consumarsi poco a poco per gli altri fino alla fine. Perciò “l’esito del nostro apostolato dipende dalla forza della nostra fede” .

 In questo senso il Beato Paolo Manna scriveva ai suoi missionari: “Il missionario è per eccellenza un uomo di fede: nasce dalla fede, vive della fede, per essa lavora con gusto, soffre con gusto, soffre e muore. Il missionario che non è questo, è al massimo, un apprendista dell’apostolato, e presto sarà un peso per la missione, il fracasso di se stesso e, Dio non voglia, sarà causa di perdizione per le anime” .

È perciò che questo impegnare tutte le nostre forze implica un inzupparsi dello spirito di Cristo per poi essere disponibili a usare i doni ricevuti con generosità, per fare il bene a tutti, sempre e in ogni luogo. È il consumare il nostro tempo e i nostri beni, incluse le nostre stesse forze fisiche, per ricostruire il mondo in Cristo, anche in mezzo a tanti sacrifici, forse in mezzo a circostanze molto avverse, o tormentati da tentazioni e pene molto profonde, ma sempre uniti a Cristo. Penso a tutti i nostri missionari, ma in modo particolare a quelli che si consumano nelle nostre missioni più difficili, in mezzo a guerra, povertà e avversità.

Detto in altro modo, l’impegnare tutte le nostre forze significa che bisogna essere decisi a salvare le anime come le salvò Gesù Cristo: morendo a se stesso e morendo sulla croce. Senza retrocedere davanti alle difficoltà. Anzi, con la “chiara coscienza che senza Gesù Cristo non possiamo nulla” lanciarsi con spirito magnanimo a “lavorare, in piena docilità allo Spirito Santo e nell’impronta di Maria, al fine di impadronirsi per Gesù Cristo di tutto ciò che è autenticamente umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse”, come ci ricordano le nostre Costituzioni. Perchè, che cos’è la nostra vocazione missionaria se non amare Dio e il prossimo fino al sacrificio di se stessi?

Convinti che non c’è miglior programma da offrire al mondo che Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, dobbiamo impegnare tutte le nostre forze e non risparmiare i mezzi né evitarci sforzo alcuno per evangelizzare tutti gli uomini il più possibile “-non in modo decorativo, come una vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alla sue stesse radici-”, con una “pastorale incisiva, entusiasta e non di attesa”, in modo tale che il Vangelo affondi le sue radici nella vita e nella cultura di ogni popolo. Questa è la nostra missione nella Chiesa come religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato.

E sebbene in molto luoghi sia molto il bene che si fa – a volte persino eroico -, questo non dovrebbe limitare la nostra “creatività apostolica” e missionaria per “prolungare Cristo nelle famiglie, nell’educazione, nei mezzi di comunicazione, negli uomini di pensiero e in ogni altra legittima manifestazione della vita dell’uomo”. Valutando le diverse situazioni, dobbiamo essere capaci di prendere iniziative, cercando soluzioni efficaci, senza avere paura delle pastorali inedite, sempre che siano secondo Dio, concretizzando progetti pastorali, in tal modo che si raggiunga un efficace inserimento nell’ambiente in cui si lavora.

2. Per inculturare il Vangelo 

L’inculturazione è un’esigenza intrinseca all’evangelizzazione e non è altra cosa che l’incarnazione del messaggio divino nel cuore delle culture.

Con le parole di san Giovanni Paolo II: “l’inculturazione della buona nuova cristiana è far sì che il Vangelo affondi le sue radici nella vita en ella cultura affinché si rinnovi la società” . “La vera inculturazione”, afferma il nostro Direttorio di Spiritualità, “parte dal di dentro: consiste, in definitiva, in un rinnovamento della vita sotto l’influenza della grazia”. Per cui è imperativo, “conoscere e rispettare l’anima culturale di ogni paese, la sua lingua e le sue tradizioni, le sue qualità e i suoi valori”.

L’esperienza ci ha insegnato che “l’evangelizzazione non è realmente possibile se il Vangelo non risponde ai desideri profondi del paese e se il messaggio non assume i concetti e i valori culturali propri e che non sono in contraddizione col Vangelo”. Pertanto, “tutto ciò che si riferisce all’uomo tanto nel suo corpo quanto nella sua anima, nella sua vita individuale e anche sociale, può e deve essere purificato e elevato con la grazia di Cristo e, di conseguenza, possiamo affermare che ogni forma di attività apostolica è conforme al nostro fine specifico, anche se in modo gerarchico”. Da questo nasce la grande varietà di apostolati che possiamo assumere e a quelli a cui mai dobbiamo rinunciare a priori, come dice l’apostolo: guai a me se non annuncio il Vangelo!.

Vorrei anche menzionare qui che in questo compito di inculturazione non si può mai perdere di vista l’obiettivo della salvezza (che è il nostro obiettivo supremo), ossia, bisogna mettere le anime e i valori culturali in confronto con il Vangelo, invitando tutti alla conversione che divinizza l’umano e lo salva. Ciò avviene in primo luogo attraverso la nostra testimonianza, e per questo, siamo noi che ci dobbiamo “inculturare” per primi nello spirito del Vangelo. Come? Lasciando che il Vangelo impregni i nostri modi di pensare, i nostri criteri di giudizio, le nostre norme d’azione. Solo così saremo fecondi, solo così sveglieremo le vocazioni necessarie a continuare la nostra opera.

È vivendo la radicalità evangelica, che è possibile ottenere il discernimento dei valori autentici, la loro purificazione, trasformazione ed elevazione attraverso la grazia di Cristo.

Così ce lo ricorda il nostro Fondatore quando dice: “unicamente è il Vangelo, il Vangelo vissuto in tutta la sua radicalità – come fecero i santi-, l’unico mezzo capace di trasformare positivamente la cultura moderna, la cultura contemporanea di ogni popolo”.  

3. D’accordo con gli insegnamenti del Magistero della Chiesa.

Vorrei, pertanto, invitarvi a rileggere l’Enciclica Redemptoris missio, che deve illuminare il nostro impegno missionario, e anche “tutte le direttive, gli orientamenti e gli insegnamenti del Magistero ordinario che abbia a che vedere con il fine specifico della nostra piccola Famiglia Religiosa” .

San Giovanni Paolo II diceva: “Oggi la Chiesa deve affrontare nuove sfide alle quali deve dare una risposta evangelica […] Vi esorto quindi a far sì che la vostra predicazione si ispiri sempre alla Parola di Dio, trasmessa attraverso la Tradizione e proposta autorevolmente dal Magistero della Chiesa. Parlate con coraggio, predicate con fede profonda, alimentando la speranza, come testimoni del Signore Risorto. Non consideratevi maestri al di fuori di Cristo, bensì testimoni e servitori che, come ci ricordano le parole del Pontificale Romano sull’ordinazione dei presbiteri, ‘credono in ciò che annunciano, insegnano ciò che credono e praticano ciò che insegnano’”. In una parola: coerenza di vita.

Da questo derivano varie implicazioni: primo, approfittare al massimo gli anni di formazione e dedicare tempo qualitativo alla formazione permanente, per nutrirsi interiormente ed intellettualmente. In modo particolare, con lo studio della Sacra Scrittura e di San Tommaso d’Aquino, e in questa cornice, dei migliori tomisti, come il P. Cornelio Fabro. Giacché questo ci permetterà di inserirci nella problematica della cultura moderna e di intavolare un discorso fruttuoso tra la fede e la cultura, tra il Vangelo e la società attuale.

In secondo luogo, è molto importante che in ogni nostra missione i nostri religiosi siano promotori della cultura come mezzo di diffusione dei valori del Regno specialmente in quegli ambienti e luoghi in cui si “crea” la cultura e per mezzo dei quali la cultura si trasmette in modo privilegiato. E per questo mettere tutti i mezzi possibili affinché Cristo sia conosciuto e amato: sia attraverso l’invio di missionari a quelli che noi chiamiamo “destini emblematici”, sia attraverso le missioni popolari, la predica degli Esercizi Spirituali autenticamente ignaziani, l’educazione cattolica, l’apostolato coi giovani e i bambini soprattutto negli Oratori e campeggi, attraverso la pastorale familiare, i sempre validi Corsi di Cultura Cattolica, la pubblicazione di libri cattolici, la pastorale con universitari e professionisti e la predilezione per le opere di misericordia (soprattutto con disabili). Si potrebbero elencare qui molti altri mezzi, sempre che siano tutti realizzati nell’impronta di Maria. 

È da notare che le nostre Costituzioni segnalano “in modo particolare” l’urgenza di “esercitare l’apostolato nei cosiddetti ‘areopaghi moderni’”: il mondo della comunicazione, della ricerca scientifica e delle relazioni internazionali.

4. Evangelizzare la cultura è redimerla attraverso la Croce.

Infine, vorrei ricordare che l’evangelizzazione della cultura evidentemente è redenzione della cultura. Redenzione che si raggiunge quando completiamo in noi ciò che manca alle sofferenze di Cristo, per il bene del suo Corpo, che è la Chiesa.

In questo senso il Beato Paolo Manna scriveva ai suoi missionari: “Se si soffre, si redime”.

Anche le nostre Costituzioni ci ricordano che “Per noi il lavoro pastorale è croce, non motivo di fuga”. Per questo, se soffriamo – continua il Beato Missionario- “abbiamo tutto il diritto di sperare il bene per il futuro delle nostre missioni e dell’Istituto, potendo dire con l’Apostolo Pietro: nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi. Sperare così può sembrare pazzia e, tuttavia, questa e non un’altra è la filosofia dell’Apostolato, questa è la diplomazia di Dio. Se noi sappiamo comprenderla, se vivendo come santi missionari, sappiamo collaborare con essa, otterremo la vittoria finale”.

Le nostre croci sono, sono state e sempre saranno la nostra forza.

*     * *     *

Cari tutti: facendo mie le parole del “missionario planetario” che fu il nostro caro Giovanni Paolo Magno, vi chiedo che siate coscienti che: “Cristo li ha scelti e inviati per annunciare la sua parola e testimoniare la fede cristiana trasmessa dalla Chiesa. Li invia, come agnelli in mezzo ai lupi, per rendere presente il mistero della croce negli ambienti in cui vivono.

[…] Chi non si scoraggerebbe davanti a difficoltà oggettive, come per esempio la mancanza di personale, l’anzianità, la malattia, la mancanza di strutture organizzative e anche di mezzi finanziari? Nonostante questo, vi dico: non vi scoraggiate! Il riconoscimento dei nostri limiti e debolezze può trasformarsi in un’occasione per sperimentare la forza di Dio e la ricchezza straordinaria della sua grazia. […] Non abbiate paura! […] Proprio perché colui che ci invia è forte ed è con noi, possiamo dire con San Paolo: Quando siamo deboli, è allora che siamo forti”.

Per questo che né le sofferenze né le difficoltà ci spaventino, ma che questo sia occasione per la nostra tempra sacerdotale. Che la nostra generosità non diminuisca quando si tratti di rispondere alla chiamata pressante dei paesi che aspettano missionari, alle richieste pressanti di fondazioni – tanto per la vita attiva che contemplativa –  e di intraprendere grandi opere per amore di Dio. 

Al contrario siamo certi che, nonostante le nostre debolezze, Dio continua la sua opera e non lascerà senza ricompensa i nostri sforzi e i nostri sacrifici. Anche oggi il Verbo Incarnato ci ripete: Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!. Io sarò sempre con voi.

Ringraziamo Dio per le abbondanti benedizioni ricevute in questi primi quasi sei mesi di governo e affidando alle vostre preghiere – specialmente alle preghiere dei nostri fratelli coadiutori, dei nostri monaci e religiosi malati – la concretizzazione della proiezione dell’Istituto nelle diverse parti del mondo vi esorto a continuare con fedeltà e audacia a compiere il nostro carisma. “Il nostro campo d’azione non ha limiti di orizzonte, ma è il mondo intero: andate in tutto il mondo… disse Gesù”.  

“Che la prima Missionaria dopo suo Figlio Gesù Cristo ci dia questa anima e questo cuore grande come il mondo, che è il cuore che deve possedere il missionario” .

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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