“Uniti in Cristo… come una Famiglia Religiosa peculiare”

Roma, Italia, 1 gennaio 2018

Solennità della Madre di Dio

Lettera Circolare 18/2018

“Uniti in Cristo… come una Famiglia Religiosa peculiare”

Costituzioni, 92

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

“Nel nome di Cristo vogliamo costituire una Famiglia Religiosa […] amandoci in tal modo gli uni gli altri per essere figli dello stesso Padre, fratelli dello stesso Figlio e templi dello stesso Spirito Santo, che formiamo un cuore solo e un’anima sola”. Con questa bellissima frase le nostre Costituzioni –seguendo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e alla luce del Vangelo– manifestano che la vita comunitaria è un elemento essenziale della nostra consacrazione a Dio dentro il nostro caro Istituto. Ancora di più, in tutto il nostro diritto proprio resta chiaro che la forte vita comunitaria è per noi un’osservanza fondamentale per il buon andamento della vita religiosa e per una valida organizzazione dell’apostolato. 

Pertanto, “la vita fraterna in comune è una nota distintiva del nostro Istituto”non perché sia qualcosa di nuovo dentro la Chiesa, ma perché ciò che la rende peculiare –qualitativamente parlando– è il nostro modo di vivere la vita fraterna, cioè, come una famiglia

Come consacrati e come membri dell’Istituto vogliamo dare il primato all’amore di Dio e, pertanto, non possiamo meno che impegnarci anche ad amare con speciale generosità i nostri fratelli nell’Istituto. Cristo ci ha chiamati individualmente, è certo, ma per formare una famiglia, la Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato. Pertanto, “la nostra sequela di Cristo si vive nella fraternità”.

Ciò che dobbiamo fare non è stare uniti a molti altri, come se fossimo un gruppo di studio, un’assemblea, o come le reclute di una milizia. Noi siamo veramente e propriamente una famiglia, solidamente fondati nel Verbo Incarnato, “perché la pietra è Cristo e nessuno può mettere un altro fondamento”. Cioè, anzitutto, siamo fratelli riuniti nel nome di Cristo per compiere con totale fedeltà ciò che lo stesso Verbo Incarnato ci ha comandato: di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati. E il nostro vincolo come fratelli nel Verbo Incarnato, che è spirituale ma non per questo meno reale, trasforma la nostra vita fraterna in “un segno profetico e un segno della fraternità della Chiesa, e in quanto tale è nettamente apostolica”.  Infatti la comunione fraterna in quanto tale è già apostolato: cioè, contribuisce direttamente all’evangelizzazione”.

In modo tale che “così come la famiglia è una comunità di persone nell’amore, una comunione nell’amore, così le nostre case devono essere comunità di carità, fino al punto che si possa dire che in esse vive lo stesso Cristo”. 

“La vita comunitaria”, diceva San Giovanni Paolo II, “ha il suo fondamento non in un’amicizia umana, ma nella chiamata di Dio, che liberamente ci ha scelti per formare una nuova famiglia il cui fine è la pienezza della carità, e la cui espressione è l’osservanza dei consigli evangelici”. Per questo diciamo in evidente accordo con gli insegnamenti di Giovanni Paolo II che ci consacriamo “totalmente a Dio come al nostro amore supremo”, per conseguire “la perfezione della carità e per la carità alla quale conduce la professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, unirci in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero”. 

Così, dunque, il vincolo che ci unisce nella Famiglia Religiosa del Verbo Incarnato nasce dalla stessa chiamata e dalla nostra volontà comune di obbedirle, senza tenere conto delle nazionalità dei membri della comunità e meno ancora di qualsiasi diversità di razza o di origine, di lingua e cultura, come di fatto già succede in tante nostre comunità. 

In effetti, essendo stata benedetta la nostra Famiglia Religiosa con membri di più di 50 nazionalità diverse e dei cinque continenti, dobbiamo ammettere con gratitudine al nostro Dio, la grazia che significa per noi la multiculturalità delle nostre comunità, radicate nel carisma dell’Istituto e secondo l’intenzione del Fondatore. Infatti, la diversità senza divisioni e l’unità senza uniformismo rappresentano per noi, allo stesso tempo una ricchezza e una sfida, che ha favorito la crescita del nostro Istituto. Secondo me questo ci ha permesso –anche se dobbiamo ancora crescere in questo aspetto– di offrire opzioni geniali e generose per le diverse necessità delle missioni e ha dato una maggiore efficacia alla nostra azione apostolica. Semplicemente, perché “è la carità quella che rende armoniose tutte le differenze e a tutte infonde la forza del mutuo appoggio e dell’impulso apostolico”.

Per questo ora all’inizio dell’anno nuovo, che è sempre un tempo di valutazione e di fare propositi magnanimi per l’anno che comincia, vorrei dedicare questa lettera circolare a trattare altri elementi non negoziabili aggiunti al carisma dell’Istituto che è precisamente: “la forte vita comunitaria”. Perché come ben segnalavano i Padri Capitolari nel VII Capitolo Generale è in una “vita comunitaria di qualità, [oltre a una vita spirituale] dove si trovano le forze per portare avanti apostolati oggettivamente difficili”.  

1. Elementi di una vera vita comunitaria 

San Giovanni Paolo II diceva una volta ai religiosi: “Elementi di una vera vita comunitaria sono il superiore, che gode di un’autorità che deve esercitare in atteggiamento di servizio; le regole e le tradizioni che configurano ogni Famiglia Religiosa; e, finalmente, l’eucaristia, che è il principio di ogni comunità cristiana […] Per questo motivo, il centro della nostra vita comunitaria non può essere altro che Gesù nell’Eucaristia”. 

Per questo, anche se a grandi linee, vorrei descrivere questi tre elementi secondo il diritto proprio che è manifestazione chiara del magistero di Papa Wojtyla e che in qualche modo pone le basi per ciò che diremo più avanti. 

  • Il superiore: “la fraternità non è solo frutto dello sforzo umano, ma anche, e soprattutto, dono di Dio; un dono che esige l’obbedienza alla Parola di Dio e, nella vita religiosa, anche all’autorità, che ricorda questa parola e la applica alle situazioni concrete, secondo lo spirito dell’Istituto. Nelle comunità religiose l’autorità è messa anche al servizio della fraternità, della sua edificazione e del conseguimento dei suoi fini spirituali e apostolici. L’autorità è sempre evangelicamente un servizio: ‘Non tanto comandare quanto servire”.

– Le regole e tradizioni: “Il fondamento dell’unità è la comunione in Cristo stabilita dall’unico carisma fondazionale”. “È giustamente per la vita fraterna per la quale ci mostriamo, uniti in Cristo: tutti voi siete uno in Cristo Gesù, come una Famiglia Religiosa peculiare, e deve realizzarsi in tal modo che sia per tutti un aiuto mutuo nel compimento della propria vocazione personale”. Dunque, questa vocazione implica, come abbiamo già detto, “raggiungere la perfezione della carità. Ma questa cosa si deve dare solamente nell’ambito del proprio Istituto”. Pertanto, è imperativo che “tutti osserviamo con fedeltà la volontà e le intenzioni del fondatore, corroborate dall’autorità ecclesiastica competente circa la natura, il fine, lo spirito e il carattere dell’Istituto, così anche come le sue sane tradizioni, tutte cose che costituiscono il patrimonio dell’Istituto”. Il carisma dell’Istituto plasmato nelle Costituzioni e in tutto il diritto proprio è, inoltre, quello che dirige e segna la crescita della nostra vita fraterna.

  • L’Eucaristia: “il fondamento più profondo della nostra unità come famiglia religiosa lo troviamo sempre nell’Eucaristia, che perpetua il sacrificio della Croce”. “In nulla può indebolirsi la convinzione che la comunità si costruisce a partire dalla Liturgia, soprattutto dalla celebrazione dell’Eucaristia” perché essa è “il centro insostituibile e animatore… di ogni comunità religiosa”. Per questo il diritto proprio esorta i sacerdoti dell’Istituto a “concelebrare con la maggior frequenza possibile” –salvo impegni pastorali– e a cercare “un momento del giorno per l’adorazione eucaristica comunitaria”.

2. Uno stesso sentire

Dice il Dottore Angelico: “La Chiesa è una… per l’unità della Carità, perché tutti sono uniti per l’amore di Dio, e fra di sé per l’amore mutuo”. 

Per questo il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa diceva una volta: “Agite in modo tale che ciò che è la Chiesa in un piano generale si verifichi in ognuna delle sue comunità: sappiate promuovere in essa coesione di vita per la quale molti, che si trovano uniti, si fondano per mezzo della carità e abbiano ‘unità di mente e di cuore orientate a Dio’”.

In accordo a questo il diritto proprio sviluppa il tema dell’unità –della concordia fra noi– al parlare dell’unicità della Chiesa, fino ad affermare: che dobbiamo “essere come ‘una Chiesa domestica”. Allora comincia a dire: “Aspiriamo, conformemente alle parole di San Paolo, ad avere uno stesso sentire nel Signore”. Dando a intendere l’unione completa, constante e inalterabile che deve esserci fra noi. Pertanto, l’anima di questo spirito di famiglia che caratterizza la vita comunitaria nel nostro caro Istituto è quello della carità, che è l’anima della famiglia di Dio che è la Chiesa e di ogni autentica famiglia umana. 

In maniera tale che possiamo dire che la nostra vita fraterna non è altro che una risposta radicale all’esortazione di San Paolo ai filippesi: Abbiate fra voi gli stessi sentimenti che ebbe Cristo Gesù, sentimenti che l’apostolo dei gentili descrive magistralmente nel suo inno della carità e che le Costituzioni citano diffusamente per insegnarci il “modo nel quale si dovrebbe vivere la carità fraterna” nel nostro Istituto.

Intendiamoci, un cuore solo e un’anima sola “non significa uniformità, monolitismo, abbassamento, ma comunione profonda nella mutua comprensione e nel rispetto reciproco”. A noi è stato insegnato a formare nella libertà: “Non si guadagna assolutamente nulla fabbricando cloni. Formare ‘in serie’ è una disgrazia, una mancanza di rispetto alla dignità dell’essere umano ed è una mancanza di rispetto alla dignità che deve avere ogni religioso e ogni religiosa”.  

“Questa unanimità e concordia che cerchiamo”, spiega il diritto proprio, “significa unità nel giudizio della ragione su ciò che si deve fare, e unità nelle volontà, in modo che tutti vogliano lo stesso. Così, dunque, questa concordia nasce dalla stessa fede, per la quale sappiamo ciò che dobbiamo fare, e dalla carità, per la quale amiamo tutti gli stessi beni e condividiamo le fatiche, come buoni soldati di Cristo Gesù”. In effetti, quanto consola costatare quest’unanimità –testimoniata dalla stessa gente– in tantissime delle nostre missioni riconoscendo nei nostri membri –qualunque sia la nazionalità, il compito, l’età, etc.– lo stesso “stile del Verbo Incarnato”, perché si rendono conto che ci anima lo stesso spirito e che abbiamo un’identica valutazione delle cose, cioè: per il primato di ciò che è eterno su ciò che è temporale, “di Dio sul mondo, della grazia sulla natura, della fede sulla ragione”. E, allora, per fedeltà a Dio, amore alla Chiesa, allo stesso Istituto e alla vocazione ricevuta, vogliamo mantenerci sempre irremovibili nel carisma che ci è stato dato e in tutti i suoi altri elementi non negoziabili.   

Intesa dunque l’unità come un sentire e agire con “spirito di corpo” resta manifesto, da un lato, che esso “suppone che ognuno dei membri della nostra Famiglia Religiosa non solo goda nel bene che possiede, ma che anche tenda incessantemente a una maggiore perfezione”; e dall’altro lato, “suppone anche tralasciare tutto ciò che possa impedire o deformare questa unanimità nel sentire”.

Per questo penso anche che siano adatte per noi le parole sempre attuali che il Beato Paolo Manna indirizzava ai suoi missionari: “Proponiamoci, dunque, di lavorar uniti e in peretta concordia nel posto che l’obbedienza ci ha assegnato. Non dimentichiamoci che il nostro Istituto rappresenta una delle più gloriose squadre della Chiesa. Come soldati di questo agguerrito esercito, dobbiamo marciare uniti e ben ordinati come un esercito preparato alla battaglia. Se non abbiamo spirito di corpo, se ognuno vorrà operare secondo il suo gusto, se non siamo obbedientissimi agli ordini dei nostri generali, se ci disperdiamo, saremo deboli e otterremo sconfitte invece di vittorie. Le vocazioni perse in tutti gli Istituti per mancanza di spirito d’obbedienza e di unione fraterna costituiscono una triste dimostrazione di ciò: il loro cuore è diviso, ora moriranno. Saremo uniti? Salveremo anime, edificheremo la chiesa e vinceremo sempre. Un fratello che è aiutato da un altro fratello è come una città fortificata”.

Ed è così, perché la vita comunitaria, anche se in un certo senso, è massima penitenza, è anche certissimo “che un uomo più un altro uomo fanno duemila. Un uomo insieme a un altro cresce in coraggio e in forza, il timore sparisce, e scampa da qualsiasi pericolo”. Per questo il diritto proprio continua a dire che “la bellezza e i beni della vita fraterna in comune sono molto più grandi delle difficoltà che porta con sé”. 

Questa vita comunitaria che siamo tutti chiamati a costituire –e dalla quale nessuno può sottrarsi– è un’esigenza che si fa ogni volta sempre più viva nella misura in cui crescono gli impegni apostolici e aumenta l’internazionalità delle nostre comunità, il che implica certamente un cammino di croce, che suppone frequenti rinunce a sé stessi, in una personale ascesi. Infatti, nessuno può negare che “la pratica dell’amore fraterno nella vita comunitaria esige sforzo e sacrificio, e richiede tanta generosità come l’esercizio dei consigli evangelici”. Questa implica uno sguardo d’amore soprannaturale verso tutti i nostri fratelli, ad accoglierli come sono, senza giudicarli accettando i diversi modi di essere e le differenze culturali, superando ogni giorni i propri limiti e perdonando fino a settanta volte sette. Dobbiamo tenere sempre presente ciò di cui il Direttorio di Vita Fraterna con paterna sapienza ci avverte, cioè, “che non ci si deve illudere [e accettare] che la ‘comunità ideale’, perfetta, non esiste ancora; esisterà nel cielo. Qui si edifica sulla debolezza umana. È sempre possibile migliorare e camminare insieme verso la comunità che sa vivere il perdono e l’amore. L’unità si stabilisce al prezzo della riconciliazione. La situazione d’imperfezione delle comunità non deve scoraggiare”.  

La vita in comune chiede allora da parte nostra la pratica di tutta una serie di virtù umane e, evidentemente, delle virtù teologali; la capacità di comunicare e dialogare, di creare partecipazione in interessi e progetti comuni di lavoro insieme, essere fedeli alla parola data, avere vera compassione, essere coerenti, e, in particolare, l’equilibrio di giudizio e di comportamento.

Per vivere bene una forte vita comunitaria, il diritto proprio ci fa due raccomandazioni: Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiando nello stimarvi a vicenda e aiutatevi scambievolmente a portare i vostri pesi. Da un lato, “la mutua stima è un’espressione dell’amore reciproco, che si oppone alla tendenza, tanto generalizzata, di giudicare severamente il prossimo e di criticarlo”. D’altra parte, “aiutarsi mutuamente a portare i pesi significa assumere con benevolenza i difetti, veri o apparenti, degli altri, anche quando ci danno fastidio, e accettare con gusto tutti i sacrifici che impone la convivenza con quelli la cui mentalità e temperamento non concordano pienamente con il nostro modo di vedere e giudicare”.  

Vissuta così, la vita fraterna in comune porta con sé molti beni a livello personale. Tra molti altri che potremmo menzionare semplicemente segnalo che: l’attenzione reciproca ci aiuta a superare la solitudine, la comunicazione favorisce il sentimento di comune responsabilità, ci s’incoraggia nella sofferenza, si alimenta la nostra speranza per affrontare il futuro con serenità, e si rivela definitivamente e indubbiamente, garante e punto d’appoggio per la fedeltà ai voti. Ma dobbiamo anche dire che la forte vita comunitaria porta beni incalcolabili per lo stesso Istituto: perché nella qualità della vita fraterna in comune si trova lo stesso bene dell’Istituto, per il quale la nostra energia apostolica – la nostra forza– si potenza incalcolabilmente, ridondando nello stesso bene delle anime. 

Tutto ciò che è stato detto prima dice chiaramente che “suppone anche lasciare da parte tutto ciò che può impedire o deformare questa unanimità nel sentire. In primo luogo, la superbia, per la quale cerchiamo disordinatamente la propria eccellenza e non vogliamo sottometterci agli latri né riconoscere l’eccellenza altrui, e per questo dov’è la superbia abita solo la discordia: Fra i superbi ci sono sempre ingiurie”. 

Per tale motivo è essenziale che nelle nostre comunità cerchiamo di vivere con intrepido sforzo ciò che “è l’essenza del Regno che Gesù Cristo è venuto a inaugurare in terra: Il Regno di Dio… è giustizia, allegria e pace nello Spirito Santo. Cose queste che si identificano con la santità” e che, quando non si danno, come diceva San Pio X: è inevitabile che penetri la corruzione.

Altri ostacoli per l’unità nelle nostre comunità specificamente segnalati nel diritto proprio sono: 

  • “‘la presunzione di sapienza, per la quale non accettiamo gli insegnamenti altrui, credendoci autosufficienti”, e dal non correggersi il soggetto diviene inutile alla missione; 
  • La mormorazione –“mancanza grave per la comunità nella quale si vive”– che offende la carità e attenta a quella giustizia che menzionavamo come parte dell’essenza del Regno di Cristo. Il diritto proprio chiama quelli che la mettono in pratica “religiosi di mala lingua…, perché impediscono il silenzio, la devozione, la concordia, l’unione e la quiete degli altri”; 
  • La “ ‘doppiezza di spirito’ propria di quelli che non obbediscono ai loro superiori legittimi ma, essendo discoli, cercano ‘superiori’ secondo il loro gusto per continuare a giudicare a partire da un principio ‘estraneo’ alla comunità e distruggono in sé lo spirito di comunione mettendo un principio di unità distinto da quello autentico, e così iniziano a vedere tutto al rovescio: avere uno stesso sentire è ossequiosità; discernere insieme è ingiustizia; la carità è debolezza; esercitare l’autorità, egolatria; confidare nella Provvidenza, imprudenza; la giustizia è durezza; l’obbedienza, servilismo; il fatto che uno sia padre, è perché lo si considera uguale o maggiore a Dio; l’eutrapelia è rilassamento; la verginità del cuore, impossibile; la fermezza, intolleranza; la flessibilità, compromesso; dire la verità, menzogna; fare il bene, un male; e così quello che ha un altro spirito si rattrista di ciò per cui la comunità si rallegra, e si rallegra per ciò di cui la comunità si rattrista”;
  • Lo “spirito d’opposizione”, che forma gruppi o bande d’opposizione a quanto ordina il superiore.
  • Lo “spirito solitario” che si comporta come un tutto chiuso, come un nomade che basta a sé stesso; 
  • E, per ultimo, la potente attrazione che possono esercitare alcuni movimenti ecclesiali su alcuni religiosi e il cui vincolo stabile con questi movimenti può causare in loro un allontanamento psicologico dal proprio Istituto, creando una divisione interiore: risiedono nella comunità, ma vivono secondo i progetti pastorali e le direttive del movimento. 

Dunque, niente di questo appartiene all’identità e allo spirito di famiglia del nostro caro Istituto del Verbo Incarnato. Perché “lo spirito della nostra famiglia religiosa non vuol essere altro che lo Spirito Santo”, che è spirito di carità, e che lo stesso Verbo Incarnato ci ha comandato di osservare quando ci ha detto: rimanete nel mio amore.

Di nuovo: la nostra unità non è solo un’unione per affinità, per simpatia, o affetto umano. Piuttosto, seguendo il Magistero della Chiesa e il diritto proprio, affermiamo che la nostra è “comunione dello stesso spirito”. La nostra unità ha la radice più profonda nello Spirito Santo, che è stato riversato nei nostri cuori, e ci spinge ad aiutarci nel cammino della perfezione, creando e conservando tra di noi un clima di comprensione e di aiuto mutuo. “Dobbiamo sempre aiutare i fratelli della stessa congregazione che sono nel bisogno”.

“È lo Spirito Santo quello che costruisce in Cristo la coesione organica” di ognuno di noi nelle nostre comunità e a sua volta, di tutte le nostre comunità unite come una sola famiglia in tutto il mondo. Lo Spirito Santo è il fondamento dell’unità che si basa sulla carità. Ed è nella carità che si stringe più intimamente il nostro vincolo di fratelli nel Verbo Incarnato.  

La vita fraterna è talmente importante per il nostro stile di vita che i Padri Capitolari e nell’ultimo Capitolo Generale sottolineavano l’importanza di una “formazione per la vita comunitaria durante il tempo del Seminario o la formazione iniziale. Vivere in comunità, e in comunità piccole, richiede preparazione, soprattutto un solido fondamento di virtù umane e carità soprannaturale. Bisogna istruire i candidati sui diversi tipi di difficoltà (anche quelli di ambiente, adattamento, cultura) che possono trovare nella missione, specialmente in alcune particolarmente difficili, perché possano raccogliere forze e mezzi per affrontarle e vincerle”.

Mi sembra anche opportuno sottolineare che “il riferimento al proprio fondatore e al carisma vissuto e comunicato da lui e successivamente custodito, approfondito e sviluppato durante tutta la vita dell’Istituto, è un elemento fondamentale per l’unità della comunità”, come segnala esplicitamente il diritto proprio e lo comanda la Chiesa.

3. L’unione fa la forza

“La dimensione comunitaria deve essere presente nel vostro lavoro apostolico. Il religioso non è chiamato a lavorare come una persona isolata o per conto suo. Oggi più che mai è necessario vivere e lavorare uniti, prima dentro ogni famiglia religiosa e poi collaborando con altri consacrati e membri della Chiesa. L’unione fa la forza”, diceva San Giovanni Paolo II. 

Come è certo questo per noi, dal momento che il nostro carisma prevede che tutti i nostri membri lavorino per l’evangelizzazione della cultura! Giacché “nel compito di evangelizzare la cultura non sono sufficienti sforzi individuali o di qualche generazione, ma si rende necessario un gran movimento che vada crescendo in estensione e profondità”. In tal senso, continua a essere valido il nostro proposito di “fare ‘scuola’, e non ‘solitari’”. Di più, ci dobbiamo distinguere per la generosità nel lavoro comune, non dato per ricevere, ma servendo il Verbo Incarnato, anche senza ricompensa e senza gloria, senza risparmiare sforzi, dedicando le nostre migliori forze ai progetti dell’Istituto, a conseguire i suoi interessi, per il bene e il profitto di tutta la Chiesa, e, in definitiva, per la gloria di Dio e la salvezza di molte anime: “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.

Per questo con numerose espressioni di vivo entusiasmo il diritto proprio sottolinea l’importanza della vita fraterna in comune e augura una fruttifera forza apostolica. Così per esempio ci dice che “se non abbiamo buone comunità non potremo compiere nulla di grande” Ma “laddove le comunità vivono la giustizia, pace e allegria nello Spirito Santo, lì non ci sarà impresa che non si possa realizzare, per quanto grande sia”. Che nelle nostre comunità si cerchi sempre di vivere intensamente la carità fraterna con tutti e ognuno dei membri, allora ci si potrà aspettare molto frutto. Giacché “quanto più intenso è l’amore fraterno, tanto maggiore è la credibilità del messaggio annunciato”. Ancor più, è utile la testimonianza di vita fraterna specialmente in quei luoghi e tempi dove praticamente è l’unica cosa che si può fare, giacché una vita fraterna vissuta come si deve attrae necessariamente le persone ben disposte ed è molto probabile che Dio benedica questa testimonianza con frutti anche inaspettati. E se questo si dice di una comunità individuale, quanto più feconda sarà la forza apostolica a livello di tutto un Istituto che ha uno stesso sentire

Il motivo è che “questo amore, che unisce, è lo stesso che spinge a comunicare anche agli altri l’esperienza di comunione con Dio e con i fratelli; cioè, crea apostoli, spingendo le comunità verso la missione, sia contemplativa, sia annunciatrice della Parola, sia dedicata al ministero della carità”. 

Lo stesso diceva il Padre spirituale della nostra Famiglia Religiosa: “Volete una chiave di fecondità apostolica? Vivete l’unità, fonte di una gran forza apostolica”.

Per questo, se al momento presente si sono aperte tantissime opportunità per la missione, se tutti noi, per grazia di Dio, perseveriamo e ancor più, se sono aumentate le vocazioni per l’Istituto, stimo che, sebbene è opera gratuita della Provvidenza Divina, anche in parte si deve alla nostra unione compatta, duratura, e costante, che è sempre assolutamente necessaria per raggiungere il bene. È veramente una consolazione, che voglio condividere con voi, il valore e la forza con cui l’immensa maggioranza dei nostri membri si abbraccia all’ideale tracciato dalle nostre Costituzioni, e si sforza per vivere e trasmettere lo spirito del nostro Istituto nella sua integrità, restando inalterabili, anche quando in certi momenti le circostanze avrebbero potuto minacciare di rompere, minare o almeno indebolire questo stesso sentire del quale parlavamo prima. 

L’unità ci irrobustisce come famiglia, e ci rende in qualche modo indistruttibili ‘indistruttibili’, perché come dice l’evangelista San Giovanni, per questo si manifestò Dio: per distruggere le opere del diavolo e la nostra è chiaramente pura opera di Dio. Allora, dove non c’è unione ci sono confronti e rivalità, come ci ha insegnato lo stesso Cristo: Ogni regno diviso in se stesso cade in rovina e nessuna città o famiglia divisa in se stessa potrà restare in piedi. Mi vengono in mente le parole che un arcivescovo della Segreteria di Stato ci diceva alla fine degli anni ’90, in tempi particolarmente difficili per il nostro Istituto: che ci avrebbe salvati solo il restare uniti nel nostro carisma come un “blocco di granito”. Parole che con il tempo si sono dimostrate verissime.

Se c’è unità ci sarà forza, prosperità e progresso, se discordia, ci sarà dunque debolezza, corruzione e nulla…. “Togliete l’unione”, diceva San Marcellino Champagnat ai suoi figli, “e solo restano rovine; tagliate il ramo dal tronco, non dà frutto alcuno; se il ruscello non è unito alla sorgente, resta a secco; un edificio non ha consistenza se non per l’unione delle sue diverse parti; senza la malta che le unisce, tutto viene giù”. Quelli che lavorano per rompere la nostra unità sappiano bene che non ci riusciranno, se noi saremo fedeli. Inoltre, ed è anche una grande consolazione, è facile constatare che gli stessi che hanno attentato contro la nostra unità hanno finito per perdere, nel fondo delle loro anime, la speranza di riuscirci. Rendiamo grazie a Dio!

Per questo diamo al nostro Istituto religiosi solidamente fondati in Cristo, graniticamente uniti e come ‘fissi’ nel carisma dell’Istituto e saremo come una città in cima a un monte che non ha bisogno di muri di difesa; giacché i suoi stessi membri perfettamente uniti sono le sue fortificazioni. 

È ciò che diceva San Giovanni Crisostomo: “l’amore concede agli uomini una gran forza. Non esiste castello tanto stabile, indistruttibile e imbattibile per i nemici, come una totalità di esseri umani che amano e restano uniti attraverso il frutto dell’amore, la concordia”. 

Che conservarci “uniti in Cristo… come una peculiare Famiglia Religiosa”, che è lo stesso di dire “forte vita comunitaria”, sia sempre l’onorevole distintivo di tutti i membri dell’istituto del Verbo Incarnato. Che il nostro motto sempre sia: più unità, più forza! Più uniti, più abbondanti in “progetti entusiasti nel futuro”! Più uniti, più “impegni di presente esultanti d’ideali”! Più uniti, per essere più grati con il dono della chiamata ricevuta!. 

Che oggi e sempre questa sia la nostra aspirazione. Grazia che chiediamo fervorosamente alla Madre di Dio e Madre nostra, presente in tutte le nostre comunità.

A San Giovanni Paolo II piaceva dire che “ogni casa è soprattutto santuario della madre”. Che la bellissima immagine della Madre di Dio, sotto l’invocazione della Vergine di Lujàn presente in tutte le nostre case, ci unisca sempre tutti intorno al suo cuore materno, creando questo vincolo spirituale che ci mantiene uniti e protetti sotto il suo manto celeste e bianco. “Oh! Quanto è fortunato l’uomo che vive nella casa di Maria!”.

Questo primo giorno del 2018, ai piedi della Madre del Verbo Incarnato, raccomandare e confidare, in modo speciale, al Cuore materno di Maria, alla sua onnipotenza d’intercessione, la custodia dell’unità della nostra cara Famiglia Religiosa, che è sua, perché è di suo Figlio. Per questo diciamo oggi con rinnovato fervore: “Che l’amore misericordioso del tuo misericordiosissimo cuore sia il laccio che ci mantenga solidamente uniti e fermamente fondati sulla Roccia che è Cristo”. 

Un forte abbraccio per tutti e un Felicissimo e santo anno nuovo!

Nel Verbo Incarnato,

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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