Chiesa e mondo – 37/2019

Roma, 1 agosto 2019

37/2019

Stare nel mondo, senza essere del mondo

Direttorio di Spiritualità, 46

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi:

Il prossimo 6 agosto dobbiamo ricordare con gioia e solennità che il fine specifico della nostra piccolissima Famiglia Religiosa è quello di evangelizzare la cultura, cioè trasfigurarla in Cristo.

Tale fine, porta con sé l’imprescindibile responsabilità di “stare nel mondo ed assumere in Cristo tutta la realtà umana, dal momento che ‘ciò che non è assunto non viene redento’ ‘e si costituisce in un idolo nuovo con vecchia malignità’. Illuminando, i sacerdoti a mo’ di direttori spirituali, il potere temporale e formando i laici in modo che questi ‘trattino le cose temporali e le ordinino secondo Dio’. Senza assumere ‘materia’ non assumibile come il peccato, l’errore, la menzogna, il male: astenetevi da ogni specie di male” ci dicono le Costituzioni.

Questo magnifico compito ci pone innanzi l’augusto ideale di essere -ad imitazione del Verbo Incarnato- segno di contraddizione in un mondo lacerato dalla secolarizzazione. Secolarizzazione che diventa spesso secolarismo, per l’abbandono dell’accezione positiva di secolarità -la sana distinzione e l’ordine tra l’ambito spirituale e quello temporale- cosa che mette a dura prova non solo la vita cristiana delle persone ma affetta anche seriamente la vita religiosa.

Per questo siamo avvertiti: Davanti al mondo, al quale Cristo ci invia come pecore in mezzo ai lupi, non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Vivendo e svolgendo il nostro apostolato specifico tra le prove delle situazioni attuali che cambiano continuamente e tante volte sono imprevedibili, non siamo esenti dal cadere nella tentazione della “ebbrezza dell’immersione del mondo” mentre si debilita la ricerca dell’unica cosa necessaria che deve costituire la testimonianza della vita religiosa.

È mia speranza che la lettura cosciente di queste pagine contribuisca alla necessaria vigilanza e discernimento di spiriti che protegge la nostra vita consacrata e ci infervora nel momento in cui siamo chiamati a dare una testimonianza convincente al mondo che gridando ci dice: Vogliamo vedere Gesù!.

1. La Chiesa ed il mondo

La Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo. Ovvero, così come il Verbo ha assunto una natura umana per compiere il disegno di salvezza, allo stesso modo, per prolungare tale disegno attraverso i tempi, sceglie altre ‘nature umane’ -sue membra- affinché la salvezza arrivi a tutti gli uomini, di tutti i tempi. Pertanto, diciamo che “la Chiesa è Gesù Cristo continuato, diffuso e comunicato”.

Quindi, una delle osservazioni più interessanti che fece nostro Signore rispetto al Suo Corpo fu quella che esso sarà odiato dal mondo, come Lui stesso fu odiato. Il mondo ama le cose del mondo, ma odia ciò che è divino. Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.

Così che, il problema più impellente sofferto dal Corpo Mistico di Cristo, attualmente, è la manifesta tendenza a contrattare con il mondo, secolarismo che si presenta come un cancro che invade e prova a distruggere i tessuti organici della Chiesa; ovvero “la mutilazione di quella parte inalienabile dell’uomo che tocca la sua identità profonda: la dimensione religiosa”. Infatti, assistiamo oggi in modo sorprendente allo sviluppo del “declino progressivo del sacro e l’eliminazione sistematica dei valori religiosi”, come avvertiva San Giovanni Paolo II.

L’autore Massimo Borghesi parla proprio di questo ‘cancro’. Lui sostiene che ci troviamo di fronte ad una religiosità eterea e leggera, informe, che, lontana dall’aprire ciò che è umano verso Dio, inteso come altro, è, piuttosto, l’elemento chiamato il ‘chiudere’ il mondo, a rendere sopportabile l’esistenza finita nell’era del vuoto. Secondo Borghesi, questa nuova pseudoreligione ha come caratteristica il rifiuto, non solo della fede ma anche della ragione e porta via tanto il cristianesimo come l’illustrazione, fungendo da credenza oscurantista in senso pieno: è un cancro culturale a tutti gli effetti.

Questo cancro presenta i propri dogmi proprio come non dogmatici ma possiede tutta la forza della credenza oltre che la superstizione; apologia gay, ipersessualità, multiculturalismo o legalità internazionale si presentano come dogmi incontestabili ed incontestati. Nessuno di loro è sostenuto razionalmente ed è proprio questo il problema; provando a liberare l’uomo dalla religione, il postmodernismo lo ha liberato anche dalla ragione e lo ha convertito in un mucchio di illusioni vuote, di emozioni istantanee e di ansie mai saziate.  Suscettibile di essere manipolato e strumentalizzato da una nuova religione che si presenta come non-religione.

Dall’altra parte, secondo questo autore, il nihilismo contemporaneo afferma che bisogna nascondersi da un mondo sgradevole dal quale bisogna fuggire; una valle di lacrime per una cultura che accetta solo di piangere dalla gioia. Dio è fuori luogo perché è troppo serio. Ed alla negazione di questo mondo troppo serio ed arduo, segue la creazione di un mondo virtuale: sono di troppo gli sforzi, i sacrifici, la lotta, la speranza e la fede nel futuro; si istallano l’indifferenza, l’edonismo, il pacifismo, la fede sono nell’istantaneo. Un mondo virtuale per un uomo che non sopporta il mondo reale. La loro principale vittima sembra essere l’uomo, che rimane mutilato, sminuito nella sua umanità.

Questo panorama non può far altro che far riecheggiare nelle nostre anime quel lamento sentito e profondo del gran Papa Polacco: “Per la prima volta dalla nascita di Cristo, avvenuta duemila anni fa, è come se Lui già non trovasse posto in un mondo ogni volta più secolarizzato”.

Per questo motivo, con fermo e paterno accento ci avvertiva il Papa Benedetto XVI: “La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana.

Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno ed in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita ed il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale.

La ‘morte di Dio’ annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo”.

Le manifestazioni di questa tendenza secolarista nella Chiesa sono varie.

“L’uomo contemporaneo ha spesso l’impressione di non aver più bisogno di nessuno per comprendere, spiegare e dominare l’universo; si sente il centro di tutto, la misura di tutto”. Nei ‘credenti’ questo si manifesta nel rifiuto dell’autorità. Per questo rifiutano il Papa, i Vescovi, i superiori religiosi, i sacerdoti, perché c’è un sentimento generale per il quale coloro che sono stati rivestiti di autorità, non sono sufficientemente santi. Questo si può verificare anche in coloro che esercitano un’autorità nella Chiesa, dei quali si può affermare quello che si diceva di Israele: non tutti i discendenti di Israele sono Israele. Ciò lo affermava l’Aquinate quando diceva: “Il Signore ha servi cattivi e buoni”, come Cristo stesso profetizzò: ci saranno grano e zizzania.

“La luce della ragione, esaltata, ma in realtà, impoverita dall’Illuminismo, si sostituisce radicalmente alla luce della fede, alla luce di Dio”. Quindi, l’aborto, la violenza, il divorzio, l’ideologia de genero sono accettati ed anche difesi da alcuni, tra i quali, a volte, purtroppo, anche membri del clero. Oggigiorno, non si lancia più questa falange mortale contro lo spirito del male. Non si parla più di ciò in cui la Chiesa crede o di quello da cui la Sacra Scrittura ci previene; la coscienza individuale in se stessa -senza riferimento alla verità oggettiva- diviene la norma di ciò che è buono e di ciò che è cattivo. Cercano di giustificare la loro posizione in nome di una religione interiore o sostenendo ‘un’autenticità personale’ o un’autonomia e presentano non poca resistenza alle missioni, ad esempio.

Ecco perchè continuava a dire il Santo Papa Paolo VI: “Avviene così che si sente dire troppo spesso, sotto diverse forme: imporre una verità, sia pure quella del Vangelo, imporre una via, sia pure quella della salvezza, non può essere che una violenza alla libertà religiosa. Del resto, aggiungono, perché annunziare il Vangelo dal momento che tutti sono salvati dalla rettitudine del cuore? Se, d’altra parte, il mondo e la storia sono pieni dei ‘germi del Verbo’, non è una illusione pretendere di portare il Vangelo là dove esso già si trova nei semi, che il Signore stesso vi ha sparsi?

Chiunque si prenda cura di approfondire, nei documenti conciliari, le domande che questi alibi vi attingono troppo superficialmente, troverà tutt’altra visione della realtà.

Sarebbe certo un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza in Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà –senza ‘spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti’– lungi dall’essere un attentato alla libertà religiosa, è un omaggio a questa libertà, alla quale è offerta la scelta di una via, che gli stessi non credenti stimano nobile ed esaltante. È dunque un crimine contro la libertà altrui proclamare nella gioia una Buona Novella che si è appresa per misericordia del Signore? E perché solo la menzogna e l’errore, la degradazione e la pornografia avrebbero il diritto di essere proposti e spesso, purtroppo, imposti dalla propaganda distruttiva dei mass media, dalla tolleranza delle leggi, dalla timidezza dei buoni e dalla temerità dei cattivi? Questo modo rispettoso di proporre il Cristo e il suo Regno, più che un diritto, è un dovere dell’evangelizzatore. Ed è parimente un diritto degli uomini suoi fratelli di ricevere da lui l’annuncio della Buona Novella della salvezza. Questa salvezza Dio la può compiere in chi egli vuole attraverso vie straordinarie che solo lui conosce. Peraltro se il Figlio è venuto, ciò è stato precisamente per rivelarci, mediante la sua parola e la sua vita, i sentieri ordinari della salvezza. E ci ha ordinato di trasmettere agli altri questa rivelazione con la sua stessa autorità. Non sarà inutile che ciascun cristiano e ciascun evangelizzatore approfondisca nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che S. Paolo chiamava ‘arrossire del Vangelo’ – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del Vangelo, vuole far germinare la semente; dipenderà da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto.

Conserviamo dunque il fervore dello spirito. Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo”.

Di fatto, in molti dei paesi nei quali svolgiamo la nostra missione constatiamo la preoccupante assenza della pratica religiosa unita all’indifferenza e all’ignoranza delle verità della fede. Vi è come un debilitamento delle convinzioni che, in molti, già non ha più la forza per ispirare il comportamento. “Come ormai si usa dire, la religione si è privatizzata, la società secolarizzata, la cultura laicizzata”.

Questo ha portato il Venerabile (prossimamente beato) Fulton Sheen a dire che “gli attuali nemici della Chiesa non sono i barbari, gli scismatici o gli eretici di altri tempi ma il mondo nel quale vive la Chiesa”. Sostiene l’Arcivescovo che “Durante cicli di 500 anni, la Chiesa fu attaccata in diversi modi. Nel primo ciclo la Chiesa è stata combattuta da eresie centrate nel Cristo storico: la sua Persona, la sua Natura, l’Intelletto e la Volontà. Nel secondo ciclo fu il Capo Visibile di Cristo colui che negarono. Nel terzo ciclo fu la Chiesa o il Corpo Mistico di Cristo quello che fu diviso in sessioni o sette. Ai nostri giorni, l’attacco è il secolarismo ed è diretto ad attaccare la santità, il sacrificio, l’abnegazione e la kenosis. Il nuovo nemico della Chiesa è ecologico; appartiene all’ambiente nel quale vive la Chiesa”. E con il suo tagliente umorismo concludeva: “se la Chiesa si sposa con lo spirito di questa era, sarà una vedova nella prossima”.

Quindi, di fronte al chiamato eclissi del sacro, è manifesta la crescente necessità dell’esperienza religiosa, visto che non possiamo negare che la nostalgia dell’Assoluto è radicata nelle profondità dell’essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Se la Chiesa non contrasta i piaceri ed i piani del mondo, se nelle sue parole imita solo i detti della moda, se non richiama i suoi costumi, se non sollecita le persone a prendere una decisione definitiva, se predica la ‘civilizzazione cristiana’ ma senza Cristo e sfoggia una nuova Pentecoste ma senza notare che essa esige 30 anni di obbedienza ed un Calvario; se l’Eucaristia è un banchetto ma non un sacrificio; se vuole un sacerdozio glorioso e secolare ma dimentica il suo aspetto di vittima; allora non è più il Corpo di Cristo. Quindi bisogna ricordare l’ammonizione di San Paolo a Timoteo: ci saranno uomini che anche se avranno l’apparenza della pietà, saranno privi di essa. Allontanati da costoro! . Semplicemente perché si comportano da nemici della croce di Cristo

Inoltre, dobbiamo dire che anche oggi il Corpo Mistico di Cristo, come tempo fa l’adorabile persona del Verbo Incarnato nel deserto, si scontra con il principe di questo mondo. Questo si manifesta nel fatto che esso sta sempre attaccando la sua unità, spargendo confusione, accentuando le crepe e provocando separazioni. Il nemico sembra stia, oggi più che mai, tentando la Chiesa affinché abbandoni gli elevati vertici della verità, nei quali la fede e la ragione regnano, per quelle profondità nelle quali le masse vivono con slogan e propagande. Lo spirito del mondo non vuole la proclamazione dei principi immutabili ma opinioni; commentatori, non maestri; statistiche, non principi; la natura, non la grazia. Una ed un’altra volta il tentatore cerca di perdere la Chiesa con i regni del mondo, ovvero, presentando una religione senza croce, una liturgia senza mondo futuro, una religione per invocare la politica o una politica che si trasforma in religione dando a Cesare anche le cose che appartengono a Dio. 

Per questo, è sempre stato proprio nostro e sempre lo sarà, l’“offrire con generosità ed abbondanza la ricchezza del Vangelo a tutti gli uomini”, affinché in tutti questi paesi invasi dal secolarismo nasca una nuova generazione di credenti.

Già lo diceva Giovanni Paolo II: “La grande sfida per la Chiesa è di trovare dei punti di appoggio in questa nuova situazione culturale, nonché di presentare il Vangelo come una Buona Novella per le culture, per l’uomo artefice di cultura. Dio non è il rivale dell’uomo, ma il garante della sua libertà e la fonte della sua felicità. Dio fa crescere l’uomo, donandogli la gioia della fede, l’ardore della speranza, il fervore dell’amore”.

Dobbiamo lavorare con fervoroso entusiasmo e costanza per “portare avanti una rinnovata pastorale della cultura visto che la cultura costituisce il luogo di incontro privilegiato con il messaggio di Cristo. Poiché ‘una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta’”.

2. Il sacerdote ed il mondo

Tutto ciò che stiamo dicendo, noi sacerdoti, purtroppo non lo vediamo dall’altra parte della strada. Rappresenta un vero pericolo anche per tutti noi che siamo chiamati ad andare nel mondo per essere sale del mondo e non miele. Ancor più, non siamo immuni alle pressioni di una concezione secolarista o consumista dell’esistenza. Per questo motivo affermava San Giovanni Paolo II: “È veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo”, che non coinvolge solo ad individui ma anche “coinvolge la vita religiosa”. E vivamente ci esortava: “non lasciatevi possedere dal mondo, né dal suo principe, il maligno. Non adattatevi alle opinioni e ai gusti di questo mondo”.

Come è noto, in qualche ambiente, nel periodo postconciliare -frequentemente dovuto ad una lettura erronea del magistero del Concilio Vaticano II- si è offuscata la coscienza della vera identità sacerdotale ed è sorta una tendenza a ‘laicizzare’ le funzioni sacerdotali, parallelamente alla tendenza a ‘clericalizzare’ la figura del laico. Per questo motivo, ci sono stati seminari nei quali, volendo preparare i seminaristi nell’ambito del sociale e per le attività pastorali, si ha erroneamente avuto negligenza nell’insegnamento nella disciplina e nella vita spirituale e, molte volte, nell’insegnamento della sana teologia e della morale cattolica.

Così che oggigiorno “alcuni discepoli di Cristo hanno abbandonato la vita di Cristo per una che si adatta meglio all’ambiente secolare. Non è più il modello di Cristo quello che determina la loro vita ma la mentalità del gruppo. […] la ‘presenza cristiana’, che è sempre più una presenza solo fisica, senza lo Spirito di Cristo, sa solo attenuare il mondo ma senza riconciliarlo con Dio. Agendo in questo modo, il sacerdote commette un doppio tradimento [poichè] tradisce Dio ed il mondo. Tradisce il mondo quando dialetticamente rifiuta di dire ‘No’ al suo spirito. Tradisce Cristo quando non si occupa del peccato del mondo. Dobbiamo renderci conto che il ‘Si’ al mondo e ai suoi valori molto spesso è preceduto da un ‘No’ a Cristo”.

In questo senso è importante notare che tutto ciò che facciamo nella pastorale, per quanto possa essere lodevole lo sforzo e per quanto grande possa essere l’opera, non produce alcun effetto se non è accompagnato dalla nostra testimonianza di religiosi intimamente uniti a Cristo. È così che il vangelo giunge più facilmente all’uomo: attraverso la testimonianza di vita, attraverso il servizio disinteressato e attraverso il linguaggio dei segni sacramentali.

Per questo motivo, in un incontro con i religiosi, San Giovanni Paolo II sapientemente diceva loro: “I laici hanno bisogno di quella forte linfa che viene loro appunto dalla presenza spirituale dei religiosi e ne sentirebbero la mancanza se, per l’ebbrezza dell’immersione del mondo, i religiosi finissero per negare alla Chiesa il contributo di ciò che è loro proprio. […] continua ad essere importante la nitida differenza (e non la confusione!) e la valida complementarietà (e non l’isolamento!) dei carismi e delle vocazioni. Non sarà mai feconda a lungo termine (ma lo sarà poi anche nell’immediato?) una presenza di religiosi nelle lotte temporali, se avviene a prezzo dei valori essenziali, anche i più umili, della vita religiosa”. 

Frequentemente, in tutto il diritto proprio dell’Istituto ci viene ripetuto: ‘dobbiamo imparare a stare al mondo’, ‘senza essere del mondo’. Dobbiamo andare nel mondo per convertirlo e non per mimetizzarci in esso. Dobbiamo andare alla cultura e alle culture dell’uomo non per convertici a queste, ma per sanarle ed elevarle con la forza del Vangelo”. Ed in un’altra parte: “Lo ‘stare nel mondo’ ha senso per noi solo quando dipende dal ‘non essere del mondo’”. 

In questo senso, il mistero della Trasfigurazione è un esempio eccellente del modo nel quale dobbiamo relazionarci con il mondo. Visto che “la Trasfigurazione non è solo rivelazione della gloria di Cristo, ma anche preparazione per affrontare la croce, che rappresenta il nostro lavoro pastorale.

Questo meraviglioso mistero ha come sfondo il fatto che Cristo non aveva ancora potuto convincere i suoi apostoli del fatto che Lui è un Sacerdote-Vittima. Di fatto, la scena si svolge nell’immediato ritorno da Cesarea di Filippo, dove Pietro aveva confessato la divinità di Cristo ma aveva negato la sua Croce, motivo per il quale nostro Signore lo aveva chiamato ‘Satana’ (il diavolo si comporta sempre come nemico della Croce).

Cristo prese con sé i tre più capaci di comprendere la sua morte e la gloria futura. Ma loro erano oppressi dal sonno. Però, non appena si svegliarono e videro la gloria di Cristo, Pietro reagì dicendo: Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia.

Questa è una delle reazioni di fronte alla gloria del Sacerdote-Vittima. Pietro voleva rendere la sua gloria permanente. Perché andare a predicare? Perché andare in missione? meglio consolidarsi. Per quale motivo andare a Gerusalemme ad essere crocifisso? Quante scuse simili potremmo porre noi! È come volere un sacerdozio glorioso senza l’ignominia della vittima; così, senza pene, senza nemici, senza lotte.

Succede a volte nella Chiesa che molti, come Pietro, vogliono la gloria ma non il combattimento, non la penitenza, non la purificazione nelle mani di Dio. Infatti, alcuni vorrebbero perfino solo le estasi ma neanche per sogno mortificazioni, digiuni, veglie. Vogliono la gloria istantanea senza la croce. Vogliono l’esaltazione del sentimento senza l’esaltazione della Croce. È interessante come l’Evangelista, dopo le parole di Pietro afferma: ma egli non sapeva quel che diceva.

Cristo lo fa discendere dal Monte in quel luogo nel quale il lavoro lo aspetta. Il che, vale a dire, andare dalle altezze alle profondità, dalle estasi al dolore. “I discepoli che hanno goduto dell’intimità del Maestro… tornano subito alla realtà quotidiana”. Giungendovi, incontrano un bambino indemoniato, che molte volte aveva provato a suicidarsi triandosi nel fuoco e nell’acqua, insieme a suo padre, profondamente angustiato perché i discepoli non erano stati in grado di espellere il demonio. Qualcuno vede in questa scena il mondo al quale la Chiesa deve servire. A partire da ciò potremmo dire che nell’altezza del Monte, gli apostoli contemplarono il Verbo e, giunto il momento di discendere, è al Verbo fatto carne che devono servire.

È interessante notare come questa scena della valle si presenta come una continuazione del Monte e che così ha voluto nostro Signore. Visto che il Monte senza la valle sarebbe egoismo e la valle senza le altezze del monte, sarebbe solo lavoro arduo e amarezza.

Nella valle vediamo un’altra parte della Chiesa rappresentata dagli altri nove apostoli ed i discepoli. Loro rappresentano quello che oggi chiamiamo attivi. Non sono stati nel Monte della visione, ma stavano profondamente involucrati nella ‘problematica’ della valle; erano ‘impegnati nel sociale’. Ma furono completamente inefficaci. 

Il padre, vedendo arrivare Gesù si lamenta dicendogli: L’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo. Ma prima lo avevano fatto” Quindi, quando vedono arrivare Gesù, anche loro si dirigono immediatamente da lui per domandargli perché non erano riusciti nell’intento, come fanno tanti altri i quali dicono: ‘amiamo i poveri, vogliamo aiutare gli afflitti, perché ci sentiamo impotenti?’ Per la vostra poca fede.

Ovvero, sono caduti nello sterile attivismo, dimenticandosi che l’attività per il Signore non deve allontanarci da colui che è il Signore dell’attività.

Dobbiamo sempre tener presente che tutte le nostre attività pastorali devono essere concepite e messe in pratica a partire dalla fede e molte volte accompagnate con la preghiera e il digiuno. Noi, in qualità di membri dell’Istituto del Verbo Incarnato, siamo chiamati ad essere segni e strumenti visibili del mondo invisibile, del Trascendente. Siamo stati chiamati ad “essere sale e luce del mondo però senza essere del mondo”.

“Quando si perdono di vista questi orizzonti luminosi la figura del sacerdote si oscura, la sua identità entra in crisi, i suoi doveri peculiari non si giustificano più e si contraddicono, si infiacchisce la sua stessa ragion d’essere”.

Qualcuno crede che essere sacerdote si identifica con l’essere ‘un uomo per gli altri’. Ma ogni cristiano è questo. Ovviamente, anche il sacerdote ma in virtù del suo peculiare modo di essere ‘uomo di Dio e per Dio’. Il questo senso il Direttorio di Spiritualità ci dice: “Tutti i membri dell’Istituto devono perfezionarsi essendo in Cristo ‘un sacrificio perenne a Dio gradito’, ‘offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria’”. Il servizio di Dio è il cemento sul quale bisogna costruire il servizio genuino degli uomini, il quale consiste nel liberare le anime dalla schiavitù del peccato e riportare gli uomini al necessario servizio di Dio.

Quindi, il nostro ministero sacerdotale rimarrebbe privo di contenuto se nel nostro rapporto pastorale con gli uomini ci dimentichiamo della dimensione soteriologica cristiana. Siamo inviati agli uomini per far loro riscoprire la loro vocazione di figli di Dio, per risvegliare in loro l’ansia della vita soprannaturale. Siamo inviati per esortare alla conversione del cuore, educando la coscienza morale e riconciliando gli uomini con Dio attraverso il sacramento della penitenza.

“Resti dunque ben chiaro che il servizio sacerdotale, se vuole veramente rimanere fedele a se stesso, è un servizio eccellente ed essenzialmente spirituale”.

Per questo, una volta in più confessiamo che, come membri di questo amato Istituto, ci contraddistingue “la supremazia dello spirituale nel nostro modo di pensare, sentire e procedere, dal momento che è Dio infatti che opera in voi il volere e l’agire secondo il suo beneplacito, e perché è chiaro l’insegnamento del Verbo Incarnato: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta ”. 

È questo il sublime e prezioso insegnamento della Trasfigurazione. L’amore di Dio e l’amore verso il prossimo sono inseparabili e il prossimo nella parabola del buon Samaritano è colui che ‘è nella necessità’. Il vero sacerdote vittima non separa quello che Dio ha unito.

I primi tre apostoli volevano essere ‘parrocchiali’ escludendo l’aspetto sociale. Sono coloro che rimanendo circoscritti nei propri limiti parrocchiali e persino nei limiti del proprio ufficio, rifiutano a priori ogni apostolato extra, sono coloro dei quali comunemente diciamo avere una ‘mentalità di chiosco’. Sono coloro i quali dimenticano che è proprio nostro il “far giungere Cristo nelle famiglie, nell’educazione, nei mezzi di comunicazione, negli uomini di pensiero e in tutte le altre legittime manifestazioni della vita dell’uomo” e che ci tocca anche evangelizzare negli ‘areopaghi moderni’.

Gli altri nove erano ‘impegnati nel sociale’ ma privi del contatto con il Dio Trascendente. Sono coloro che vogliono andare nel mondo per dissolversi nel mondo. Sono coloro i quali “con la scusa di andare verso l’inferiore si svuotano del superiore, ad esempio, per ‘stare nel mondo’ si conformano con lo spirito del mondo svuotandosi e dimenticano che i cristiani sono nel mondo, ma che non sono del mondo”.

Questi due atteggiamenti di fronte alla Trasfigurazione continuano ad essere presenti nella Chiesa, anche se si possono sempre evitare se, progressivamente, procediamo da Cristo alla Chiesa e dalla Chiesa al mondo e non viceversa.

Il Magistero della Chiesa ci avverte: “Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo”.

3. Caratteristiche della nostra missione nel mondo

Noi dobbiamo dedicarci alle opere di apostolato, imitando Cristo che ‘annunciava il Regno di Dio’. Un regno che “non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile”.

Realizzando tutte le nostre opere con l’intenzione di condurre gli uomini a Dio. Senza dimenticare mai che “la vera inculturazione viene da dentro: consiste, in ultima analisi, in un rinnovamento della vita sotto l’influsso della grazia”. E che, pertanto, “lo sviluppo umano autentico deve mettere le sue radici in una nuova evangelizzazione, ogni volta più profonda visto che lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù, Dio e Uomo e deve portare a Dio”.

Essendo coscienti del fatto che “l’apostolato è una realtà soprannaturale” e che quindi la sua fecondità dipenderà dall’unione con Dio e con la Chiesa, il nostro “apostolato deve realizzarsi ‘in nome della Chiesa e per suo mandato, deve esercitarsi in comunione con essa’”.

“La mera presenza di un sacerdote o di una suora servendo nell’ordine secolare non necessariamente implica il ‘dare testimonianza’” diceva Fulton Sheen. Per questo motivo, spiega il diritto proprio, che è proprio nostro il vivere sapendo che nella nostra chiamata a seguire Cristo più da vicino, è incluso il compito di dedicarsi totalmente alla missione che consiste, in primo luogo, nel dare testimonianza personale della presenza viva di Gesù, specialmente nell’imitazione del suo radicale abbassamento informato dall’umiltà, nel servizio disinteressato ed, in particolare, nell’amore misericordioso. Questa testimonianza deve rimanere tra noi come la cosa principale e primordiale, al di sopra di tutte le attività che si possono realizzare.

Noi, in quanto sacerdoti-vittime, dobbiamo persuaderci del fatto che il nostro compito non è quello di essere critici dell’ordine sociale ed economico ma, più che altro, profeti. La nostra missione profetica implica il dare “una testimonianza coraggiosa e splendente” ed “in modo luminoso ed singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle Beatitudini”. Oggi e sempre deve appartenerci l’essere ambasciatori di Cristo senza anteporre niente al suo amore.

Pertanto, dobbiamo scuotere le coscienze, predicando in ogni occasione opportuna o non opportuna, anche se probabilmente non è questo ciò che il mondo vuole: Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli. Dobbiamo essere convinti che la nostra santa religione è veramente un aiuto per il mondo se lo contraddice.

Sappiamo bene che “la nuova evangelizzazione incontra l’ostacolo duro dell’indifferenza. Sembra che taluni non abbiano interesse per Cristo e per il suo Vangelo e manifestino una certa diffidenza verso la Chiesa e il suo Magistero. Sazi di benessere, saturi di messaggi, essi si lasciano catturare dall’immediato e dall’utile, vivono in una maniera frammentaria, forse diffidenti verso il Mistero che oltrepassa ciò che vedono e godono. Rinviano la loro riflessione: Ti ascolteremo un’altra volta!, essi sembrano esclamare, come gli Ateniesi a Paolo.

Eppure, l’indifferenza religiosa non è un muro impenetrabile: l’autosufficienza non appaga, la tecnica non assicura; non di rado, anzi, provoca angoscia e alimenta nell’uomo moderno paure cariche di interrogativi. Senza tentennamenti, occorre dunque annunciare Cristo alla gente”. È un lavoro urgente e compete a ciascuno di noi.

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Cari tutti:

Il veder gli impellenti pericoli, gli incessanti attacchi ed i mali che agitano la Chiesa di oggi, deve portarci a temere per la Chiesa. Perché “Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli”. Questo regno di Dio significa realmente la vittoria sul potere del male che c’è nel mondo e su colui che è il suo principale agente nascosto: il principe di questo mondo.

Marciamo, sempre convinti che come lo stesso Verbo Incarnato ci ha assicurato: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. E “così come perdura sempre quello che in Cristo Pietro ha creduto, allo stesso modo perdurerà per sempre quello che in Pietro Cristo ha istituito”.

Questo significa che non dobbiamo temere che l’infallibilità venga a mancare; né che Dio possa essere detronizzato, né che la transustanziazione perisca, né che i sacramenti spariscano. Ciò che deve preoccuparci è che il mondo sia tenuto per mano dall’errore, che la barbarie possa regnare, che la famiglia perisca, che la legge morale sprofondi. Ed affinché ciò non accada, dobbiamo lavorare – senza aver “paura dei carnefici che perseguitano la Chiesa in tutti i tempi”- come uomini la cui vocazione non ha senso al di fuori di Dio e delle sue promesse, con grande coraggio e fermezza nella nostra fede affinché Gesù Cristo regni. Lui è la pienezza di tutta la vita e la cultura autenticamente umana.

Teniamo sempre presente che se noi siamo religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato lo siamo per dedicarci totalmente a Dio come al nostro amore supremo, vivendo dediti all’edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo: sia nella sua contemplazione sul monte, sia nel suo annuncio del regno di Dio alle turbe… ad ogni modo, sempre obbedienti alla volontà del Padre che ci ha inviati.

Che la solennità della Trasfigurazione ci trovi ogni volta più fervorosi nella nostra intenzione di proporre infaticabilmente Gesù Cristo, pienezza di tutta la vita e la cultura autenticamente umana, portando la sua grazia a tutti gli uomini. Che il nostro sforzo sia ogni volta più generoso nel far sì che la fede diventi cultura.

Affidiamo a Maria, Madre della Chiesa, tutti i nostri missionari che, in tante parti del mondo, sono uomini di Dio tra tanti uomini senza Dio. Che Lei elargisca sempre al Corpo Mistico di Cristo, nato dal Cuore aperto del nostro Salvatore, la stessa cura materna e la stessa intensa carità che elargì al Verbo Incarnato.

Vi mando un forte abbraccio.

In Cristo e la sua Santissima Madre,

P. Gustavo Nieto, IVE

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