“L’amore che non nasce dalla croce di Cristo è debole”

San José (CA), USA, 1 settembre 2019

38/2019

“L’amore che non nasce dalla croce di Cristo è debole”

Direttorio di Spiritualità, 137

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi:

Il mistero dell’Incarnazione del Verbo che ci identifica è direttamente relazionato con il mistero della Croce che tra pochi giorni celebreremo.

Croce che, oggi come ieri, continua ad essere scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati potenza di Dio e sapienza di Dio.

Da qui che la confessione di Cristo Crocifisso sia accompagnata abitualmente -e direi quasi come norma di vita cristiana-, dalla croce stessa.

“Quello che scandalizza della Chiesa” -diceva il Santo Padre- “è il mistero dell’incarnazione del Verbo. […] Questo è il centro della persecuzione […] quando affermiamo che il Figlio di Dio è venuto e si è fatto carne, quando noi predichiamo lo scandalo della croce, verranno le persecuzioni, verrà la croce”.

E tuttavia, il compito fondamentale della Chiesa in tutte le epoche -e io direi che in modo speciale nella nostra- è sempre quello di condurre le anime all’incontro con Cristo Crocifisso, attraverso la croce e la morte che conduce alla resurrezione. Poiché è proprio nella croce che l’anima si unisce a Dio.

Di fatto è per questa unione con Dio che siamo stati creati, e questa unione si realizza mediante la Croce e sulla Croce è consumata e santificata. É un’unione segnata per l’eternità dal sigillo della Croce.

Per questo motivo, non solo tutti i nostri sforzi di evangelizzazione devono partire e devono condurre al mistero della croce -a Gesù Cristo crocifisso- ma anche noi stessi dobbiamo addentrarci nell’insondabile mistero della croce nella nostra vita, se veramente dobbiamo essere “memoria vivente del modo di esistere di agire di Gesù, il Verbo fatto carne”.

Inoltre noi, come Istituto, dobbiamo anche essere disposti ad abbracciare la croce per “rivivere e testimoniare l’unico mistero di Cristo, soprattutto negli aspetti del suo annientamento e della sua trasfigurazione” come afferma il nostro diritto proprio.

Questo è ciò che vogliamo fare e ciò che di fatto fanno tutti i nostri missionari, testimoniando che “Gesù si ama e si serve in Croce e crocifissi con Lui, non in un altro modo”.

1. La Croce nella nostra vita

“Conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”, dice il rituale dell’Ordine Sacro, e tutti noi che siamo stati ordinati ricordiamo che un giorno queste parole ci sono state dirette in modo particolare.

E così, d’accordo all’invito che un giorno ci fece Cristo: se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, la nostra vocazione non è altra che quella di morire ogni giorno “per fissare nel cuore colui che per noi venne fissato alla croce”. Il che implica un “decidersi davvero a voler cercare e sopportare ogni sorta di fatiche per amore di Dio […] nel percorrere questo cammino, privo di tutto, senza volere nulla”.

Per questo motivo già dal noviziato ci viene consigliato di “vivere profondamente uniti a Cristo nella sua passione, al fine di rendere amore per amore, pagando con opere”. Poi, nel seminario ci viene inculcato ancora di più “il senso della croce” e ci viene insegnato a praticare “la radicale donazione di sé, propria del sacerdote” affinché “partecipando misteriosamente alla croce di Cristo collaboriamo all’edificazione del suo corpo”. Tutti ricorderanno i durevoli frutti che ci ha dato la buona abitudine di fare quello che ci hanno insegnato nel Seminario e che chiamiamo “Il Libro della Passione”: è un modo concreto di imparare la “scienza della croce”.

San Giovanni della Croce in una delle pagine più sublimi della letteratura cristiana spiega: “Oh! Vi fosse qualcuno capace di fare intendere, praticare e gustare alle persone spirituali il senso del consiglio di rinunciare a noi stessi, dato da Nostro Signore affinché queste comprendano quanto il modo di comportarsi in questo cammino sia diverso da quello che la maggior parte di loro credono! Alcune sono convinte che basti qualunque genere di ritiro e di riforma di vita, altre si contentano di praticare in qualche modo le virtù, di dedicarsi all’orazione e di esercitarsi nella mortificazione, ma né le une né le altre raggiungono la nuda povertà, l’abnegazione o la purezza spirituale, che sono tutt’uno, consigliate da Nostro Signore. Esse infatti si preoccupano più di nutrire e di vestire la loro natura di consolazioni e di sentimenti spirituali che di spogliarla e privarla per amore di Dio di ogni cosa. Credono infatti che sia sufficiente rinnegare la propria natura solo in ciò che riguarda il mondo e non che si debba anche annientarla e purificarla in ciò che appartiene allo spirito, Per questo motivo, quando si presenta loro qualcosa di solido e di perfetto, come sarebbe quello di rinunciare alla ricerca di ogni soavità in Dio e di restare nell’aridità, nella sofferenza e nei travagli, in cui consiste la vera croce e la nudità dello spirito povero di Cristo, tali anime rifuggono da tutto ciò come dalla morte e vanno cercando nel Signore solo dolcezze e comunicazioni soavi, il che non è certamente rinuncia a se stessi e nudità di spirito, ma ingordigia spirituale. Facendo così, esse diventano spiritualmente nemiche della croce di Cristo, perché il vero spirito cerca nel Signore più l’amaro che il dolce, propende più per le sofferenze che per le consolazioni, si sente spinto per amore a Dio più alla rinuncia che al possesso di ogni bene, tende più alle aridità e alle afflizioni che alle dolci comunicazioni, sapendo bene che solo così si segue Cristo e si rinuncia a se stessi e che agire altrimenti vuol dire cercare se stessi in Dio, cosa molto contraria all’amore. Infatti cercare se stessi in Dio è desiderare i doni e le consolazioni divine; cercare invece Dio in noi stessi vuol dire non solo rinunciare a tutto per amore di Lui, ma in forza di questo amore essere propensi a scegliere quanto di più disgustoso c’è sia da parte di Dio che da quella del mondo. Questo è il vero amore di Dio.”.

Dio ha creato la nostra anima per Sé. E vuole unirla a Sé e comunicarle l’incommensurabile pienezza e l’incomprensibile felicità della sua stessa vita divina già in questa vita. Questa è la meta verso la quale avanziamo e dobbiamo persuaderci che “la croce è il bastone su cui appoggiarci”. Tuttavia sappiamo che molte anime si fermano lungo il cammino o fuggono spaventate.

Non deve succedere questo con i membri dell’Istituto. Poiché la Croce è parte essenziale della vita cristiana e appartiene “in modo particolare all’essenza della vocazione religiosa”. Noi dobbiamo avere ben chiaro che la nostra è una chiamata a crocifiggere l’uomo vecchio, non è una chiamata a divertirsi. Per questo è molto conveniente il “disporsi a morire”, a passare per la seconda e la terza conversione e applicare la volontà ad “amare la croce viva dei lavori, umiliazioni, affronti, tormenti, dolori, persecuzioni, incomprensioni, contrarietà, infamie, disprezzi, vituperi, calunnie, morte…”; e ciò, “non con animo fanciullesco, ma con volontà profonda”.

E che di fatto la nostra vita sia segnata dalla Croce, “è il massimo dono che Dio ci possa fare in questo mondo”. Poiché è questo il modo nel quale avviene “il progressivo annichilamento della natura per dare più spazio alla luce dell’alto e alla vita divina” e il modo in cui diventiamo come “un’altra Incarnazione del Verbo”, “altri Cristi”. Sappiate anche che quelli che hanno più capacità e forza per soffrire, vengono purificati dal Signore con maggiore intensità e prontezza.

Per questo non bisogna tirarsi indietro davanti alla croce, né avere paura, né evitarla, bensì, è proprio nostro l’avanzare con animo coraggioso, senza lamentele, senza meschinità e senza cercare consolazioni né ricompense. E con quanta maggior disposizione ci stendiamo sulla Croce e ci lasciamo inchiodare ad essa, tanto più profondamente sperimenteremo la realtà di essere uniti al Crocifisso. “Prendere la croce che Dio ci manda -dice il Venerabile Arcivescovo Fulton Sheen- come Lui prese quella che gli fu data, anche quando non la meritiamo, è la via più breve per l’identificazione con la volontà di Dio, che sarà l’inizio del potere e della pace: potere, poiché diventeremo uno con Colui che può fare ogni cosa; pace: poiché staremo tranquilli nell’amore di Colui che è giusto”.

A donna Juana de Pedraza -una donna che San Giovanni della Croce dirigeva spiritualmente e che forse era tentata di non avanzare nella via stretta della croce-, il Mistico Dottore scrisse: “Non è stata mai meglio di ora, perché mai è stata così umile e sottomessa, mai ha fatto tanto poco conto di sé e di tutte le cose del mondo; prima non si reputava tanto cattiva, né stimava Dio così buono, né serviva a Lui con animo sì puro e disinteressato come ora e le sue azioni non sono inquinate dalle imperfezioni della volontà e dell’interesse,  come forse avveniva in passato. Che cerca dunque? Quale ideale ha della vita e in qual modo crede di poterlo attuare qui in terra? Che pensa che sia il servire a Dio, se non astenersi da ogni male, osservare i suoi comandamenti e attendere alle cose divine meglio che possiamo? Quando vi è questo che necessità vi è di tante altre fantasticherie e lumi e gusti, umani o divini, in cui per solito non mancano inciampi e pericoli per l’anima […]? Di che cosa dobbiamo assicurarci se non di andare per la via piana della legge di Dio e della Chiesa, di vivere solo con fede oscura e vera, con speranza certa e con carità perfetta, aspettando lassù ogni nostro bene e di passare quaggiù come pellegrini, poveri, esiliati, orfani, aridi, senza strada e senza niente, aspettando ogni bene in Cielo? Si rallegri dunque e si affidi a Dio […] Non desideri nient’altro che di regolarsi nel modo suddetto e tranquillizzi l’anima sua, che versa in buone condizioni.”.

Il diritto proprio ci fa ben notare che se “secondo il piano della Santissima Trinità era necessario che Gesù Cristo soffrisse per salvare tutti gli uomini, se nell’attuale economia salvifica fu necessaria la Passione di Cristo, sarà necessario anche il nostro patire. Se ci fosse un altro cammino per andare in Cielo, Gesù Cristo l’avrebbe seguito e più l’avrebbe insegnato. Ma non è così! Cristo è andato per il cammino regale della santa Croce e ci ha insegnato ad andare per esso”. Pertanto la Croce non è altra cosa che la via per il Cielo, anzi è “la strada più corta e più sicura”. Quindi, “non ingannatevi. Dal giorno in cui fu necessario che la Sapienza incarnata entrasse in cielo per mezzo della croce, per entrarvi dopo di lei bisogna seguirla sullo stesso cammino”.

A noi viene chiesto di “essere specialisti nella sapienza della croce, nell’amore alla croce e nell’allegria della croce” e anche di “desiderare con veemenza la croce” e di “chiedere nella preghiera: la grazia… di soffrire per Cristo”. Quindi, “una scienza della croce si può definire solo quando si sperimenta fino in fondo la croce”. Forse questa croce non si concretizza nella sofferenza, nella fatica e nelle prove di ogni giorno, così come nell’umiliazione dell’insuccesso, nelle emarginazioni e nelle difficoltà della vita quotidiana? Perché allora ci lamentiamo? Ci possono anche essere alcuni che pretendono che il ‘mondo si fermi’ per aiutarli nelle loro necessità dimenticandosi “che tutto si riduce a colpi di battente nell’anima per spingerla ad amare di più” e che “chi non cerca la croce di Cristo, non cerca la gloria di Cristo”. Pertanto bisogna saper approfittarne e perseverare fermi nella vocazione ricevuta dalle mani di Colui che per mezzo dell’apostolo ci disse: grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza e andare sempre avanti “nella somma speranza di Dio incomprensibile”.

Quale deve essere quindi il nostro atteggiamento di fronte alla croce? Qualcosa l’abbiamo già detta: deve essere coraggioso, di valore, poiché questo è l’atteggiamento sacerdotale proprio del “terzo binario” come meditiamo ogni anno negli Esercizi Spirituali. Il che esige “un atto di fede integrale e di donazione totale [a Cristo], con una tale decisione formale di non fare patti, non transigere, non capitolare, non negoziare, non concedere, né fare compromessi con lo spirito del mondo”.

Ma dobbiamo anche sapere che nelle prove più interiori -nelle purificazioni passive- succede a volte ciò che diceva San Pier Giuliano: “Dio si compiace di moltiplicare le difficoltà, ferma e blocca nell’impotenza. Si vorrebbe il bene, ma non si può”. Quindi non c’è altro che fare ciò che sapientemente consiglia il Mistico Dottore di Fontiveros:

Pazienza e conformità: “Procuri di sopportarla sempre con pazienza e conformità alla volontà divina e non a malincuore, altrimenti, invece di fargliene ricavare vantaggio, Dio lo rimprovererà perché non ha voluto portare pazientemente la croce di Cristo”. E questo farlo con grande nudità e distacco dalle creature in maniera che tutto l’inferno non riesca a disturbarci.

In silenzio: “Infatti è impossibile camminare con profitto, se non si procede operando e soffrendo virtuosamente, tutto avvolto nel silenzio”. Allo stesso modo, dice il Maestro della fede: “Quando le si presenterà qualche sofferenza e disgusto, si rammenti di Cristo crocifisso e taccia. Viva in fede e in speranza, anche se è fra le tenebre, che in esse Dio aiuta l’anima. Getti la sua cura in Dio, che Egli la protegge né la dimenticherà. Non pensi che Egli la lasci sola che sarebbe un’offesa a Lui”. “Chi si lamenta o mormora non è perfetto, anzi, neppure buon cristiano”.

Con tranquillità: Cioè, “saper rimanere quieta”. “è chiaro che il turbamento è sempre inutile, poiché non porta alcun profitto per cui, anche se ogni cosa finisse, sprofondasse e tutto succedesse a rovescio e al contrario, inutile sarebbe agitarsi dal momento che in tal modo ciò più che di rimedio, sarebbe di danno. Sopportare invece tutto con uguale e pacifica tranquillità […] Espressione con la quale egli ci insegna che in ogni evenienza, avversa quanto si voglia, dobbiamo piuttosto rallegrarci che turbarci”. Pertanto, “qualsiasi bene o male accada, lasciar sempre riposare il cuore con viscere di amore”.

Con gioia: “Si rallegri abitualmente in Dio, che è sua salvezza e pensi essere cosa buona il soffrire in qualunque modo per Colui che è buono”. Sapendo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.

Considerando la brevità della pena: Poiché “tutto ciò dura poco, si riduce tutto fino ad alzare il coltello, poi Isacco rimane vivo, con la promessa che il figlio si moltiplicherà”.

Perseverando nella preghiera: Dato che “se non le manca l’orazione, Dio si prenderà cura delle sue cose poiché essa non appartiene né deve appartenere ad altro padrone”.

Con fedeltà alla propria consacrazione: “In nessun modo voglia sapere nulla, ma solo come meglio potrà servire il Signore e osservare gli obblighi del suo istituto”.

Così, infatti, l’anima apprende la scienza della croce che è scienza d’amore, poiché “l’amore che non nasce dalla croce di Cristo è debole”. Non si tratta qui di amare la croce poeticamente, solo a parole o con desideri effimeri. È proprio di noi l’essere capaci di sacrifici grandi e addirittura eroici, come richiede la nostra vocazione di religiosi del Verbo Incarnato. Non è forse questo ciò che ci ricorda la frase che mettiamo al di sotto dei crocifissi nelle nostre case “Così si ama”? San Giovanni Paolo II diceva: “La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo (…). La croce è come un tocco dell’eterno amore sulla nostra vita’”.

Pertanto, dobbiamo saper portare la nostra croce dietro le orme di Cristo povero nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. Tesori ai quali l’anima non ha accesso “se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere, riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio. […]Per entrare dentro le ricchezze della sapienza divina la porta è la croce che è stretta”.

E parafrasando San Luigi Maria, diciamo: “I demoni si uniscono per portarci alla perdizione: uniamoci per abbatterli! Gli avari si associano per trafficare e arricchirsi d’oro e d’argento: uniamo i nostri sforzi per conquistare i tesori dell’eternità racchiusi nella Croce. I libertini si uniscono per divertirsi: uniamoci per camminare seguendo Gesù crocifisso!”. E ciò ci porta al secondo punto di questa lettera.

2. Rivivere e testimoniare la vita del Verbo Incarnato

Se ognuno di noi è chiamato -e di fatto a questo ci siamo compromessi solennemente sotto voto- ad essere “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù, il Verbo fatto carne, davanti al Padre e agli uomini” è naturale che l’Istituto stesso come un tutto, riviva lungo la storia la vita del Verbo Incarnato, che nella sua sapienza infinita scelse “l’abbassamento di Nazaret e del Calvario”, e pertanto, la croce.

Quindi, anche il nostro Istituto, già nella sua missione, già nella sua stessa storia, porta l’impronta della croce. Il nostro stesso diritto proprio in ognuno dei suoi documenti porta impresso il segno della croce e questo si rivela determinante in relazione al nostro posto nella Chiesa.

In effetti, il carisma stesso dell’Istituto esprime che la croce di Cristo e il crocifiggersi con Lui, non è un elemento aggiunto al carisma, bensì è parte integrale ed essenziale del carisma stesso: “Per il carisma proprio dell’Istituto, tutti i membri devono lavorare, in piena docilità allo Spirito Santo e nell’impronta di Maria, al fine di impadronirsi per Gesù Cristo di tutto ciò che è autenticamente umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse”. Il che si concretizza portando la grazia della Redenzione nelle famiglie, nell’ambito dell’educazione, nei mezzi di comunicazione, negli uomini di pensiero e in ogni altra legittima manifestazione della vita dell’uomo.

Così, quindi, la nostra spiritualità, la materia della nostra predicazione, la fonte ed il punto di convergenza di tutto il nostro impegno apostolico e “la cattedra suprema della verità di Dio e dell’uomo” si trova nella croce. Anzi, ancora di più: anche il nostro modo di vivere la vita fraterna in comune e il nostro modo di fare apostolato sono segnati dall’imitazione dell’annientamento di Cristo informato dal suo amore redentore: nel servizio umile e nell’offerta generosa, nella donazione gratuita di se stesso mediante un amore fino all’estremo.

E questo è così perché come Istituto siamo chiamati “a rivivere e testimoniare l’unico mistero di Cristo, soprattutto negli aspetti del suo annientamento e della sua trasfigurazione”. Testimonianza dalla quale non si può dissociare lo scandalo della croce. Poiché “la legge dell’Incarnazione è una legge di patimento” e questo non lo dobbiamo dimenticare.

Se Cristo stesso durante la sua vita terrena “mise radicalmente in crisi una certa immagine messianica, consolidata in una parte del popolo ebraico, che aspettava un liberatore piuttosto politico, apportatore di autonomia nazionale e di benessere materiale” non ci dobbiamo sorprendere che il nostro Istituto che decisamente dichiara “un rifiuto pieno e totale del mondo cattivo”; che è deciso a mantenersi indipendente di fronte alla massime, burle e persecuzioni del mondo e che ha come punto d’onore il confessare “la distinzione delle Persone, l’unità della loro natura e l’uguaglianza nella maestà” trovi opposizione, rifiuto, o subisca la costante confabulazione dei suoi nemici che, come in altri tempi, anche oggi cercano il Verbo Incarnato per ucciderlo.

Non invano il Santo Padre diceva: “‘Il problema che scandalizzava questa gente [gli scribi e gli anziani di Gerusalemme] era quello che i demoni gridavano a Gesù: Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il santo. Questo, questo è il centro’. Ciò che di Gesù scandalizza è la sua natura di Dio incarnato. E come a lui, anche a noi ‘tendono trappole nella vita’; quello che scandalizza della Chiesa è il mistero dell’incarnazione del Verbo: quello non si toglie, quello il demonio non lo toglie». Anche adesso sentiamo dire spesso: ‘Ma voi cristiani, siate un po’ più normali, come le altre persone, ragionevoli, non siate tanto rigidi’. Dietro questo invito, in realtà, c’è la richiesta di non annunciare che ‘Dio si è fatto uomo’, perché ‘l’incarnazione del Verbo è lo scandalo’”.

Già Tertulliano paragonava lo scandalo dell’Incarnazione con quello della croce, dato che solo perché avvenne la prima, apparve la seconda. Infatti dice: “Che cosa è più indegno di Dio, di che cosa c’è da vergognarsi di più, nascere o morire? Portare la carne o la croce? Essere circonciso o inchiodato? Essere educato o sepolto? Essere deposto in una stalla o in un sepolcro? (…)  Risparmia la sola speranza di tutto il mondo. Perché distruggi il disonore necessario alla fede? Tutto ciò che è indegno di Dio va a mio vantaggio (…) Il figlio di Dio è stato crocifisso; non fa vergogna proprio perché è vergognoso. È morto il figlio di Dio, è credibile proprio perché assurdo (…) Ma come tutto ciò sarà vero in lui, se lui stesso non fu vero, se veramente non aveva in sé ciò per cui poteva essere crocifisso e morire, essere seppellito e risuscitare (…) La condizione delle due sostanze lo mostra uomo e dio; di qui nato, di là non nato; di qui carnale, di là spirituale; di qua debole, di là fortissimo; di qua morente, di là vivente (…)  Perché ridurre a menzogna la metà di Cristo? Egli fu tutto verità”.

E così, come lungo la storia ci furono molti che si scandalizzarono dell’Incarnazione del Verbo e della sua croce: Lutero, Hegel, teologi progressisti, e tutti coloro che “interpretano la Sacra Scrittura fuori dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa”; anche lungo la nostra storia come Istituto, ci furono, ci sono e ci saranno alcuni che comportandosi come nemici della croce si scandalizzano del fatto che predichiamo e che viviamo d’accordo alla sublime verità che il Verbo si fece carne.

Se predichiamo gli Esercizi Spirituali nei quali l’anima chiede: “Desidero e scelgo, la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le ingiurie con Cristo, che ne è ricolmo, piuttosto che gli onori, e preferisco di essere stimato stupido e pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, anziché saggio e prudente in questo mondo”, e sono sempre di più i giovani che entrano nella vita religiosa, per questo ci dicono che gli ‘facciamo il lavaggio del cervello’, dimenticando che è Dio che “semina a piene mani mediante la grazia i germi della vocazione” e che Cristo stesso disse: quando sarò elevato da terra attirerò tutti a Me. Ciò che attrae non è il sottomettersi alla morte ma l’offerta del cuore per amore a Dio.

E se il nostro stile sacerdotale è quello di coloro “che possedendo se stessi possono darsi” e sentiamo come nostra la chiamata a predicare il Vangelo in tutto il mondo essendo sempre disponibili per la missione e per portare la grazia dei sacramenti alle anime, non mancano, quindi, coloro che pascendo se stessi cercano di ostacolare il nostro lavoro.

E se diciamo che “come Istituto di vita consacrata vogliamo dedicarci totalmente all’edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo” ma “non andiamo nelle missioni per noi stessi, ma è lo Spirito Santo che ci spinge ad annunciare le grandi opere di Dio” poiché è “lui che guida la Chiesa, che la conduce per le vie della missione e che rende missionaria tutta la Chiesa” e perciò sentiamo con la Chiesa ed agiamo sempre con essa: nonostante questo siamo stati accusati di “internazionalismo forzato” e di tante altre cose. Tuttavia è la Chiesa stessa, che attraverso i suoi Pastori ci ha affidato la missione, al giorno d’oggi, in 91 diocesi in tutto il mondo. E le richieste di fondazione continuano ad arrivare, nonostante tutte le diffamazioni che l’Istituto soffre.

E se nel nostro Istituto il Santo Sacrificio della Messa -dove Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, perpetua il sacrificio della croce- e se essa stessa che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa” è celebrata “con devozione e senza affettazione”, essendo sempre coscienti che “l’azione liturgica è azione ‘sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado’”, per questo ci disprezzano come ‘pre-conciliari’. C’è gente stolta che pensa ancora che lo siamo.

E se nelle nostre comunità si vive nella gioia e carità fraterna “osservando vita comune sotto la dipendenza del superiore” anche quando a volte sono pochi membri, essi con una visione oscura e pessimistica della vita consacrata (che loro stessi non riescono a vivere) dicono: “non fate della fraternità una poesia” e scoraggiano ogni tentativo che contribuisca a rafforzare i religiosi “in ciò che si riferisce alla fedeltà comunitaria e personale secondo le proprie Costituzioni” e considerano un’esagerazione che il superiore si sforzi di “curare con ogni sollecitudine la fedeltà dei confratelli verso il carisma del fondatore”.

Per non parlare del fatto che abbiamo la grande grazia di seguire gli insegnamenti di San Tommaso d’Aquino -secondo il posto privilegiato che gli danno i Papi, il Concilio Vaticano II e lo stesso Codice di Diritto Canonico– e che è questo l’insegnamento che riceviamo e che impartiamo come lo richiede il nobile compito dell’evangelizzazione e lo comanda la Chiesa. Per questo ci dicono di essere un po’ più “normali”, come le altre persone, sensati, non così rigidi. Volendo dirci con questo di non lavorare perché la vita pubblica e sociale dei popoli si subordini a Dio come al proprio fine ultimo, ma di adattare il cristianesimo alla civilizzazione moderna, di diluire la fede con il razionale, di convertire il sacro in profano, di trasformare la teologia in antropologia, di dissolvere l’eterno nella storia, di lavorare non per la cristianizzazione del mondo ma per la mondanizzazione del cristianesimo, non per evangelizzare la cultura ma per abbracciarla così com’è, ‘senza filtro’; non per formare uomini di “solida mentalità di fede” che li renda capaci di “essere servi del Vangelo e maestri del Popolo di Dio”, ma semplici commentatori nei quali regni la confusione della teologia e della filosofia, sociologia o psicologia e che “fingono d’ignorare la Tradizione vivente della Chiesa… reinterpretano la dottrina della Chiesa, e lo stesso Vangelo, le realtà spirituali, la divinità di Cristo, la sua risurrezione o l’Eucaristia, svuotandole praticamente del loro contenuto e creando in tal modo una nuova gnosi”.

Questi tali, infatti, dimenticano che è proprio nostra la “ricerca, investigazione, proclamazione e celebrazione della verità, perché seguiamo il Verbo che dice: Io sono la Verità, essendo questo ‘il fine dell’universo… la verità’ e perché per questo si è incarnato Gesù Cristo: Per questo sono venuto nel mondo, per testimoniare la verità”. La nostra vocazione, come membri dell’Istituto del Verbo Incarnato, “presuppone una ferma identità cristiana” e, ripeto, “un atto di fede integrale e di donazione totale, [a Cristo], con una tale decisione formale di non fare patti, non transigere, non capitolare, non negoziare, non concedere, né fare compromessi con lo spirito del mondo”. Ed in questa attitudine vogliamo vivere permanentemente anche se da ciò ne segua la croce.

Anzi, analogamente al modo in cui Cristo si fece uomo senza smettere di essere Dio, il nostro Istituto è nel mondo “senza essere del mondo” e lavora nel mondo per convertirlo, non per mimetizzarsi con esso. Di fatto, attualmente il nostro Istituto è presente in più di 40 paesi di culture molto diverse e ed in ognuno di essi i nostri missionari lavorano non per mimetizzarsi con esse, ma, assumendo tutto ciò che in esse è buono e pertanto assumibile, per sanarle ed elevarle con la forza del Vangelo, facendo, analogamente, quello che fece Cristo: “soppresse il diabolico, assunse l’umano e comunicò il divino”.

E così come il Verbo Incarnato si fece simile a noi in tutto fuorché nel peccato, per noi non sono assumibili il peccato, l’errore, e tutti i loro derivati. Poiché due fedeltà sono inconciliabili, come ci ha insegnato lo stesso Cristo: non si può servire a due padroni.

Come potremmo dire che vogliamo configurarci con Cristo e che l’Istituto come un tutto è chiamato a rivivere e a testimoniare il mistero di Cristo, dove non c’è “nulla di bugia, falsità, insicurezza, di velo o ipocrisia”, ma, al contrario, tutto “è trasparenza, autenticità, sincerità, coerenza, verità” e cadere in quei falsi dualismi e in quelle dialettiche distruttrici che cercano di dividere, separare, ed opporre la grazia alla natura, la fede alla ragione, la Chiesa al mondo, realtà che non si devono opporre distruttivamente, ma unire ordinatamente?

Sì, è certo: il Figlio di Dio venne e si fece carne, e quando è questo che predichiamo, vengono le persecuzioni, viene la croce, come diceva il Santo Padre. Tuttavia noi “non abbiamo vergogna di vivere con questo scandalo della croce”. Anzi, vogliamo presentarci a Dio come uomini provati, operai che non hanno nulla di cui vergognarsi, come fedeli distributori della Parola di verità. E questo “è il centro della persecuzione”. Poiché è chiaro che ogni spirito che non riconosce Gesù (venuto nella carne), non è da Dio.

Oggi come ieri, il mondo continua a gridare al Verbo Incarnato inchiodato alla croce: scendi dalla croce e ti crederemo. Lascia la preghiera per l’azione, gli Esercizi Spirituali per le ‘condivisioni’. Lascia la mistica e l’ascetica per la ‘denuncia profetica’ e il ‘cambio di strutture’, la spiritualità forte della croce per la liberazione della Pasqua, parlate di giustizia solo in riferimento ai peccati sociali, ma quando si tratta di peccati personali enfatizzate solo la misericordia, non predicate la realtà dei novissimi perché questo non entusiasma, parlate del Credo ma non della disciplina… e potremmo continuare così con una lunga enumerazione di aberrazioni con cui oggi prende forma il grido che essi lanciavano al Crocifisso, scandalizzati che il Messia morisse su una croce. Di essi parlava il profeta quando diceva: Saranno svergognati e confusi quanti s’infuriano contro di te; saranno ridotti a nulla e periranno gli uomini che si opponevano a te.

Pertanto, oggi come ieri, i nemici del Verbo Incarnato continuano ad essere di tre categorie:

– Alcuni sono come i sacerdoti che con gli scribi e gli anziani dicevano: scenda ora dalla croce e gli crederemo. Sono coloro che vogliono la catechesi ma non la mortificazione, sono coloro che sono disposti ad accettare qualsiasi cosa: l’Eucaristia, le chiavi di Pietro, anche la Divinità del Verbo, ma non la croce. Sono coloro che assistono -almeno di nome- agli insegnamenti del Monte delle Beatitudini, ma non a quelli del Golgota. Perciò si riempiono la bocca degli insegnamenti di Cristo, ma sempre senza croce: nulla dell’abnegazione, non menzionano né il peccato né la colpa, nulla della morte dell’uomo vecchio, tutto senza limiti, il contrario è una repressione.

– Altri sono come i soldati che dopo aver tirato a sorte le sue vesti e essersele spartite, si sedettero lì a fargli la guardia: sono spettatori che non si vogliono coinvolgere, sono quelli che in qualche modo credono in Dio ma senza la passione, credono in Dio come in un’idea, non come una Persona, sono coloro che sono coinvolti nel mondo ma non nella redenzione. Come gli scribi che consultò Erode il Grande per sapere dove sarebbe nato Cristo, essi lo sapevano ma non andarono.

– E altri sono come quelli che ai piedi della croce chiedevano la crocifissione perché egli aveva detto Io sono Figlio di Dio. Sono coloro che ridicolizzano il suo sacrificio o sono abbastanza indifferenti da giocare a dadi all’ombra della croce. Sono coloro che non aderiscono con tutta la forza al bene e alla verità, non lottano contro il male e la vergogna e finiscono lavorando per quest’ultimo. Sono coloro che chiudono gli occhi alla realtà, che si tappano le orecchie per non sentire, che non vogliono pensare per non capire ed additano come ‘esagerati’, come ‘senza prudenza’, come di ‘estrema destra’ coloro che difendono la purezza della fede.

E con simili pretesti quante volte lungo la storia dell’Istituto hanno agito con noi come con il Crocifisso! Ed essi stessi hanno finito per andarsene come quei profeti dei quali parla la Scrittura che predicono la menzogna, e profetizzano gli inganni del loro cuore. Di loro infatti dice il salmo: Arrossiscano e tremino i miei nemici, confusi, indietreggino all’istante.

Tuttavia, il nostro Istituto è convinto che oggi come sempre, la nostra missione nella Chiesa è quella di proclamare al mondo che il Verbo si fece carne e di annunciare ai quattro venti il potere redentore della croce in tutta la sua estensione e profondità, senza rimpicciolirla, senza diminuirla, senza svuotarla, senza evitare le conseguenze che ci porti. Lontano da noi il vergognarci del Dio incarnato che morì per noi sulla croce!

Infatti ciò che “la Chiesa e la gente aspettano dal nostro Istituto e da ognuno dei suoi membri è un culto fervente alla verità. E che anche a costo di rinunce e sacrifici, cerchi sempre la verità che deve trasmettere agli altri, senza venderla, senza mai dissimularla per il desiderio di piacere agli uomini, di stupire, né per il desiderio di apparire. Nel nostro Istituto non si rifiuta mai la verità. Non si oscura la verità rivelata per la pigrizia di cercarla, per comodità, per paura. Non si smette di studiarla. Anzi, la si serve generosamente senza assoggettarla”.

Poiché solo il Verbo Incarnato può salvare l’uomo e i popoli, essendo Lui l’unico che ha parole di vita eterna.

Perché “solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… (Egli)svela pienamente l’uomo a se stesso”.

“Perché la roccia è Cristo e nessuno può mettere un altro fondamento”.

Poiché le deviazioni moderne che riducono tutto il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione ad un’ombra vana e senza corpo, sono un’invenzione veramente sacrilega.

Poiché lo stesso Cristo che disse: chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà è lo stesso che disse: chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi. Da cui ne deriva che considereremmo una grande grazia il “martirio per lealtà a Dio”.

Questo è lo spirito che ci anima, questa è la fede che professiamo e se degenera in altro, promettiamo la nostra supplica affinché il Signore cancelli la nostra congregazione dalla faccia della Chiesa.

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Cari tutti:

Alla luce del Verbo Incarnato che offrì la sua vita sulla croce per la nostra redenzione non possiamo fare a meno di offrire la nostra vita per “amare e servire, e far amare e far servire Gesù Cristo: il suo Corpo e il suo Spirito. Tanto il Corpo fisico di Cristo nell’Eucaristia, quanto il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa”. Per questo, infatti, Dio ci ha pensati: per rivelare il Figlio di Dio venuto nella carne, che morì e risuscitò per noi, e impregnare le culture con la pienezza del suo Vangelo “anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse”. Questo è il nostro programma. Questo è il nostro cammino: quello della Croce, che è lo stesso che il Verbo Incarnato scelse per Sé. Ed è lì, nel mistero del Verbo Incarnato inchiodato alla croce, dove risiede il segreto di ogni fecondità spirituale.

Andiamo sempre avanti con la fede e la fiducia fisse in Colui che disse: Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; sì, voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Che la Santissima Vergine ci conceda la grazia della “santa familiarità col Verbo fatto carne”, di aderire pienamente al Verbo, di vivere per Lui, di essere governati da Lui, di comprendere da Lui ciò che dobbiamo dare alla luce per Lui e di vivere abbracciati alla sua croce. Che oggi e sempre possiamo essere predicatori instancabili del Vangelo che salva, poiché per questo ci ha riuniti il Signore in questo Istituto.

Vi mando un forte abbraccio a tutti. Nel Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre,

P. Gustavo Nieto, IVE

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