“Vivendo come resuscitati”

Roma, Italia, 1 aprile 2018.

Domenica di Resurrezione del Signore

Lettera Circolare 21/2018

“Vivendo come resuscitati”

Direttorio di Spiritualità, 39

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

Felicissima Pasqua di Risurrezione per tutti! 

Voglia Dio che la gioia ineffabile e la luce di Cristo Risorto riempia le nostre anime e ci faccia tutti annunciatori della pace pasquale ovunque ci troviamo. Infatti, il Signore ci ha scelti per questo: per essere segni della sua risurrezione. Perciò, come insegnano le nostre Costituzioni, sappiamo oggi “fare festa”, con immensa allegria e con grande impegno per la missione.

Essendoci già consacrati a Dio tramite il battesimo, attraverso il quale siamo morti per partecipare dei frutti della risurrezione, con la nostra consacrazione questa vita in Cristo –che suppone un’identificazione con la sua morte e risurrezione– si trasforma per noi in un programma tutto particolare di vita. “Diviene una regola e un carisma, come testimonianza e apostolato. È l’annuncio di Cristo non solo a parole, ma anche con la scelta di vita, che giunge fino alle esigenze più profonde del Vangelo: va, vendi quello che hai e dallo ai poveri… poi vieni e seguimi : nella povertà, nell’obbedienza e nella castità”. 

San Giovani Paolo II scrisse: “La professione religiosa –sulla base sacramentale del battesimo che è il suo fondamento– è una nuova ‘sepoltura nella morte di Cristo’; nuova, mediante la coscienza e la scelta; nuova, mediante l’amore e la vocazione; nuova, mediante l’incessante ‘conversione’. Tale ‘sepoltura nella morte’ fa sì che l’uomo, ‘sepolto con Cristo’, ‘viva come Cristo una vita nuova’”.

In tal modo, la nostra consacrazione mediante la professione dei voti religiosi implica uno speciale radicamento in Cristo per edificare in Lui tutto il vivere e l’operare con l’unico fine di “imitare più da vicino e rappresentare perpetuamente nella Chiesa quella forma di vita che il Figlio di Dio scelse incarnandosi”, giungendo a essere come “un’altra Incarnazione del Verbo”. 

È per questo che la professione dei consigli evangelici, che hanno una particolare efficacia per assimilarci a Cristo, ci deve “trasformare in una parte della sua umanità nella quale rinnova tutto il suo mistero”. Così, i tre consigli evangelici diventano come la struttura della nostra consegna totale e gioiosa al servizio di Dio vivendo “d’accordo all’identità specifica” della nostra Famiglia Religiosa, come già abbiamo detto in altre occasioni. 

Dato dunque che siamo a pochi giorni dalla celebrazione liturgica “del mistero sacrosanto dell’Incarnazione, che è ‘il mistero primo e fondamentale di Gesù Cristo’” [e tenendo presente che in varie parti del mondo alcuni dei nostri devono realizzare la loro professione dei voti] mi è sembrato che possa essere conveniente destinare questa Lettera circolare ad approfondire il significato della nostra professione religiosa che con santo orgoglio un giorno abbiamo pronunciato e che con fervore rinnoviamo il 25 di ogni mese. 

È mia intenzione che queste righe ci aiutino a renderci più fervorosi nel compimento totale di ciò che un giorno abbiamo professato, essendo testimoni ogni giorno del Regno di Dio, vivendo come risorti, cercando solo le cose di lassù, non quelle della terra. Perché a questo siamo chiamati come religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato, cioè, che la nostra vita consacrata sia “un prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore Risorto”. 

1. La professione religiosa secondo il diritto proprio

San Pier Giuliano Eymard definiva la professione religiosa come “un contratto divino fra il religioso e Dio” per il quale uno si consegna totalmente e senza condizioni a Dio, e con San Tommaso d’Aquino dice: “Ciò che chiedo, o Signore e Dio mio, siete Voi e nulla più”. “È la consacrazione delle vittime”, diceva il santo, “perché tramite la professione dei voti il religioso si trasforma in vittima e olocausto del Signore”. “La professione è l’impegno di giungere fino all’ultimo estremo dell’immolazione per amore”. 

Il Codice di Diritto Canonico da parte sua stabilisce che: “Attraverso la professione religiosa i membri abbracciano con voto pubblico, per osservarli, i tre consigli evangelici, si consacrano a Dio per il ministero della Chiesa e vengono incorporati all’Istituto con i diritti e i doveri determinati nel diritto proprio”. 

Le nostre Costituzioni, come non potrebbe essere altrimenti, seguendo gli insegnamenti sapienziali dei santi di tutti i tempi e del Magistero della Chiesa e in piena concordanza con ciò che è stabilito dal diritto canonico, vedono nella professione dei voti religiosi: 

  1. Il mezzo per il quale “il religioso si libera dagli impedimenti che potrebbero allontanarlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, consacrandosi più intimamente al servizio di Dio”; riconoscendo in esso il “singolare e fecondo approfondimento della consacrazione battesimale”. E ciò con il doppio proposito di: “morire radicalmente al peccato e ai suoi vizi” per “trarre dalla grazia battesimale un frutto copioso” e di vivere “una vita nuova ‘per Dio in Gesù Cristo’ vissuta in tutta la sua radicalità”.
  1. “Un certo modo di martirio, posto che il religioso ha la stessa volontà del martire: ambedue accettano la morte a questo mondo per unirsi pienamente a Cristo e formare parte del suo Regno”. Così un giorno “non con animo infantile ma con volontà virile” e “disposti al martirio per lealtà a Dio, cioè il rifiuto pieno e totale del mondo cattivo”, abbiamo fatto la nostra professione dei voti, volendo con ciò “porre i mezzi più sicuri ed efficaci per possedere la carità perfetta”. Tutto ciò non è altro se non “imitare Cristo nell’annullamento della sua incarnazione e della sua morte in croce”, perché Egli stesso un giorno ci ha detto: non vi è amore più grande di dare la vita per i propri amici.
  1. “Un vero olocausto si se stessi, perché in virtù dei voti si dona a Dio tutto ciò che è proprio, senza riservarsi nulla: per il voto di castità, il bene proprio del corpo; per il voto di povertà, le cose esteriori; e i beni dell’anima per il voto d’obbedienza. “In modo tale che al religioso non resta assolutamente nulla… [posto che] l’immolazione implica la distruzione totale della vittima in onore a Dio”. E anche se si parla “di una distruzione, dobbiamo parlare di una positiva trasformazione per raggiungere la carità perfetta che gli farà possedere Dio intima e pienamente” e adempiere il compito di “imitare il più perfettamente possibile Gesù Cristo”. 
  1. “È una vera consacrazione, per la quale il religioso è qualcosa di sacro, destinato al culto divino, proprietà di Dio”. Di fatto, la Chiesa si riferisce a noi “anzitutto come persone ‘consacrate’: consacrate a Dio in Gesù Cristo”. Questa consacrazione riveste un carattere totale, esclusivo e di maggiore intimità con Dio, volendo esprimere con ciò la donazione completa del religioso a Dio che “comprende la vita intera”. Consacrazione che nel nostro caso amorosamente richiede la “totale consegna a Maria per meglio servire Gesù Cristo”.

2. La nostra formula di consacrazione

Il documento “Elementi Essenziali della Vita Religiosa” tante volte citato nel diritto proprio stabilisce che “la professione religiosa si fa con la formula dei voti approvata […] da ogni Istituto. La formula è comune, perché tutti i membri contraggono gli stessi obblighi e, quando s’incorporano pienamente, hanno gli stessi diritti e doveri”.  

Le nostre Costituzioni ai numeri 254 e 257 contengono rispettivamente la formula di professione dei voti temporali e perpetui che usiamo nel nostro caro Istituto e secondo le quali abbiamo avuto la fortuna di consacrarci a Dio con il proposito supremo di “imitare il Verbo Incarnato casto, povero, obbediente e figlio di Maria”.

Questa è, diciamo così, il biglietto da visita di un religioso del Verbo Incarnato. Ogni parola lì contenuta, non è se non il fervoroso anelo, che dico, l’intenzione deliberata e ardente di configurarci a Cristo “in conformità al proprio carisma”. È il desiderio veemente di appartenergli totalmente e per sempre “senza diminuzioni né ritrattamenti, senza riserve né condizioni, senza sotterfugi né dilazioni, senza ripiegamenti né indecisioni”. È l’espressione della gioia incontenibile si saperci privilegiati nel passare le nostre vite dediti alla “edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo” e tutto “per la sua gloria”. 

Allo stesso modo, la formula contiene le gravi responsabilità e obblighi alle quali ci compromettiamo e secondo le quali dobbiamo mantenerci fermi come se stessimo vedendo l’invisibile. In maniera tale che ogni linea della nostra formula di professione dev’essere la pulsazione del nostro cuore, il nord del nostro peregrinare missionario, il baluardo della nostra fedeltà e segno di speranza sicura e conforto. Poiché lì è riassunta la nostra vocazione e il compito di tutta la vita. E lo stesso si dica, analogamente, della formula che usiamo tutti i giorni 25 di ogni mese per rinnovare la nostra consacrazione mediante i voti. 

E anche se è una realtà molto sfortunata che alcuni dei nostri sembrino essersi tirati indietro nella parola data a Dio –a volte scusandosi con motivi erronei e cavillosi che a poco a poco li hanno allontanati da un ideale così nobile per infine andarsene–, ciò non ci deve scoraggiare. È una realtà che è stata ed è parte della storia della fondazione di congregazioni religiose nella Chiesa e noi non siamo da meno. Ad ogni modo, come si vede nello studio fatto in occasione del VII Capitolo Generale (anno 2016) ed è stato indicato nella lettera introduttiva dell’ultimo Bollettino Ufficiale, per pura grazia di Dio abbiamo un buon indice di perseveranza e apparteniamo a una Famiglia Religiosa che cresce e si espande.

Per tutto ciò, anche se in modo essenziale, vorrei illustrare in pochi tratti e dimostrare secondo il diritto proprio le profonde esigenze alle quali siamo chiamati per essere religiosi professi dell’Istituto del Verbo Incarnato, secondo le bellissime espressioni della nostra formula di professione. Molte delle cose che lì si affermano, e che noi abbiamo professato solennemente il giorno dei nostri voti, sono prese letteralmente dall’Esortazione post-sinodale Vita Consecrata, di San Giovanni Paolo II (25 marzo 1996). 

  • “Per l’amore”: Notate come l’amore diventa la ragione prima e ultima della nostra consacrazione giacché si tratta fondamentalmente di un atto di amore a Dio. Ciò è molto semplice e allo stesso tempo molto profondo. In effetti, la vocazione religiosa è definita nel diritto proprio come “un’opzione per l’amore … per darsi tutto a Colui al quale tanto dobbiamo”. È talmente vero, che è per amore a Dio che siamo riuniti in comunità al fine di essere “un segno vivo del primato dell’amore di Dio, che opera meraviglie, e dell’amore a Dio e ai fratelli, come l’ha manifestato e vissuto Gesù”. È per amore, che “ci fa uscire dall’egoismo” che tutti i nostri membri devono collaborare con ogni entusiasmo nello sforzo missionario, realizzando la donazione di sé stessi a Dio per amore a tanti uomini e donne del nostro tempo che non conoscono Gesù Cristo”. È “per amore, [che] facciamo l’offerta di tutti i nostri beni e di noi stessi a Maria, e attraverso di Lei a Gesù Cristo.
  • “Al Padre, origine prima e fine supremo della vita consacrata; a Cristo, che ci chiama all’intimità con Lui; allo Spirito Santo, che dispone l’animo ad accogliere le sue ispirazioni”. Questo è ciò che abbiamo detto, e lo abbiamo detto alla stessa Trinità. Non ci sono parole, forse in tutta la nostra vita, che abbiano più serietà e importanza come quelle che abbiamo pronunciato il giorno della nostra professione. È alla Trinità che ci rivolgiamo perché è Dio stesso che ci ha chiamati. “Dio chiama chi vuole, per libera iniziativa del suo amore” e –chi potrebbe dubitarne– ognuna delle nostre vocazioni è stata il frutto “dell’azione divina”. Inoltre, è “un’iniziativa interamente del Padre, che esige da quelli che l’hanno scelta la risposta di una consegna totale ed esclusiva… dovendo rispondere con la consegna incondizionata della nostra vita, consacrando tutto, presente e futuro, nelle sue mani… totalità… equiparabile a un olocausto”. Perciò nella formula di rinnovamento mensile dei voti diciamo meravigliosamente che siamo stati chiamati a essere “gli incondizionati di Dio”, mettendo in rilievo la totalità, il raggiungimento pieno e la perpetuità dell’amore che si professa. Per questo spiegava San Giovanni Paolo II: “I voti religiosi hanno la finalità di realizzare un vertice d’amore: di un amore completo completo, dedito a Cristo sotto la spinta dello Spirito Santo e offerto al padre per mezzo di Cristo. Da qui il valore dell’oblazione e della consacrazione nella professione religiosa, che nella tradizione cristiana orientale e occidentale è considerata come un baptismus flaminis”. Molte volte, lo zoppicamento nella professione ha il suo fondamento in questo: nel voler mettere condizioni a Dio pensando che ciò ridonderà in un beneficio personale. “Cercare sé stessi” non è mai un buon affare nella vita spirituale.
  • Io N.N., liberamente, faccio a Dio oblazione di tutto il mio essere”: Data l’ansia d’identificarci con Cristo liberamente facciamo la nostra offerta che “a immagine di quella fatta da Cristo alla sua Chiesa e, come essa, è totale e irreversibile”. In questo modo, “mediante la pratica dei consigli evangelici vogliamo seguire più liberamente Cristo e imitarlo più fedelmente”. Per questo, il diritto proprio sottolinea esplicitamente che “dal momento che il fine della vita consacrata consiste nella conformazione al Signore Gesù e con la sua totale oblazione, a questo deve orientarsi anzitutto la formazione. È buono enfatizzare Questa parola: liberamente, perché implica che tale atto è stato realizzato dalla cosa più degna della nostra personalità che è la libertà. La nostra professione è stato un atto deliberato, un atto pienamente umano, un atto cosciente e sommamente libero, e perciò, di grande valore e merito di fronte a Dio. Lo scorso 1° febbraio, in un’intervista che mi ha concesso nella sede della CIVCSVA, Mons. José Rodríguez Carballo, Segretario di questo Dicastero, mi diceva “noi siamo liberi di realizzare i nostri voti, però una volta fatti, non siamo liberi di romperli”, soprattutto quando per farlo si tratta molte volte di scusarci con ragioni di convenienza. Riguardo a ciò, è bene far notare una volta ancora, perché è un fenomeno constatabile, che nel nostro Istituto “la maggior parte delle defezioni avvengono in quei paesi nei quali l’attrazione del mondo esercita una maggiore seduzione”.
  • “Per approfondire, con un amore ogni volta più sincero e intenso, il dono dei consigli evangelici in una dimensione trinitaria”: Con queste espressioni, cominciamo a manifestare pubblicamente e ad esplicitare la nostra intenzione di realizzare i voti. Sono questi gli ideali che con il passare degli anni dobbiamo mantenere rinnovate e inamovibili. Perché la nostra congregazione non vuole essere altra cosa che “manifestazione della consegna a Dio con cuore indiviso, riflesso dell’amore infinito che unisce le Tre persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria; amore testimoniato dal Verbo Incarnato fino al dono della sua vita; amore riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che anima una risposta d’amore totale verso Dio e verso i fratelli”.  È per questo che ognuno di noi per mezzo dello sforzo quotidiano nella pratica fedele dei consigli evangelici deve lasciar apparire “l’impronta trinitaria” fino a raggiungere “una esistenza trasfigurata”. Da questo consegue che nel nostro Istituto abbiamo una “profonda e radicale devozione alla Santissima Trinità, principio attivo dell’Incarnazione”. 
  • “Per essere un’impronta concreta che la Trinità lascia nella storia perché tutti gli uomini sentano l’attrazione e la nostalgia della bellezza divina”: giacché la nostra consacrazione “è immagine della Trinità: ‘è annuncio di quello che il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito, realizza con il suo amore, la sua bontà e la sua bellezza… Perciò, il suo primo obiettivo è di fare visibili le meraviglie che Dio realizza nella nostra fragile umanità”.  Si intende con ciò che il modo migliore di essere questa impronta concreta della Trinità nella storia è attraverso la testimonianza di vita. Di fatto, Questa è la “‘prima e insostituibile forma della missione’, in modo che risplenda fra i fedeli la carità di Cristo”. Di conseguenza, e “d’accordo alla tradizione cristiana che insegna che la vocazione non ha mai come fine la santificazione personale –perché Cristo ha unito in maniera molto intima la santità e la carità– così, noi che tendiamo alla santità personale dobbiamo sempre farlo nell’orbita di un impegno di servizio alla vita e alla santità della Chiesa”. Perciò, dobbiamo impegnarci “a realizzare con audacia, intelligenza e discernimento una pastorale della cultura” per la quale “non dobbiamo risparmiare mezzi né sforzi”. Lo dice chiaramente il diritto proprio: “Lavorare per il Regno vuol dire riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la trasforma. Costruire il Regno significa lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme”. 
  • “Perché la mia vita sia memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù, il Verbo fatto carne, davanti al Padre e davanti agli uomini”: Il che implica aderire pienamente e senza esitazioni al marcato “‘stile’ di nostro Signore Gesù Cristo”. Questa e non un’altra è la nostra ragione di essere religiosi del Verbo Incarnato, cioè, “imitare il più perfettamente possibile Gesù Cristo… riproducendolo, facendoci simili a Lui, configurandoci con Lui, sapendo che riflettiamo la stessa immagine dell’Unico Figlio di Dio. Vogliamo imitarlo fin Dove possiamo, veramente, dire agli altri, Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo, non sono io che vivo, ma Cristo vive in me ”. Per questo con enfasi e in ripetute occasioni il diritto proprio ci dice che “quest’impronta cristocentrica dev’essere marcata a fuoco in noi e nel nostro apostolato di evangelizzare la cultura… Tale realtà di essere altri Cristi è centrale nella nostra spiritualità”.
  • “Perciò, impegno tutte le mie forze a non essere schivo all’avventura missionaria, per inculturare il Vangelo nella diversità di tutte le culture”: Notate con quanta veemenza ci siamo impegnati “ad opere grandi, a imprese straordinarie”. Ciò richiede che noi siamo “uomini d’azione, di ampie vedute, di cuore deciso e generoso, che ci rallegriamo per la nobiltà delle nostre anime” sapendo che Gesù Cristo è lo stesso che ci invia “a tutte le nazioni a continuare la sua missione redentrice”. A questo punto mi sembra importante non tralasciare il fatto che ci siamo impegnati con tutte le nostre forze. Il che implica “la dedizione al servizio dell’evangelizzazione; si tratta di una dedizione di tutta la nostra persona e tutta la nostra vita, esigendo da ognuno di noi una donazione senza limiti di forze e di tempo”. “Perciò bisogna fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, o più esattamente delle culture”. E lo dobbiamo fare, “non in maniera decorativa, come una verniciatura superficiale, ma in maniera vitale, in profondità e [evangelizzando]fino alle loro proprie radici– le culture dell’uomo”. Perciò, il non essere schivi all’apertura missionaria va al di là di accettare un destino, implica piuttosto, muoversi “a impulsi dello ‘zelo per le anime’”, richiede da noi di avere “l’impeto dei santi e dei martiri, che diedero tutto a Dio”, si tratta di uno sforzo audace e paziente per sapersi avvicinare alle diverse culture con l’attitudine di Cristo che si spogliò di sé stesso assumendo la condizione di servo. Infine, implica anche “di essere capaci di prendere iniziative costanti per terminare le opere, perseveranti nelle difficoltà, sopportando con pazienza e fortezza la solitudine, la stanchezza e il lavoro infruttuoso”. In modo tale che la nostra vita sia piena di spirito apostolico. Tradiscono queste parole della formula di professione quelli che si attaccano disordinatamente a un posto, a un apostolato o a un destino, come anche quelli che hanno perduto la disponibilità di andare in qualsiasi momento in qualsiasi missione alla quale i superiori ritengano opportuno assegnarlo.
  • “Per prolungare l’Incarnazione del Verboin tutto l’uomo, in tutto l’uomo e in tutte le manifestazioni dell’uomo’ assumendo tutto ciò che è autenticamente umano”: Perché questo è il nostro fine specifico e così diciamo di voler prolungare il Verbo in tutte le cose, “nelle famiglie, nell’educazione, nei mezzi di comunicazione, negli uomini di pensiero e in ogni altra legittima manifestazione della vita dell’uomo”  per la parola orale e scritta,  e così “impregnare col Vangelo ogni attività umana”. Noi che “vogliamo attendere alla salvezza e santificazione degli uomini” dobbiamo stare “nel mondo e assumere in Cristo tutto ciò che è umano, giacché ‘ciò che non è assunto non è redento’ e ‘diventa un idolo nuovo con malizia vecchia’. […] Senza assumere “materia” non assumibile come il peccato, l’errore, la menzogna, il male” ma assumendo solo ciò che ha dignità o necessità. “Gesù Cristo è venuto nel mondo ‘per noi uomini’, pertanto, ‘ogni uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini’ -senza discriminazioni- allora, preferibilmente i più bisognosi devono essere oggetto del nostro amore e del nostro servizio. […] Dobbiamo amare con le opere e nella verità l’uomo concreto bisognoso -di beni materiali o spirituali-, mai usarlo come propaganda demagogica. Seguiamo Colui che, ispirando San Giovanni, disse di sé: Dio è amore”.   
  • “Per essere un’altra umanità di Cristo”: “in modo che il Padre non veda in noi ‘nient’altri che il Figlio amato”. Chi può presentare un ideale più sublime, più appassionante o più coinvolgente di “imitare più da vicino e rappresentare perennemente nella Chiesa ‘il genere di vita che il Figlio di Dio scelse quando venne in questo mondo per compiere la volontà del Padre, e che propose ai discepoli che lo seguissero’”? La sua vita terrena è l’“esempio di consegna sacerdotale al Padre Dobbiamo imitare”, sono le sue virtù quelle che dobbiamo emulare nelle nostre vite: “umiltà, povertà, dolore, obbedienza, rinuncia a sé stessi, misericordia e amore a tutti gli uomini”. Egli è “la Via che dobbiamo seguire”, e sono i suoi gli interessi con i quali dobbiamo prendere confidenza affezionarci e lottare per raggiungerli, andando al mondo per convertirlo, andando alla cultura e alle culture dell’uomo per sanarlo con la forza del Vangelo. Per questo il diritto proprio segnala ancora splendidamente come “assolutamente imprescindibile unirsi alla sua Persona, avere il suo Spirito, assimilare la sua dottrina, frequentare i suoi sacramenti, imitare i suoi esempi, amare nell’intimo sua Madre, essere in perfetta comunione con la Chiesa gerarchica”.
  • “Per realizzare con maggior perfezione il servizio di Dio e degli uomini”: Questa è la ragione per cui “c’impegniamo con i tre voti”. Al fine di “dedicarci totalmente a Dio come al nostro amore supremo e all’edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, raggiungiamo la perfezione della carità”.  Perché sappiamo bene che “la perfezione non consiste essenzialmente nella povertà, nemmeno negli altri voti di castità e obbedienza, ma nella sequela di Cristo nella perfetta carità. Per questo San Pietro disse a Nostro Signore: Noi abbiamo lasciato tuto e ti abbiamo seguito”. Questa è “la maggiore esigenza della nostra vocazione, nella quale deve riflettersi la stessa incarnazione del Verbo, nella quale brillano, senza mescolanaza ma in unione perfettissima, la perfezione umana e la perfezione divina”.  Perciò anche la nostra formazione umana punta a raggiungere “la perfezione umana che brilla nel Figlio di Dio e si riflette con singolare efficacia nei suoi comportamenti verso gli altri”. Questo implica un tendere “incessantemente a una maggiore perfezione” ordinando la nostra vita secondo il Vangelo e secondo il diritto proprio dell’Istituto.
  • “Perciò, davanti a Dio nostro Signore e a tutti i suoi santi, davanti a N.N., Superiore Provinciale dell’Istituto del Verbo Incarnato, e in presenza dei membri del suddetto Istituto e delle Serve del Signore e della Vergine di Matará”: Ricordiamo sempre che abbiamo dato la nostra parola a Dio nostro Signore e davanti a tutti i suoi santi, vuol dire che quello che succede il giorno della nostra professione si riproduce allo stesso tempo nel Cielo. Le parole che seguono manifestano non solo il vincolo giuridico fra ognuno di noi e l’Istituto, ma anche lo stretto legame spirituale che ci unisce al servizio della Chiesa. Per questo San Giovanni Bosco affermava che “i voti si possono chiamare cordicelle spirituali che ci legano a Dio e mettono nelle mani del superiore tutta la propria volontà, i beni, le nostre forze fisiche e morali, al fine di formare un solo cuore fra tutti e una sola anima, per provvedere alla maggior gloria di Dio secondo le nostre costituzioni, il che è precisamente ciò che la Chiesa ci invita a fare”. 
  • “Faccio voto di vivere per sempre [o per il numero di anni che corrisponda]”: Cioè, “i voti stabiliscono un vincolo potente fra Cristo e l’anima consacrata. È una donazione perpetua… [In effetti] il voto esprime e contiene quel carattere irreversibile di vincolo perpetuo”. Per questo San Pier Giuliano Eymard, in tutta la sua genialità e con tutta la sua forza, diceva ai suoi religiosi durante gli Esercizi Spirituali prima della professione: “per quanto tempo firmate questo contratto? Per prudenza, la regola vi chiede di firmarli solo per alcuni anni, uno o tre. Direte perciò: Bene, mi do per questo tempo, ma dopo vedremo? No! Il cuore da parte sua fa voti perpetui. Se non volete appartenere per sempre a Dio, non siete degni di essere suoi per un anno. Fermatevi qui. Non fate un passo in più, che trattandosi di Dio, tanto buono, non devono esserci prove! E se dubitate di Lui, del suo aiuto, della sua grazia e del suo amore, gli farete un’ingiuria. Ciò che costituisce la grandezza e la nobiltà dell’amore è consegnare la libertà presente e futura, legandosi per sempre e non ammettendo la possibilità di una rottura”. 
  • “Casto, per il Regno dei Cieli, povero, manifestando che Dio è l’unica vera ricchezza dell’uomo, e obbediente, fino alla morte di croce per seguire più intimamente il Verbo Incarnato nella sua povertà, castità e obbedienza”: “Si tratta di consegnare tutto, in una specie d’immolazione, per raggiungere la totale trasfigurazione in Cristo”. Allora, “mediante il voto di castità vogliamo offrire a Dio l’olocausto del nostro corpo e di tutti i nostri affetti naturali” e anche di “tutto quanto non sia lo stesso Dio. Allo stesso modo, con il voto di povertà liberamente abbracciamo “l’abbandono volontario delle ricchezze e dei beni esteriori di questo mondo al fine di cercare unicamente Dio” perché vogliamo “seguire nudi il Cristo nudo”. Ciò “implica una scelta preferenziale d’amore esclusivo a Dio”, che ci permette di tendere totalmente liberi e con tutte le forze a Lui solo. Infine, con il voto d’obbedienza –che è il più essenziale allo stato religioso– consegniamo a Dio la “volontà e con essa ogni bene dell’anima”. A questo punto, e al fine di “fare oblazione intera e perfetta di noi stessi” il diritto proprio ci esorta a offrire anche l’intelletto, “non solamente con un volere, ma avendo uno stesso sentire con il superiore, assoggettando il proprio giudizio al suo, in quanto la volontà devota può inclinare la ragione”. Bisogna sottolineare che “in virtù del voto siamo obbligati a osservare tutte quelle cose che la regola stabilisce come precetti, e tutte quelle cose che il superiore voglia comandare a tenore della regola”. Perciò “la volontà di Dio si esprime… per noi religiosi specificamente attraverso le costituzioni” e attraverso i superiori, che “fanno le veci di Dio”, e perciò i superiori, esercitando la loro potestà, lo devono fare ‘a tenore del diritto proprio e di quello universale’”.
  • “In accordo al cammino evangelico tracciato nelle Costituzioni dell’Istituto del Verbo Incarnato”: Lo dice esplicitamente il diritto proprio: “La vita religiosa è una sequela di Cristo in ordine a raggiungere la perfezione della carità. Ma questo si deve fare soltanto nel contesto del proprio Istituto: ‘La crescente configurazione con Cristo si realizza in conformità al carisma e alle norme dell’Istituto al quale il religioso appartiene. Ogni Istituto ha il suo proprio spirito, carattere, finalità e tradizione, ed è conformandosi ad essi, che il religioso cresce nell’unione con Cristo’”. Allo stesso modo, le Costituzioni stabiliscono che: “Tutti i membri del nostro Istituto non devono solo compiere con la maggior perfezione possibile i consigli evangelici e la consegna a Gesù per mezzo di Maria, ma anche ‘ordinare la loro vita secondo il diritto proprio dell’Istituto e sforzarsi così di raggiungere la perfezione del loro stato’”.  
  • “E per farlo meglio faccio un quarto voto di consacrazione a Maria in materna schiavitù d’amore”: “Per questa schiavitù d’amore, non solo offriamo a Cristo per Maria il nostro corpo, la nostra anima e i nostri beni esteriori, ma anche le nostre buone opere, passate, presenti e future, con tutto il loro valore soddisfattorio e meritorio, affinché Lei disponga di tutto secondo il suo beneplacito, sicuri che per Maria, Madre del Verbo Incarnato, dobbiamo andare a Lui, e che Lei deve formare ‘grandi santi’”. “Frutto della consacrazione alla santissima Vergine e conseguenza naturale è marianizzare tutta la vita”.
  • “Chiedo l’intercessione di Nostra Signora, dei Dodici Apostoli e degli altri santi patroni, le preghiere dei Fratelli nel Verbo Incarnato e delle Sorelle dell’Istituto Serve del Signore e della Vergine di Matarà. L’amore e la grazia della Santissima Trinità mi aiutino a essere fedele all’opera che ha iniziato”: Qui chiediamo l’intercessione della Vergine Santissima, perché il suo aiuto ci è imprescindibile e perciò le nostre Costituzioni concludono dicendo: “Che la Santissima Vergine ci aiuti a raggiungere il Padre, per il Figlio nello Spirito Santo”. Nelle righe seguenti manifestiamo anche la devozione ai santi che ci ha che ci è stata lasciata in eredità –perché sono i membri migliori del Corpo Mistico do Cristo e il frutto migliore e più completo dell’Incarnazione e della Redenzione e sono essi quelli che trasformano il mondo con il loro esempio, e con la forza della sua intercessione–. Finalmente, la nostra formula di professione manifesta l’unione indissolubile come Famiglia Religiosa con l’Istituto Serve del Signore e della Vergine di Matará, che dobbiamo assistere “‘con speciale diligenza’, perché siano piene dello spirito genuino della nostra famiglia”.

*     * *

Infine, carissimi tutti: la sequela di Cristo, com’è ben chiaro, porta con sé quest’idea clamorosa: sacrificarsi e l’esigenza più urgente, che è restare fedeli: al Verbo Incarnato ed a la disciplina dell’Istituto.

Ricordiamo sempre l’insegnamento magistrale del Beato Paolo Manna: “la grande santità è fatta da piccole fedeltà; però per essere fedeli, sempre fedeli, è necessario abituarsi e familiarizzare con la mortificazione, perché se Cristo è generoso è anche esigente. C’è chi pensa che, per il fatto di andare in missione, ciò sia già un sacrificio così grande, che basta per tutto. Errore fatale che ha mandato in rovina molte vocazioni. La croce si deve portare tutti i giorni, prenda la sua croce ogni giorno, ci ha detto nostro Signore”. 

Sappiamo bene che seguire il Verbo Incarnato significa rinunciare a tutto radicalmente per unirsi a Lui e accompagnarlo per i cammini della sua missione. Ma è anche certo –e quante volte Dio nella sua misericordia ce lo ha fatto sperimentare come incentivo per la nostra speranza– che seguirlo porta con sé un tesoro nei cieli, ossia, un’abbondanza di beni spirituali. Ci ha promesso anche la vita eterna in futuro, e il cento per uno in questa vita. Questo cento per uno si riferisce a una qualità di vita superiore, a una felicità incomparabilmente più alta. L’esperienza ha dimostrato a ognuno di noi che la vita consacrata, secondo il disegno di Gesù, è una vita profondamente felice. Felicità che si misura in relazione con la fedeltà al disegno di Gesù, anche quando, il cento per uno non toglie la necessità di unirsi alla croce. 

Ricordiamo che solo nella misura in cui il nostro amore rifulga per la nostra oblazione e spirito di sacrificio, potremmo veramente prolungare la presenza, la parola, il sacrificio e l’azione salvifica di Cristo, vincitore del peccato e della morte e dare agli altri una testimonianza credibile del destino glorioso della nostra esistenza.

In questo giorno della Resurrezione gloriosa e a pochi giorni di celebrare l’augusto mistero dell’Incarnazione del Verbo, chiediamo gli uni per gli altri che, per l’intercessione di Maria Santissima, la Vergine Fedele, ci manteniamo sempre fedeli alla nostra consacrazione, che non rifiutiamo nessun sacrificio al fine di riprodurre in noi lo stile di vita di suo Figlio e siamo costruttori umili e magnanimi del Regno di Cristo, come lo fu Lei. 

Nuovamente: Felicissima Pasqua!

Nel Verbo Incarnato, un fortissimo abbraccio a tutti,

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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