1 febbraio 2017
Lettera Circolare 7/2017
Cari Padri, Fratelli e Seminaristi,
Il giorno 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore al tempio, è stato istituito da San Giovanni Paolo II come giorno nel quale tutta la Chiesa rende grazie a Dio per la vita consacrata, poiché riconosce in essa un “dono prezioso e necessario per il presente e per il futuro del Popolo di Dio, perché appartiene intimamente alla sua vita, alla sua santità, alla sua missione.”. Anche noi, in quel giorno, celebriamo il “giorno del religioso del Verbo Incarnato”.
A tutti voi –cari Padri, Fratelli e Seminaristi– che ovunque vivete con fedeltà il vostro impegno con Dio, riflettendo lo stesso modo di vivere di Cristo con la vostra vita, con le parole e le opere, voglio far arrivare in questo giorno, il mio più affettuoso saluto.
Che questa celebrazione si rivesta di particolare allegria nello “stimare la vocazione” –come raccomandava Sant’Alfonso ai suoi religiosi– “poiché è il maggior beneficio che Dio abbia potuto concederci dopo il beneficio della creazione e redenzione”. E ciò lo riconosce la Chiesa stessa quando dice: “Le persone consacrate sono, in effetti, uno dei beni più preziosi della Chiesa”.
Noi, che riconosciamo nella nostra vocazione una doppia chiamata: una di Dio e l’altra della Chiesa, già dalle prime pagine delle nostre Costituzioni confessiamo, “che, per la gloria della Trinità Santissima, per la maggiore manifestazione del Verbo Incarnato e per onore della Chiesa fondata da Cristo che ‘rimane nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui’, vogliamo ‘testimoniare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini’”.
E con queste parole esprimiamo –tra le altre cose– che la vita consacrata non è solo parte integrante della Chiesa, giacché si pone “nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione”, ma è nella Chiesa dove si trova il mezzo propizio per realizzare “con la massima perfezione il servizio di Dio e degli uomini” e così aspiriamo fiduciosi nella misericordia divina a raggiungere un giorno il regno dei cieli. Per questo diciamo che “fuori da Essa non vogliamo saper nulla”. Perché, come diceva il Padre Spirituale della nostra piccola Famiglia Religiosa, “Rivendicare, da parte dei religiosi e delle loro istituzioni, una specie di parallelismo tradotto in una pastorale o in un magistero paralleli, sarebbe andare contro la natura stessa della Chiesa e della vita consacrata”.
Convinti che “la vita religiosa è cristocentrica” diciamo inoltre che “vogliamo fondarci in Gesù Cristo, che è venuto nella carne, e soltanto in Cristo, e Cristo sempre, e Cristo in tutto, e Cristo in tutti, e Cristo Tutto, perché quella roccia era il Cristo e nessuno può porre un fondamento diverso. Desideriamo amare e servire, e fare amare e far servire Gesù Cristo: il suo Corpo e il suo Spirito. Tanto il Corpo fisico di Cristo nell’Eucaristia, quanto il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa”.
In modo tale che il nostro amore e servizio a Cristo si identificano con il nostro amore e servizio alla Chiesa, giacché non sono due amori ma uno solo. Perciò mi è sembrato opportuno, in occasione di questa celebrazione, riflettere sulla vita religiosa in relazione alla vita, santità e missione della Chiesa, alla quale appartiene tutta la nostra vita.
1. La vita religiosa intimamente unita alla Chiesa.
Tutti noi sappiamo, professiamo e siamo convinti che la Chiesa è inseparabile da Cristo.
Nell’ordine divino non c’è mai una kenosis senza un pleroma. Per questo il Venerabile Servo di Dio Mons. Fulton Sheen esprimeva questa realtà con la sua squisita penna dicendo: “se la kenosis fu lo svuotamento di Cristo come vittima, il pleroma di Cristo è la Chiesa. […] La Chiesa senza Cristo sarebbe come un calice vuoto; Cristo, senza la Chiesa sarbbe come un buon vino che non si può bere per mancanza del calice. […] Come non c’è Messia senza Israele, né nascita di Cristo senza la Madre Vergine, né c’è Cristo senza la sua Chiesa, non c’è nemmeno pienezza di Cristo fuori del suo Corpo Mistico…La Chiesa è la personificazione di Cristo, così come Cristo è l’Incarnazione di Dio. Egli è lo Sposo, la Chiesa la sua sposa”.
Per questo c’è dunque, “un legame profondo tra il Cristo, la Chiesa e l’evangelizzazione”. E così insegna il nostro Direttorio di Spiritualità quando dice che “questa realtà gerarchica e allo stesso tempo mistica, visibile e spirituale, terrestre e celestiale, canonica e carismatica, umana e divina, per una profonda analogia ‘assomiglia al Mistero del Verbo Incarnato’, dal momento che ‘Cristo stesso è incarnato nel suo Corpo, la Chiesa”. E anche il nostro Direttorio di Vita Consacrata segnala: “l’amore a Cristo Capo include l’amore al suo Corpo, la Chiesa, con il quale si identifica misticamente”. Per questo, fin dal Noviziato ci è stato inculcato “l’amore alla Chiesa e ai suoi santi pastori” come parti di una stessa realtà.
Le nostre Costituzioni, a loro volta, dichiarano a gran forza la nostra intenzione di “annientarci ai piedi della Chiesa… e obbedire per amore a Cristo… a quelli che lo Spirito Santo ha scelto per governare la Chiesa di Dio” e affermiamo che è un “titolo di onore della nostra Famiglia Religiosa la sottomissione alla gerarchia ecclesiastica”. Giacché –come diceva il Beato Paolo VI– “non si può amare Cristo senza la Chiesa, ascoltare Cristo, ma non la Chiesa, essere in Cristo, ma al margine della Chiesa”.
Quanto è immensamente edificante e gratificante, vedere i nostri religiosi–in tantissimi luoghi e a costo di grandi sacrifici– che pieni di questo spirito danno testimonianza con l’offerta della propria vita che l’amore a Cristo e alla Chiesa s’identificano! Perché, cos’è, se non questo amore, ciò che li fa andare in missione con una disposizione martiriale e sopportare le temperature più estreme, vivere ogni povertà, in mezzo a notti e tribolazioni dell’anima, tante volte patendo ‘le contraddizioni dei buoni’, senza altro appoggio che la promessa del Signore, il quale disse: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25, 40) e non rimarrà senza ricompensa un bicchiere d’acqua (Cfr. Mc 9, 41) e così consumano sé stessi (Cfr. 2 Cor 12, 15) per la salvezza delle anime, sia in luoghi inospitali, sia in mezzo all’indifferenza delle grandi città, sia in quei luoghi dove più nessuno vuole andare? Solo la loro lealtà all’amore di Cristo e alla sua Chiesa danno risposta.
Poiché come dice il nostro Direttorio di Vita Consacrata: “La consacrazione e la professione dei consigli evangelici ‘sono una particolare testimonianza d’amore’”. Perché sappiamo che, amando la Chiesa, amiamo Cristo, nostro Sposo, che è a sua volta, Capo del Corpo. Quella è la nostra magnifica e privilegiata funzione: amare Cristo Sposo e il suo Corpo. E così, mossi dalla carità “viviamo per Cristo e per il suo Corpo che è la Chiesa”.
Per questo amore a Cristo e al suo Corpo Mistico noi consacriamo questa “vita spirituale al profitto di tutta la Chiesa” e ci dedichiamo a “lavorare secondo le forze e secondo la forma della propria vocazione, sia con la preghiera, sia con il ministero apostolico, perché il regno di Cristo si stabilisca e si consolidi nelle anime e si diffonda in tutto il mondo”. E così, sentiamo e agiamo “sempre con essa, d’accordo ai suoi insegnamenti e alle norme del Magistero di Pietro e dei Pastori in comunione con lui” perché ci sentiamo chiamati a essere testimoni di comunione ecclesiastica (sentire cum Ecclesia) mediante “l’adesione di mente e cuore al Magistero dei Vescovi, a viverla con lealtà e a testimoniarla con chiarezza davanti al Popolo di Dio”.
Questo è stato ed è lo spirito del nostro Istituto che ha sempre avuto come criterio sicuro il sentire Ecclesiam e sentire cum Ecclesia. E –siccome non potrebbe essere altrimenti– così lo abbiamo inteso noi dall’inizio, sicuri che da questo dipende l’efficacia soprannaturale di tutta la nostra attività apostolica e coscienti che agendo in un altro modo “tradiremmo gravissimamente il nostro carisma”. Quanto è confortante costatare come tanti vescovi, in tutto il mondo (nei cinque continenti), dal principio stesso della nostra congregazione, stimano questo aspetto innegabile della nostra spiritualità! Quanto dev’essere urgente il fatto che più di altri 250 vescovi da ogni parte del mondo domandano con insistenza la presenza dei nostri sacerdoti!
Non dimentichiamo, dunque, che unendo “il perfetto amore di Dio con la carità perfetta verso il prossimo” –come diceva il Papa Pio XII– ci dobbiamo sentire sempre “totalmente consacrati alle necessità della Chiesa e di tutti i bisognosi” ed è così che ci sentiamo spinti alla missione. Non senza prima sforzarci di dare una retta formazione sacerdotale per “vivere in perfetta comunione con la sua Chiesa gerarchica, per il suo doppio vincolo, vale a dire per una stessa fede e una stessa carità, e per il governo di uno solo su tutti: Pietro”, pregando sempre con fervore e devotamente per la Chiesa. Tale preghiera è per noi un aspetto, certamente non secondario, e pertanto procuriamo di formarci “in una profonda intimità con Dio”.
2. La santità come risposta all’amore che è dovuto a Cristo e alla sua Chiesa.
Oltre al fatto che la vita consacrata è un dono per la Chiesa, i religiosi “sono la Chiesa”, per il semplice fatto di essere battezzati. Inoltre, possiamo dire che noi, i religiosi, siamo “in certo modo l’anima della Chiesa per la nostra stessa professione religiosa ordinata totalmente alla carità”.
Questo ci indica, in maniera molto singolare, che dobbiamo essere fermamente determinati a raggiungere la santità, particolarmente per la pratica ogni volta più profonda e consapevole dei voti religiosi, fedelissimi allo spirito del nostro Istituto, sempre perseveranti e coscienti che “se la santità è raggiungibile, è soprattutto perché opera di Dio”.
Solo così saremo santi come Dio ci vuole santi, giacché Lui ci ha chiamati a servirlo in questo Istituto particolare. E così lo saranno anche, con la grazia di Dio, le generazioni che verranno se saremo in grado di trasmettere ciò che abbiamo ricevuto. Perché la nostra vita religiosa “non nasce da un progetto umano, ma è iniziativa di Dio e, pertanto, dono della bontà del Signore per la vita e la santità della Chiesa”. E poiché “La comunione nella Chiesa non è infatti uniformità”, la nostra piccola Famiglia Religiosa sarà tanto più utile alla Chiesa e alla sua missione, quanto maggiore sarà il rispetto della sua identità che –come ogni dono dello Spirito Santo– ci è stato concesso perché fruttifichi per il Signore .
Sant’Alfonso Maria de Liguori, in una lettera bellissima dell’8 agosto 1754, raccomandava di mantenersi nel primo fervore della congregazione fondata da lui e denunciava in alcuni la mancanza di questo spirito, dicendo: “Io non so dove andranno a finire questi, perché Dio ci ha chiamati in questa congregazione per farci santi e salvarci come santi. Colui che vuole salvarsi nella Congregazione, ma non come santo, non so se si salverà”.
A sua volta, San Vincenzo de Paoli, ricordava la verità della vocazione ai primi membri della sua congregazione, con queste parole: “è Dio che ci ha chiamati e che da tutta l’eternità ci ha destinati a essere missionari, non avendoci fatti nascere né cent’anni prima né cent’anni dopo, ma precisamente al tempo dell’istituzione di quest’opera; di conseguenza, non dobbiamo cercare né aspettarci riposo, soddisfazioni né benedizioni se non nella Missione, giacché è lì dove Dio ci chiama, dato innanzitutto per scontato che la nostra vocazione è buona, che non si basa sull’interesse né sul desiderio di evitare le scomodità della vita, né su qualsiasi tipo di rispetto umano.” E il Santo continua “noi siamo i primi chiamati. Si dice che sono i primi di una congregazione quelli che entrano in essa durante il primo periodo della sua fondazione […]. Così, dunque, se siamo noi i primi scelti per far tornare all’ovile le pecore traviate, cosa succederà se fuggiamo? Dove crediamo di poterci rifugiare? Quo ibo a spiritu tuo et quo a facie tua fugiam?”.
Carissimi, sforzandoci di essere santi contribuiremo alla santità della Chiesa. Ciò perché, “in accordo con la tradizione cristiana, la vocazione mai ha come fine la santificazione personale. Difatti, una santificazione esclusivamente personale non sarebbe autentica, perché Cristo ha unito in forma molto intima la santità e la carità. Perciò, quelli che tendono alla santità personale lo devono fare nel contesto di un compromesso di servizio alla vita e alla santità della Chiesa. Anche la vita puramente contemplativa… porta con sé quest’orientamento ecclesiale”.
E anche quando in questo pellegrinaggio terreno i figli della Chiesa con frequenza rattristano lo Spirito Santo, la fede ci dice che noi che siamo stati segnati con lo Spirito Santo per il giorno della redenzione, possiamo ―nonostante le nostre debolezze e peccati― avanzare per i percorsi della santità, fino alla fine del cammino.
In questo senso quanto incoraggianti sono le parole di San Giovanni Paolo II, che si presentano molto attuali per tutti noi: “Bisogna dare testimonianza alla verità, anche a prezzo di essere perseguitati, anche a costo del sangue, come fece Cristo stesso […] Sicuramente incontreremo difficoltà. In questo non c’è nulla di straordinario. Fa parte della vita di fede. A volte le prove sono lievi, altre volte molto difficili e anche drammatiche. Nella prova possiamo sentirci soli, ma la grazia divina, la grazia di una fede vittoriosa, mai ci abbandona. Per questo possiamo aspettare il superamento vittorioso di qualsiasi prova, anche la più difficile”.
3. La missione è inscritta nel cuore stesso della vita consacrata.
Poiché “dall’amore di Dio per tutti gli uomini, la Chiesa ha preso in ogni tempo l’impegno e la forza dal suo impulso missionario”, noi, animati dall’amore al Verbo Incarnato che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei e al quale ci dedichiamo “totalmente come al nostro amore supremo”, conserviamo, coltiviamo e chiediamo sempre a Dio le grazie del fervore spirituale e dell’allegria di consegnarci senza riserve alla nostra missione specifica nella Chiesa: che è quella di evangelizzare le culture, secondo lo spirito suscitato dallo Spirito Santo nel fondatore del nostro Istituto, anche quando dobbiamo seminare nelle lacrime.
Tale compito di evangelizzazione si può realizzare con una particolare efficacia soltanto in virtù della forza della nostra comunità religiosa e questa risiede nella sua unione. Senza dimenticare che: “è per la verità, prima di tutto, che si costituisce l’unione”, come insegnò lo stesso Cristo quando disse: Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.
Per questo, continua a essere imperiosamente valido il Desiderio espresso nel Direttorio di Spiritualità: “Aspiriamo, secondo alle parole di San Paolo, ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. Questa unanimità o concordia che cerchiamo significa unità nel giudizio della ragione su ciò che si deve fare e unità nelle volontà, in modo che tutti vogliano la stessa cosa. Questa concordia, quindi, nasce dalla fede stessa, grazie alla quale sappiamo che cosa dobbiamo fare, e dalla carità, grazie alla quale tutti amiamo gli stessi beni e condividiamo
le fatiche, da buoni soldati di Cristo Gesù”. È stato sempre edificante constatare, particolarmente in questi ultimi tempi, la solida coesione interna che esiste tra i membri della nostra famiglia religiosa, questo è stato uno dei frutti più apprezzati che abbiamo visto nella celebrazione dell’ultimo capitolo generale ed è una grazia che ci dona lo Spirito Santo attraverso la quale, in mezzo a tante difficoltà, ci sostiene. Tale unità si nutre dell’Eucaristia ed è sostenuta dalla supplica che la implora come dono speciale di Dio, per intercessione della Vergine Santissima.
In questo senso, il Beato Paolo Manna animava i suoi missionari, e questo è molto importante per noi oggi: “Proponiamoci, dunque, di lavorare uniti e in perfetta concordia nel posto che l’obbedienza ci ha assegnato. Non dimentichiamoci che il nostro Istituto rappresenta una delle squadre più gloriose della Chiesa. Come soldati di questo agguerrito esercito, dobbiamo marciare uniti e ben ordinati come un esercito pronto alla battaglia. Se non abbiamo spirito di corpo, se ognuno vorrà agire secondo il proprio gusto, se non saremo obbedientissimi agli ordini dei nostri generali, se ci disperdiamo, saremo deboli e subiremo sconfitte anziché ottenere vittorie. Le vocazioni perse in tutti gli istituti per mancanza di spirito di obbedienza e di unione fraterna costituiscono una dimostrazione di ciò: Il loro cuore è falso; orbene, sconteranno la pena!, Staremo uniti? Salveremo anime, edificheremo la Chiesa e vinceremo sempre. [Perché] un fratello che è aiutato da un altro fratello, è come una città fortificata”.
Carissimi: la comunione fraterna –profonda e ben compresa– è già apostolato: cioè, “contribuisce direttamente all’evangelizzazione”. È di più, “tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla vita fraterna in comune”. Ed è così, perché lo stesso Verbo Incarnato ci ha chiamati a vivere uniti perché il mondo creda. Questo aspetto non ci deve sembrare secondario o accidentale perché “se non abbiamo buone comunità non potremo compiere nulla d’importante”.
“Quante volte le opere falliscono per le divergenze dei missionari… quante missioni si rovinano per questa causa! Che non succeda questo nel nostro piccolo Istituto, dove siamo così pochi per un’opera che assomiglia all’infinito! Sacrifichiamo tutto per mantenere l’unità e la concordia, sacrifichiamo specialmente il nostro amor proprio, i nostri punti di vista e le nostre comodità”. Non seguiamo mai quelli che creano divisione, disgregano e anche cospirano per rompere quest’unità tanto preziosa.
“Per questo motivo è di primaria importanza che quelli che si preparano alla missione coltivino un sano amore alla comunità nella quale si vive senza escludere di fatto nessuno, in particolare i caratteri più difficili”.
Infine, che questa festa ecclesiale universale del religioso e in particolare per ciò che riguarda noi, religiosi del Verbo Incarnato, ci trovi più uniti a Lui, più colmi del suo spirito e con l’anima impregnata degli stessi sentimenti del suo Sacratissimo Cuore. Ciò avvenga in modo tale da essere religiosi che “che abbeverino il proprio spirito alla Parola di Dio, che servano il prossimo, che siano solidali con chi ha bisogno, promotori del laicato, con grande capacità di dialogo, senza crisi di identità, desiderosi di formarsi permanentemente, che si abbandonino alla Provvidenza, amanti della liturgia cattolica, predicatori instancabili, “ricchi nello spirito”, “con lingua, labbra e saggezza a cui i nemici della verità non possano resistere”, di abbondantissima fecondità apostolica e vocazionale, con impeto missionario ed ecumenico, aperti a tutte le particelle di verità ovunque si trovino, con amore particolare verso i poveri e senza preferenze o esclusioni, che vivano in contagiosa e pura allegria, nella pace imperturbabile anche nelle più difficili lotte, in assoluta e intima comunione ecclesiale, evangelizzatori e catechisti instancabili, amanti della Croce”.
Questo 2 febbraio dobbiamo offrire la Santa Messa chiedendo a Maria Santissima, Madre e Modello di ogni consacrato, che ci conceda la grazia di “vivere con qualità la vita religiosa secondo il nostro carisma e, pertanto, a rivivere e a testimoniare l’unico mistero di Cristo, soprattutto negli aspetti del suo annientamento e della sua trasfigurazione”. Ringraziando Dio per l’immenso dono della vocazione alla vita consacrata andiamo dappertutto irradiando l’amore e l’allegria di essere stati chiamati ad amare e servire Cristo nel seno della sua Santa Chiesa.
Auguri per un felice giorno del religioso del Verbo Incarnato!
P. Gustavo Nieto, IVE
Superiore Generale