“Mordere la realtà”

Roma, Italia, 1° giugno 2017

Mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù

Lettera Circolare 11/2017

“Mordere la realtà”

Cari Padri, Seminaristi, Fratelli e novizi,

“Se la Chiesa vuole buoni ministri – diceva San Giovanni d’Avila – deve provvedere a formarli”. 

Per quello è stata e continua ad essere nostra, la profonda aspirazione di voler “formare per la Chiesa Cattolica sacerdoti secondo il Cuore di Cristo”, che siano uomini di “una grande maturità umana e cristiana” affinché raggiungano la misura della statura della pienezza di Cristo e manifestino con “le opere che hanno Dio nel cuore, perché dai frutti si conosce l’albero, e la fede senza le opere è morta”.

Abbiamo bisogno di un autentico corpo di uomini superiori, “con spirito di principe”, con “l’impeto dei santi e dei martiri, che diedero tutto per Dio”, che abbiano una visione sacerdotale della realtà per la quale ogni realtà autenticamente umana è via per arrivare al Padre; di uomini “che godano della ‘libertà’ dei figli di Dio nella docilità piena allo Spirito Santo”; capaci, inoltre, di “soffrire in silenzio e di dare la vita per le loro pecore”: non semplici soldati, non “tributari”, non stipendiati né affezionati, ma uomini che siano “capaci di portare il peso di responsabilità”, “veri Pastori di anime nel senso più sublime della parola, che sappiano formare Gesù Cristo nelle anime dalla sovrabbondanza del suo tesoro di grazia e virtù”.

Aspiriamo, dunque, ed è nostro sforzo deciso di formare apostoli, santi missionari, che sentano nel profondo della propria anima le parole di Cristo nell’Ultima Cena: Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto con voi

Per questo consideriamo fondamentale che i nostri religiosi si alimentino con le parole della fede e della buona dottrina, principalmente per la “conoscenza amorosa e la familiarità orante con la Parola di Dio” per mezzo della quale acquisiranno “la santa familiarità con ill Verbo fatto carne” e che siano formati nella “più stretta fedeltà al Magistero supremo della Chiesa di tutti i tempi”, solidamente istruiti in una sana teologia – che “proviene dalla fede e cerca di condurre alla fede”– edificata su “una profonda conoscenza della filosofia dell’essere, ‘patrimonio filosofico perennemente valido’ tenendo presente tutti i progressi dell’investigazione filosofica”.  Inoltre, dato il nostro fine specifico di evangelizzare la cultura, è di somma importanza che i nostri membri coltivino in se stessi la cultura e siano versati nelle lingue antiche e moderne.

Il nostro piano di formazione, perciò, cerca di imprimere il Verbo Incarnato nella mente e nei cuori dei nostri formandi al fine che le loro vite siano – come diciamo nella nostra formula di professione – “memoria vivente del modo di esistere e di operare di Gesù, il Verbo fatto carne”. Solo così i nostri religiosi “potranno efficacemente presentare il Nostro Divino Maestro ai popoli e realizzare degnamente e fruttuosamente la Missione”. Solo così, potranno “mordere la realtà”, sapendola cambiare efficacemente assoggettandola per Gesù Cristo, così come lo chiede il fine specifico del nostro Istituto

Vorrei allora, in questa lettera circolare ricordare alcuni aspetti caratteristici della nostra formazione religiosa che conviene considerare come un’esigenza fondamentale dell’evangelizzazione. Principalmente, in ciò che concerne la nostra fedeltà al Verbo Incarnato e alla formazione intellettuale dei nostri membri, poiché questi elementi sono indispensabili per acquisire quell’attitudine – così propria del nostro carisma – che noi chiamiamo “mordere la realtà”. 

1. Configurazione con Cristo

San Giovanni Paolo II diceva che “la configurazione con Cristo deve essere l’obiettivo prioritario nella formazione di ogni candidato al sacerdozio”. 

Per questo cerchiamo di fare dei nostri membri un’autentica “epifania e trasparenza del Buon Pastore”. È, dunque, il Verbo Incarnato la realtà intorno alla quale si formano tutti i nostri religiosi, affinché Lui stesso sia la luce che illumini i loro ideali, la Verità che modelli le loro intelligenze, il fuoco del quale si accendano i loro cuori e l’alimento con il quale si fortifichino le loro anime.

Come Voi tutti sapete, la formazione religiosa come viene intesa nella Chiesa e come noi l’abbracciamo,  “comprende la totalità della persona”, dato che ambisce “alla conformazione con il Signore Gesù e con la sua totale oblazione” e come tale non finisce mai. Così tutti gli aspetti della nostra formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale – intimamemnte e armoniosamente uniti– mirano proprio a questo: alla configurazione con Cristo; poiché siamo chiamati a essere precisamente questo: un altro Cristo. E come ricordavano i padri capitolari, “se non formiamo religiosi profondamente convinti di ciò, non formeremo religiosi del Verbo Incarnato”.

Si tratta allora del fatto che i nostri sacerdoti siano maestri nell’arte delle arti che, secondo San Gregorio Magno, è la cura delle anime e perciò, tutti gli aspetti della nostra formazione sono ordinati a quest’azione pastorale. 

Per questa ragione, intendiamo che “il seminario deve essere una scuola di formazione sacerdotale nel suo senso più profondo” dove la persona si converta dal più recondito del suo essere al Verbo Incarnato e apprenda l’arte di cercare i segni di Dio nelle realtà del mondo. 

Anche nell’ultimo Capitolo si è ricordato come dagli inizi e con sostenuto sforzo durante tutti questi anni, la formazione dei membri è stata sempre una delle priorità da parte delle autorità dell’Istituto.

Infatti –menziono solo gli articoli più importanti realizzati dal Capitolo Generale dell’anno 2001-  nel dicembre del 2002 ha avuto luogo a San Rafael (Argentina) una riunione di tutti i formatori dell’Istituto. Nel 2003 si è dedicata una riunione straordinaria del Consiglio Generale con tutti i Provinciali dell’Istituto al tema della formazione, e si è elaborato un documento finale con delle indicazioni. Nell’anno 2006 si sono effettuate visite da parte del Governo Generale a tutti i Seminari dell’Istituto, in preparazione al Capitolo Generale dell’anno 2007. Nel detto Capitolo si sono trattati vari aspetti della formazione e si è rivista completamente la nostra Ratio institutionis, la quale è stata nuovamente rivista e approvata nell’anno 2009. Nel settembre del 2013 ha avuto luogo a Montefiascone una riunione del Consiglio Generale con tutti i Provinciali, i Rettori di Seminari Maggiori e i Maestri dei Novizi, per trattare ampiamente questo vasto e importante tema. Successivamente il Governo Generale ha realizzato varie consultazioni tra i Sacerdoti che lavorano nella formazione dei nostri membri e nella Santa Sede, e ha lavorato intensamente con il materiale e la condivisione della riunione. C’è stato un incontro di lavoro per prendere decisioni a Conversano, Italia (dal 31 ottobre al 4 novembre del 2013). Frutto di tutto questo lavoro è stato il documento Linee direttrici per il lavoro dei formatori nelle Case di formazione dell’Istituto del Verbo Incarnato, emanato dal Superiore Generale il 14 gennaio 2014. Questo documento era accompagnato da vari sussidi per la formazione e per il lavoro dei formatori.  Tra questi, le “Indicazioni per la formazione intellettuale permanente” dei membri dell’Istituto. Nel recente Capitolo generale (del 2016) si è dedicato un ampio spazio al tema della formazione dei membri, cercando di aggiornare la nostra normativa e i nostri documenti alle ultime indicazioni dell’Autorità della Chiesa. In questo momento si sta lavorando per adeguare la nostra ratio alla nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis promulgata l’8 dicembre dell’anno scorso. Inoltre, si è stabilito obbligatoriamente in ogni seminario un Corso annuale di formazione dei formatori all’inizio del periodo scolastico, con un programma che include un ciclo quinquennale di temi.

Per essere, dunque, un tema vitale e prioritario, si è lavorato molto e si continua a lavorare, con accresciuto interesse e diligenza determinata, poiché come in tutte le cose si può sempre migliorare. Ma, anche, perché siamo convinti che la vitalità della nostra Famiglia Religiosa, la qualità e la creatività del servizio apostolico, l’efficacia dell’azione profetica, dipendano in gran misura dalla formazione dei nostri candidati. Inoltre, perché crediamo che “il rinnovamento della Chiesa e del mondo dipende in gran parte dai buoni sacerdoti”. 

Già lo diceva il grande formatore di missionari che fu il Beato Paolo Manna: “Tutto il futuro delle nostre missioni passa da qui, nei nostri Seminari […], le anime avranno domani quegli apostoli, quei pastori che noi qui gli prepariamo”.

Infatti, è nostra intenzione ferma che i nostri Seminari siano sempre “quell’ambiente spirituale”, quella “vera famiglia”, dove nello stesso modo in cui nostro Signore istruì i suoi discepoli, noi – seguendo il suo esempio – dedichiamo le nostre migliori energie e i mezzi più efficaci e adatti a preparare con grande sollecitudine i futuri sacerdoti del Verbo Incarnato. Quanti di noi possiamo ricordare con soddisfazione gli ‘anni gloriosi di seminario’ quando con grande familiarità andavamo imparando “a dare la nostra risposta personale alla domanda fondamentale di Cristo: ‘mi ami?”. Tale spirito di famiglia – che implica anche ordine e disciplina – non si deve sminuire né mai perdere, perché è questa familiarità ciò che permette una formazione efficace: “la familiarità genera affetto, e l’affetto fiducia”, e solo nella fiducia tra i sudditi e i superiori il lavoro formativo si facilita e il carisma del nostro amato Istituto si trasmette con tutta la sua forza e genuinità, direi quasi, naturalmente.

Ora, in questo processo di configurazione con Cristo, è nota distintiva della nostra formazione il prestare “attenzione specialissima alla maturazione nell’esperienza di Dio, che si realizza attraverso la preghiera personale e comunitaria e che raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia”. Poiché la vita di preghiera durante gli anni di seminario è indubbiamente relazionata con la missione che in un futuro gli si affiderà. Dunque “il sacerdote è l’uomo di Dio, colui che appartiene a Dio e fa pensare a Dio”, e le anime sperano di trovare in lui “un uomo che le aiuti a guardare a Dio, a salire verso di Lui”. 

Per questo cerchiamo di formare uomini che eccellano per la loro intima unione con Dio poiché è la Santissima Trinità che forma nell’intimo delle anime l’alter Christus. Da questo, come disse San Giovanni Paolo II, “la celebrazione giornaliera dell’Eucaristia e l’adorazione assidua del Sacramento dell’altare occupano un luogo centrale nella formazione sacerdotale”; è precisamente questo ciò che noi abbiamo ricevuto e vogliamo trasmettere e che di fatto si è trasformato in norma concreta di condotta, come non poteva essere altrimenti e così consta nel nostro diritto proprio. Ma ancora di più, cerchiamo di mettere tutti i mezzi affinché i nostri seminaristi partecipino in maniera attiva, cosciente e fruttuosa al Sacrificio dell’altare. E lo facciamo sforzandoci perché la liturgia delle nostre Messe “sia cattedralizia senza formalismi, bella ma non artificiosa, solenne senza pompa, austera ma piena, fedele alle rubriche ma creativa, con il massimo della partecipazione e sviluppando tutte le possibilità che dà la stessa liturgia al massimo, in modo particolare nei canti e nella musica sacra”. 

A proposito di questo, vorrei enfatizzare qui le parole che in questo senso il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa dedicò ai seminaristi nell’anno 1993 e che considero di gran valore per noi: “È necessario che i seminaristi partecipino giornalmente alla celebrazione eucaristica […]. Dal mistero redentore di Cristo, rinnovato nell’Eucaristia, si nutre anche il senso della missione, l’amore ardente per gli uomini. Dall’Eucaristia si comprende ugualmente che ogni partecipazione al sacerdozio di Cristo ha una dimensione universale. Con quella prospettiva è necessario educare il cuore, perché viviamo il dramma di popoli e moltitudini che non conoscono ancora Cristo, e perché siamo sempre disposti ad andare in qualsiasi parte del mondo, ad annunciarlo a tutte le genti (cfr. Mt 28,19). Questa disponibilità, […] è oggi particolarmente necessaria, dinanzi agli orizzonti immensi che si aprono alla missione della Chiesa, e dinanzi alle sfide della nuova evangelizzazione”. Compreso questo, quanta forza e significato acquistano le parole che tante volte abbiamo ascoltato e letto: “il seminario è la messa”!.

Per questo è nostra diligente premura fare di tutto affinchè i nostri siano sacerdoti religiosi che per la luce superiore della fede che illumina le realtà umane siano idonei a “mordere la realtà” con coraggio, cioè, in assoluta fedeltà a Gesù Cristo e con una “spiritualità seria (non banale)” non cadano nell’esibizionismo, nell’ostentazione, nella falsa mistica, nell’esteriorità, nella banalità, o nel falso pietismo, ma piuttosto siano capaci di trascendere ciò che è meramente sensibile e siano disposti a passare per le notti oscure.

“Mandare al mondo giovani che non abbiano intimità con l’orazione mentale”, diceva il Beato Paolo Manna, “è come mandare in guerra soldati senza difese, è consegnarli ed esporli a una sicura sconfitta”. Pertanto cerchiamo che i nostri amati seminaristi approfittino al massimo dei tempi forti di preghiera; che si esercitino nel discernimento degli spiriti; che per la meditazione fedele della Parola di Dio, vadano acquisendo “criteri di giudizio e di valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti e dei problemi” ogni volta più evangelici; che realizzino annualmente gli esercizi spirituali autenticamente ignaziani e che sperimentino già dal noviziato, il servizio della carità ai più piccoli. 

La nostra formazione mira a formare uomini capaci di affrontare la realtà con una visione soprannaturale e sacerdotale, per trasformarla secondo lo spirito del Verbo Incarnato, al modo dell’Incarnazione, cioè: assumendo le culture che devono essere evangelizzate. E fedeli al mistero del Verbo Incarnato affrontiamo l’evangelizzazione senza diluire la fede nel razionale, senza convertire il sacro in profano, senza cadere in spiritualità inconsistenti, senza accettare nessuna visione dualista e manichea della realtà nemmeno quella che considera che la realtà ha un carattere unidimensionale. Piuttosto, considerando l’ordine della grazia e l’ordine della natura come doppi e distinti ma uniti gerarchicamente, cioè, in un’unità di ordine. In modo tale che il soprannaturale abbia il primato sul naturale, e così, Dio sull’uomo, la Chiesa sul mondo, la teologia sulla filosofia, l’eterno sul temporale, ecc. 

Quanto evidentemente e sommamente necessaria risulta allora la giusta considerazione del mistero del Verbo Incarnato e la fedeltà allo stesso, senza la quale ogni pastorale cadrà indefettibilmente in un rotondo fracasso. In altre parole, solo la contemplazione serena e fruitiva del sacro mistero dell’Incarnazione, alla luce della fede e nella sua piena e giusta considerazione ci permette di “mordere la realtà” e giungere ad avere grande influenza nel campo dell’evangelizzazione.

Siamo persuasi – e l’esperienza ce l’ha dimostrato – che è la familiarità con il Verbo Incarnato – alimentata e accresciuta nella vita di preghiera – quella che ci dà “quel senso comune cristiano”, quell’abilità speciale di interpretare i segni dei tempi, liberi da ogni pretesa mondana. È questa familiarità con il Verbo Incarnato quella che ci dà una ‘sensibilità’ particolare dei movimenti culturali dell’epoca, delle necessità specifiche della missione, della problematica del mondo attuale e delle sue correnti di pensiero e ci rende capaci di intavolare un dialogo fecondo con le culture che siamo chiamati a evangelizzare sapendo dare una risposta positiva alla luce del Vangelo; sapendo stimare e valorizzare i diversi cammini per i quali Dio cerca di comunicare con gli uomini e, in definitiva, inserirci efficacemente dove stiamo lavorando apostolicamente, perché sarà sempre certo che “la vera inculturazione è dal di dentro per un rinnovamento della vita sotto l’influenza della grazia”. Non come fa il modernismo, che cerca di abbracciare indebitamente la cultura attuale rinunciando a impregnarla del Vangelo. 

Questo aspetto è senza dubbio, uno delle componenti essenziali di ciò che intendiamo per “mordere la realtà” e ciò che dà al nostro ministero sacerdotale una nota distintiva della quale ci onoriamo. 

Inoltre, questa vita spirituale che ci sforziamo di inculcare ai nostri religiosi è il “centro vitale che unifica e vivifica il nostro essere sacerdote e l’esercizio del nostro ministero”, ed è pertanto il fondamento della vita pastorale. Di fatto, in quante delle nostre missioni si misura lo spirito di preghiera delle nostre parrocchie, sia per l’adorazione al Santissimo, sia per la degna celebrazione della Santa Messa, sia per le predicazioni che fanno risplendere il perenne messaggio della Croce, sia per la testimonianza dello stesso religioso che sveglia in essi l’ansia del soprannaturale, sia per la prodigalità della vita sacramentale. E senza andare oltre, quanti Vescovi ci chiedono di andare a lavorare nelle loro diocesi proprio per questo.

Infine, è per noi assolutamente imprescindibile formare uomini che vivano della fede, seminaristi – futuri sacerdoti – che vivano della fede. Che abbiano in considerazione tutte le verità della fede, che abbiano molto in chiaro i cinque preambula fidei, perché se non hanno in chiaro i preamboli della fede, quella fede dopo non avrà una base solida sulla quale edificarsi. Che, per quella stessa fede, rimangano fedeli anche “senza poter avere un tabernacolo e un’immagine della Vergine” e che per quella stessa fede siano coerenti e siano disposti a dare la vita per le pecore. Senza quella fede, nessuno si sacrifica volontariamente nelle missioni. È per la fede, per le profonde convinzioni e il grande amore al Verbo Incarnato che si realizzano gli eroismi della Croce.

2. Formazione intellettuale

Tutto ciò che è stato detto precedentemente mette ancor più in risalto l’importanza dello studio, che, visto che il nostro fine specifico è di evangelizzare la cultura, si orienta verso di esso e dal quale sorge l’esigenza stessa di una “spiritualità con sfumature particolari, nel senso di ‘una fede chiarita da una riflessione continua che si confronta con le fonti della Chiesa’ e un costante discernimento cercato nella preghiera”. 

Se la nostra attività evangelizzatrice “dipende dall’intensità della nostra vita interiore, essa deve comunque trovare il suo appoggio nello studio continuo”, diceva San Giovanni Paolo II. 

Per questo comprendiamo che la formazione intellettuale dei nostri sacerdoti si pone come qualcosa di urgente e prioritario di fronte alla nuova evangelizzazione e ai progetti moderni. Stando così le cose, non si può mai improvvisare, trascurare o “togliere la forza” che ha sempre caratterizzato la nostra formazione.

Come ben sapete, uno degli elementi aggiunti non negoziabili che appartiene al carisma del nostro amato Istituto, cioè, che forma parte di ciò che ci distingue dal mondo e ci ha permesso di presentare un cristianesimo vivo essendo una fonte feconda di vocazioni e benedizioni soprannaturali è, senza alcun dubbio, “la chiara intenzione di seguire San Tommaso d’Aquino, come comanda la Chiesa, e in questa linea, i migliori tomisti, come P. Cornelio Fabro”. 

E questo, non solo perché lo prescrive la Chiesa, il Diritto Canonico e lo raccomandano i santi Pontefici, ma perché inoltre, lo ordinano saggiamente le nostre Costituzioni dicendo che cerchiamo di “formarci sotto il magistero di San Tommaso” poiché “la sua conoscenza è di inevitabile importanza per la retta interpretazione della Sacra Scrittura, per poter trascendere il sensibile e raggiungere l’unione con Dio, per edificare l’edificio della Sacra Teologia sulle solide basi che fornisce una conoscenza profonda della filosofia dell’essere”. 

A noi non spetta di “mettere un’etichetta nominalista alla realtà”; semplicemente perché così non si evangelizza. Ciò che cerchiamo è che il Vangelo informi le culture degli uomini. Allora, è questa formazione realista e non nominalista, quella che ci aiuta a “non tirare pugni in aria”, ma che ci permette l’apertura piena e globale verso l’intera realtà, fornendoci “le chiavi ultime e decisive per la lettura della condizione umana e per la scelta delle priorità”, dandoci l’opportunità di inserirci nella problematica della cultura moderna e di offrire un contributo effettivo all’evangelizzazione. 

Sottolineo qui che “la scelta di San Tommaso non ha un carattere personale o confessionale ma universale e trascendentale ‘poiché vuole essere l’espressione più vigorosa delle possibilità della ragione nel suo incarico di fondamentare la scienza. Inoltre anche perchè è la ‘metafisica naturale dell’intelletto umano’”. Pertanto, tutto ciò che in qualche modo –sottile o evidente– tenda ad allontanarci, a diluire, a ostacolare o a dissuaderci, da questo elemento non negoziabile, deve essere rifiutato come estraneo al nostro carisma. Ben altro, dobbiamo addentrarci nell’approfondimento e diffusione del tomismo essenziale –contrapposto al tomismo formalista fossilizzato–, così come lo ordina il diritto proprio e ce lo ricordano i Verbali dell’ultimo Capitolo. Questo è il nostro impegno e per questo ci dedichiamo alla sublime compito di formare religiosi missionari.

Di conseguenza è nostra determinazione –e sempre lo è stato– cercare che i nostri formandi apprendano la filosofia tomista, non come un catechismo, o una cosa totalmente disconnessa dalla vita, ma che, sapendo trascendere le difficoltà della stessa scuola tomista e le deficienze della scolastica formalista, apprendano a pensare la realtà –dallo stesso San Tommaso, entrando in dialogo e in polemica con i problemi e i pensatori contemporanei– e lo facciano conoscere agli altri e come corrisponde. Compito che diventa un imperativo in questo tempo dato il progressismo che devasta la Chiesa “per la mancanza di critica e di discernimento di fronte alle filosofie moderne e all’assimilazione del principio di immanenza”.

Per quello dicevano i padri capitolari nell’ultimo Capitolo Generale che la nostra formazione intellettuale non si riferisce solamente alla trasmissione di contenuti, ma che è parte complementare della vocazione che fa maturare la persona alla ricerca della verità, la consolida nel suo possesso e la riempie di gioia al contemplarla. Allo stesso modo sottolineavano che la nostra formazione se è seria deve educare negli abiti di studio, nei metodi d’investigazione e ispirare il desiderio di formazione permanente avendo chiaro dove cercare e trovare la verità, e come accedere a essa. 

Nulla di più opposto alla nostra formazione che “un’istruzione enciclopedista”. Noi intendiamo la formazione intellettuale come una formazione in abiti e metodi che siano strumenti per tutta la vita. Poiché senza questa discilina e questo abito di studi, i nostri sacerdoti non potranno esortare opportunamente e inopportunamente con la parola di Dio, né convincere con la verità che libera dall’errore. Se diciamo che siamo chiamati a essere maestri della fede, allora dobbiamo essere capaci di dare ragioni della fede che predichiamo e insegnamo.

Lo dice chiaramente il Direttorio: “Si devono formare allora sacerdoti convinti dell’esistenza e trascendenza di Dio, convinti della forza dell’intelligenza per dimostrare l’esistenza di Dio, fondamento di tutto l’edificio soprannaturale; convinti che solo Gesù Cristo – Dio e uomo –, nella Chiesa, può dare la salvezza definitiva all’uomo; e che senza Dio l’uomo distrugge se stesso. Devono essere formati in tal modo che possano nella verità e nell’amore dare una risposta adeguata agli uomini di oggi che “imbevuti da una religione insicura e ambigua, non accettano passivamente efacilmente il Magistero sacerdotale, né credono né ammettono senza pregiudizi la dottrina che cerca di insegnargli il sacerdote in virtù della sua missione’”. 

Le nostre Costituzioni determinano inoltre – come non poteva essere altrimenti – che il nostro fine specifico dell’evangelizzazione della cultura si deve fare “d’accordo all’insegnamento del Magistero della Chiesa”. E d qui emana, un altro elemento aggiunto non negoziabile che è la “docilità al Magistero vivo della Chiesa di tutti i tempi”.

Pertanto, rimane chiaro che non si può concepire questo “mordere la realtà” senza una fedeltà al Magistero di Pietro e dei Vescovi uniti a lui. Così rimane dimostrato nelle innumerevoli citazioni dei testi magisteriali nel diritto proprio. Poiché il “Magistero non è qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né qualcosa di sovrapposto alla fede; piuttosto, è qualcosa che nasce dall’economia della fede stessa, per quanto il Magistero, nel suo servizio alla Parola di Dio, è un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa”. Dobbiamo pertanto fuggire da quelli che, secondo il Beato Paolo VI, “sembrano ignorare la tradizione vivente della Chiesa… e interpretano a loro modo la dottrina della Chiesa”.

Se la nostra formazione intellettuale ha per oggetto lo studio della verità e se vogliamo vivere in pienezza il mistero dell’Incarnazione del Verbo, è dunque, nel Magistero vivo della Chiesa dove si trova la fonte a cui abbeverare quella sete di verità poiché – come consta nel diritto proprio – “il Magistero può parlare della ‘verità che è Cristo’”. Infatti, la nostra formazione si fa con piena coscienza e sollecitudine ecclesiale, in piena obbedienza al successore di Pietro con sincero rispetto al suo magistero e nella fedeltà alla Santa Sede. Tutto ciò è stato sempre segno distintivo della nostra Famiglia Religiosa.

Sono lontani dalla nostra formazione intellettuale gli slogan vuoti, le ideologie effimere, le opinioni discutibili, “l’ ‘affanno di novità’ e il disprezzo per la guida del Magistero che ha caratterizzato tutti quelli che hanno naufragato nella fede”. Piuttosto, noi cerchiamo nel tesoro del Magistero della Chiesa la solidità, la purezza e la norma prossima della fede che richiede il sublime compito di evangelizzare.

A tal proposito si è riaffermata nel VII Capitolo Generale la necessità di poter contare su “professori e formatori con sicurezza dottrinale, questo significa fedeltà ai principi delle scienze e al Magistero autentico; e unità dottrinale, consequenza dell’anteriore”. Ciò manifesta un impegno costante e reale di ciò che professiamo.

Per questo invano ci accusano quelli che dicono che il nostro amore e la nostra fedeltà al Vicario di Cristo è fittizia o semplicemente a parole. Poiché non solo il diritto proprio, ma la formazione che si imparte, l’intenzione veemente di “raggiungere uno spirito romano” per l’invio di vari dei nostri sacerdoti a studiare e lavorare nelle università pontificie a Roma, la diffusione degli insegnamenti del Magistero e della Tradizione della Chiesa (per mezzo di pubblicazioni, conferenze, siti web, ecc.); la collaborazione autentica e sacrificata dei nostri sacerdoti e religiosi con decine di Vescovi in tutto il mondo; inoltre, l’audacia e l’entusiasmo dei nostri missionari che nei cinque continenti predicano e difendono l’autentica dottrina cattolica, “senza titubamenti né ambiguità, distinguendola dalle semplici opinioni umane”, evidenziano la nostra fede, venerazione e amore al Dolce Cristo sulla terra come una realtà continua del nostro Istituto e di ognuno dei suoi membri.

In definitiva, la nostra formazione che è diretta alla conoscenza sublime del Verbo Incarnato, non può essere altrimenti che “fatta con fede e ‘in Chiesa’, in stretta fedeltà al suo Magistero”. 

Attuare in un altro modo sarebbe non soltanto andare contro il nostro proprio carisma ma anche contro la stessa ragione di essere religiosi.

*     * *     *

Cari Tutti: in questo mese dedicato al Sacro Cuore vi invito ad approfondire in quello che diceva il Santo Curato d’Ars: “Un buon pastore, un pastore secondo il Cuore di Dio, è un tesoro più grande che il buon Dio può concedere a una parrocchia, e uno dei doni più preziosi della sua misericordia divina”. 

È necessario portare il Verbo Incarnato fermamente piantato nel cuore, nell’anima e nell’intelligenza. Bisogna essere intimi con il Crocifisso. Senza questo avremo dottori, teologi e filosofi che sopraffanno per la loro scienza, ma spariranno i missionari. Per quello parafrasando San Pier Giuliano Eymard potremmo dire: “Io non comprederei che un religioso del Verbo Incarnato volesse risaltare nella sua scienza che non fosse il Verbo Incarnato. Senza questo, non siamo nella pienezza della nostra grazia”. 

Siamo coscienti che siamo chiamati a infuocare i quattro confini del mondo con il tizzone ardente della verità del Verbo Incarnato che arde in noi. Manteniamoci sempre in uno stato di formazione e di rinnovamento permanente, ce lo esige lo stesso fine specifico del nostro Istituto. Essendo fedeli in questo, le nuove generazioni ci seguiranno e – se Dio vorrà – contribuiremo grandemente all’opera dell’evangelizzazione.

Non posso concludere senza esprimere il mio più sincero ringraziamente e riconoscimento a quelli che con tantissimo sforzo si dedicano al nobile e magnifico compito della formazione dei nostri religiosi con una dedicazione encomiabile, in profonda fedeltà al nostro carisma e al Magistero, accompagnando i suoi insegnamenti con il testimonio di vita.

A tutti coloro che si preparano nelle nostre case di formazione, gli ripeto il consiglio di San Giovanni Paolo II: “ci sono tre ‘molto’ che ne compensano altri tre: molto studio, molta scienza; molta riflessione, molta sapienza; molta virtù, molta pace. Coraggio!”.

Siamo sempre grati a Dio per il grandioso dono che ci ha fatto, avendoci cimentati nei magnifici principi che danno fondamento, reggono e sostentano la nostra formazione.

Che la Vergine Maria, Madre del Verbo Incarnato, ci aiuti a formare in noi l’immagine di suo Figlio e a servirlo tutti i giorni della nostra vita.

Nel Verbo Incarnato, 

P. Gustavo Nieto, IVE

Superior General

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