“Per la santità di vita, dobbiamo arrivare ad essere ‘altri Cristi’”

Roma, Italia, 1 novembre 2017

Solennità di tutti i Santi

Lettera Circolare 16/2017

“Per la santità di vita, dobbiamo arrivare ad essere ‘altri Cristi’”

Costituzioni, 7

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi: 

Papa Giovanni XXII, in una sua frase molto conosciuta, affermava: “Datemi un religioso che sia stato fedele per tutta la vita alla sua Regola e lo canonizzo senza ulteriori esami”. Questa sentenza così breve e così eloquente ha trovato eco in innumerevoli anime di religiosi che si santificarono nella pratica fedele dei principi costitutivi del loro Istituto. Semplicemente perché il patrimonio di un Istituto (che include ovviamente tutto ciò che concerne il diritto proprio), di qualunque congregazione religiosa approvata dalla Chiesa, si trasforma senz’altro nel principale strumento di santificazione di un religioso mostrandogli in ogni istante quale sia la volontà di Dio. 

Tutti questi religiosi che oggi veneriamo come santi ebbero come “unico denominatore: seguire Cristo e conformarsi a Lui”. Questo è anche il nostro ideale…, anche noi diciamo che “vogliamo imitare il più perfettamente possibile Gesù Cristo”, “riproducendolo, facendoci simili a Lui, configurandosi a Lui”, dedicandoci “totalmente a Dio come al nostro amore supremo, affinché, impegnati per un nuovo e peculiare titolo alla sua gloria, […] raggiungiamo la perfezione della carità”, perché in ciò consiste la santità.

E diciamo –lo dicono le nostre Costituzioni e il nostro diritto proprio– che lo vogliamo fare non in un modo qualsiasi ma secondo “gli elementi oggettivi che esprimono l’identità e configurazione della vita consacrata dell’Istituto del Verbo Incarnato secondo la nostra propria indole e il nostro patrimonio spirituale”. Poiché ci siamo fatti religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato precisamente per questo, “per imitare il Verbo Incarnato casto, povero, obediente e figlio di Maria” “in conformità al cammino evangelico tracciato nelle Costituzioni dell’Istituto del Verbo Incarnato” e che la Chiesa ha considerato come cammino valido e adatto a raggiungere la perfezione della carità. 

Questo significa –per dirlo in modo chiaro e schietto– che per ognuno di noi il compimento fedele delle regole dell’Istituto –“come itinerario peculiare di sequela di Cristo e santità secondo il carisma specifico riconosciuto dalla Chiesa”– è la via normale e necessaria per giungere alla santità. Così, in effetti, dichiara esplicitamente il nostro Direttorio di Vita Consacrata quando dice che il “religioso ha una regola suprema di vita che è ‘la sequela di Cristo’, ma non come qualcosa di separato e parallelo al diritto proprio, ma intimamente unito a Lui, tale come si da nella realtà, cioè ‘tale e quale si propone nel Vangelo e si dichiara nelle Costituzioni del suo Istituto. [Perché] necessariamente vanno uniti la vita religiosa e il modo proprio di viverla nell’Istituto in cui si entra”. E più avanti dice: “Sono esse [le Costituzioni] il ‘modello’ sul quale il religioso deve configurare la sua vita”.

E così abbiamo confessato noi stessi, quando ad alta voce abbiamo fatto professione dei nostri voti religiosi dicendo: “faccio voto di vivere per sempre casto…, povero, …  e obbediente, fino alla morte di croce per seguire più intimamente il Verbo Incarnato nella sua castità, povertà e obbedienza, in accordo al cammino evangelico tracciato nelle Costituzioni”.  Il giorno della nostra professione religiosa ci imbarchiamo liberamente, pubblicamente e solennemente nell’appassionante avventura di trasfigurare le nostre vite in quella di Cristo, secondo il cammino tracciato dalle nostre Costituzioni.

Per questo, sebbene non si esiga che uno sia santo per farsi religioso, si richiede “che aspiri seriamente, con una volontà veramente disposta a raggiungere la santità”,  perché propriamente in questo consiste la perfezione del religioso: nel tendere con tutte le forze alla perfezione della carità, a questo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, e il prossimo per amor di Dio. Per questo già dal noviziato ci si insegna che “non può essere novizio chi non manifesta un vero desiderio di santità e di perfezione”. Dunque, aspirare a possedere una carità perfetta e lavorare per raggiungerla è, diciamo così, “il nostro dovere professionale come religiosi”, il nostro principale dovere di stato. 

In questo senso, e con molta forza, il diritto proprio ci esorta a “essere fermamente risoluti a raggiungere la santità”. E citando Santa Teresa ci chiede di avere “una risoluzione ferma e decisa di non mai fermarci fino a che non sia raggiunta quella fonte (la santità). Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare. Ciò che importa è dare un passo, un passo in più, ricominciare ancora dando lo stesso passo”. Perché di chi non fa nulla in concreto per raggiungerla, si dice che “anche se con il corpo sta con noi non appartiene alla nostra famiglia spirituale”. E con parole che lungi dallo scoraggiare e che piuttosto devono servire ad accrescere il nostro fervore ci si avverte: “Un religioso che non sia deciso a raggiungere la perfezione e a sforzarsi realmente per essa, è un religioso frustrato; la sua vita ha perso ogni sapore ed entusiasmo; a lui si possono applicare a tutto diritto le parole di Nostro Signore: Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde il sapore, con cosa lo si renderà salato? Non serve….

In tale contesto vorrei dunque con questa lettera circolare ‘definire’ in qualche modo, secondo il diritto proprio del DNA, per chiamarlo in qualche modo, o la ‘fibra’ intima, o le caratteristiche essenziali di ciò che deve essere un religioso del Verbo Incarnato, qualunque sia la circostanza della sua vita, qualunque sia la sua età o anni di vita religiosa, sia contemplativo o missionario in terre lontane. Posto che giungeremo a essere santi religiosi tanto quanto incarneremo quello che il diritto proprio ci indica come ideale.

Confido in Maria Santissima, Modello perfetto di ogni consacrato, che queste righe possano esserci utili per un esame personale e magari, di motivazione per raggiungere l’ideale di santità proposto dalle nostre Costituzioni e assunto come piano proprio di santificazione il giorno della nostra solenne professione religiosa. 

1. “Vogliamo essere un’altra Incarnazione del Verbo”

San Pietro Giuliano Eymard diceva ai suoi religiosi: “Tutti gli uomini sono obbligati a conoscere e a praticare il Vangelo; però a voi basta conoscere e praticare la vostra regola, che è il vostro vangelo”. Analogamente anche noi potremmo applicare queste parole alle nostre Costituzioni e Direttori, perché lo spirito dell’Istituto è lo Spirito del Vangelo: “lo spirito della nostra Famiglia Religiosa non vuole essere altro che lo Spirito Santo”. Le Costituzioni del nostro caro Istituto, e pertanto, “la forma di vita che questo propone è stata dichiarata conforme al Vangelo e idonea a conseguire il fine prefissato”, quando più di 13 anni fa sono state approvate dall’autorità competente della Chiesa.

Per questo San Pietro Giuliano anche esortava i suoi religiosi a “conoscere la regola, a comprenderla, perché la regola è un’educatrice, una maestra che viole formarci per darci a Gesù Cristo”. Lo stesso è valido per noi, giacché le nostre Costituzioni e tutto il ricchissimo diritto proprio ci fissano nel Verbo Incarnato, ci fondano in Lui e ci allontanano da tutto ciò che non sia Lui e conforme al suo spirito.

Per questo la lettura ogni volta più profonda, ogni volta più cosciente e orante del diritto proprio –tanto raccomandata dalla Chiesa e stimata dai santi– aiuta a interiorizzare i criteri e i valori evangelici lì proposti. Al punto di infondere nell’animo una tale energia spirituale che ci fa anche desiderare il martirio, se necessario al fine di raggiungere l’ideale. Perché “vale la pena vivere a fondo la propria consacrazione, quando diventa, giorno dopo giorno, in una totale consegna di sé, espressione dell’amore maggiore, che ci rende simili a Cristo”. 

In questo assomigliarsi a Cristo il diritto proprio delinea con splendida maestria e in magnifici termini che infervorano l’anima, l’ideale di santità al quale tutti noi dobbiamo tendere e che altro non è che l’imitazione dello stesso Verbo Incarnato. Per questo il riempirsi dello Spirito che esprimono le nostre Costituzioni non fa altro che ingigantire nei nostri cuori il desiderio efficace di voler arrivare a “essere ‘un altro Cristo’”, come “un’altra Incarnazione del Verbo”. Questo ideale spinge ad affannarsi a “passare per la Terra a imitazione del Dio Incarnato” e a fare che in tale maniera uno si sforzi “di vivere in pienezza la radicalità dell’annullamento di Cristo e della sua condizione di servo” che si trasformi in “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù, il Verbo fatto carne” e giunga a essere in tutto e per tutto “come un’altra umanità di Cristo”.

Noi camminiamo dietro il Verbo Incarnato –cioè, del Dio Infinito che senza lasciare di essere Dio assunse la condizione di servo– e il cui Cuore, in ragione dell’unione ipostatica, contiene un tesoro inestimabile di virtù. Tale sequela richiede da noi l’esercizio di tutta una serie di virtù che ci permettano di imitarlo, “soprattutto negli aspetti del suo annientamento e della sua trasfigurazione”. Allora dev’essere segno distintivo del religioso del Verbo Incarnato il distinguersi particolarmente nella “pratica delle virtù dell’annientamento: umiltà, povertà, dolore, obbedienza, rinuncia a sé stessi, misericordia e amore a tutti gli uomini”; “in una parola, nel prendere la croce” con coraggio. 

Allo stesso modo, il nostro stato di religiosi del Verbo Incarnato esige da noi la pratica delle “virtù della trascendenza: fede, speranza e carità” da dove nasce lo spirito di preghiera incessante e rivestirsi del desiderio di passare per le purificazioni attive e passive del senso e dello spirito al fine di crescere in queste virtù e unirsi definitivamente all’ideale.

Siamo stati chiamati a far risplendere tutte le virtù nella nostra vita comunitaria, nelle missioni, nella nostra vita liturgica e così, in ogni aspetto della nostra vita religiosa. Sia che viviamo in una casa di formazione, in un monastero, in una casa di carità, in una parrocchia o in una missione lontana e qualunque sia l’occupazione nella quale Dio voglia tenerci impegnati o se per caso siamo prostrati nel letto. “Noi dobbiamo dare speciale testimonianza del Verbo Incarnato, in particolare nell’aspetto del suo annullamento radicale che è informato di umiltà, nel servizio disinteressato e, in particolare, nell’amore misericordioso”.

2. Il centro della nostra vita dev’essere Gesù Cristo

Applicando le parole del Beato Paolo Manna al nostro caso, anche noi possiamo dire che “le nostre Costituzioni accompagnano il missionario e lo guidano, oltre che nel lavoro della propria santificazione, anche nella pratica dello zelo e del ministero apostolico”. 

Per questo, con chiarezza trasparente e materna pedagogia, le nostre Costituzioni approfondiscono, ciò che vi menzionavo prima: ciò che deve essere la ‘fibra più intima’, il DNA, il nucleo centrale o il ‘modello’ secondo il quale un religioso del Verbo Incarnato deve configurare la sua vita a quella di Cristo. E per penetrare meglio in questa realtà tanto importante per tutti noi, c’è un testo che, –secondo come lo intendo– lo riassume magistralmente. Si tratta del punto 231 delle stesse Costituzioni che cito a continuare nella sua totalità (vale la pena leggerlo meditandolo): 

“Desideriamo formare per la Chiesa Cattolica sacerdoti secondo il cuore di Cristo: che abbeverino il loro spirito alla Parola di Dio, che servano il prossimo, che siano solidali con chi ha bisogno, promotori del laicato, con grande capacità di dialogo, senza crisi di identità, desiderosi di formarsi permanentemente, che si abbandonino alla Provvidenza, amanti della liturgia cattolica, predicatori instancabili, “ricchi nello spirito”, “con lingua, labbra e saggezza a cui i nemici della verità non possano resistere”, di abbondantissima fecondità apostolica e vocazionale, con impeto missionario ed ecumenico, aperti a tutte le particelle di verità ovunque si trovino, con amore particolare verso i poveri e senza preferenze o esclusioni, che vivano in contagiosa e pura allegria, nella pace imperturbabile anche nelle più difficili lotte, in assoluta e intima comunione ecclesiale, evangelizzatori e catechisti instancabili, amanti della Croce. Infine, uomini con buon senso, con un buon senso cristiano che non è altro che la santa familiarità con il Verbo fatto carne.”

Significa, che di ognuno di noi –religiosi del Verbo Incarnato– si dovrebbe poter dire che è un religioso che:  

  • si forma per la Chiesa Cattolica: perché l’Istituto al quale appartiene è nato nella Chiesa Cattolica ed è della Chiesa Cattolica e per la Chiesa Cattolica. Pertanto, un religioso del Verbo Incarnato “riconosce nel Sommo Pontefice la prima e suprema autorità e gli professa non solo obbedienza, ma anche fedeltà, sottomissione filiale, adesione e disponibilità per il servizio della Chiesa universale”. Si annulla ai piedi della Chiesa e non vuole che nessuno lo superi “in ossequiosità e amore al Papa e ai Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a governare la Chiesa di Dio”.
  • È un sacerdote [o un religioso] secondo il Cuore di Cristo: che vuole specialmente distinguersi nel “contemplare questa fonte ricchissima e non voler uscire da lì”, e questo deve essere il suo segno di onore. È un uomo che ha la “capacità di relazionarsi con gli altri, senza essere né arrogante né polemico, che è sincero nelle sue parole e nel suo cuore, prudente e discreto, generoso e disponibile per il servizio, capace di offrirsi personalmente e di suscitare in tutti relazioni leali e fraterne, disposto a comprendere, perdonare e consolare. In definitiva, che manifesta con le opere di avere Dio nel cuore.
  • Abbevera il suo spirito nella Parola di Dio: pertanto, ama e valorizza “la ricchezza del tesoro celeste che è la Parola di Dio”, al punto di anelare che “la Sacra Scrittura sia l’anima della sua anima, della sua spiritualità, teologia, predicazione, catechesi e pastorale”. È un religioso che si dedica alla “meditazione fedele della Parola di Dio, per la quale conosce i misteri divini, e fa propria la sua valutazione delle cose”. Perché è stando in contatto con la Parola Scritta del Verbo che va “captando lo stile di Nostro Signore Gesù Cristo”. E a imitazione del Verbo Incarnato dedica la sua vita alla predicazione della Parola di Dio “in tutte le sue forme”. 
  • È servizievole verso il prossimo: perché per questo si è professato religioso del Verbo Incarnato: “per realizzare con maggior perfezione il servizio di Dio e degli uomini”. Per questo considera “ogni uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini” come oggetto del suo amore e del suo servizio. Tale servizio lo realizza “conducendo una vita laboriosa”, in modo disinteressato, sempre umile, ma con “generosità nel sacrificio, e un gran spirito d’iniziativa”, stando presente e totalmente disponibile tra gli uomini. Perché è convinto che il suo servizio al prossimo “abbia valore di servizio a Dio” se è animato da una carità autenticamente teologale. E con questo “marcato spirito di servizio esercita la sua potestà” se è messo a governare i suoi fratelli. Inoltre, consapevole che “la missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ancora lontana da compiersi si dedica con tutte le sue energie al suo servizio, cioè all’evangelizzazione, giacché vede in quel compito un servizio che può prestare a ogni uomo”.
  • È solidale verso ogni bisognoso: è un religioso che esercita un “compromesso attivo nella promozione della solidarietà e della carità” in molti modi con chi ha bisogno del suo aiuto. Tutte cose che realizza senza “mettere limiti”, giacché non ha paura che per dare venga a mancare a lui. Non dimentica mai che “le opere di misericordia, soprattutto con i disabili” sono uno degli elementi non negoziabili del carisma dell’Istituto ed una opportunità concreta di evangelizzare con la testimonianza della vita.  
  • È promotore del laicato: perché comprende che “l’inculturazione deve implicare tutto il popolo di Dio, non solo alcuni aspetti” e riconoscendo “il contributo specifico dei laici nell’evangelizzazione della cultura” associa alla sua missione la maggior quantità possibile di essi che procurando la loro propria santificazione collaborino nel compito di propagare la fede e di santificare il mondo intero. Per questo si impegna a formare i laici affinché essi “trattino e ordinino, secondo Dio, le faccende temporali”. Anche promuove e aiuta con animo nelle loro opere apostoliche. È un religioso che desidera vivamente “un mondo dove laici e religiosi uniti, lottino affinché regnino la verità e la virtù”.
  • Ha grande capacità di dialogo, senza crisi d’identità: cioè, è un religioso “capace di conoscere in profondità l’anima umana, d’intuire difficoltà e problemi, che facilita l’incontro e il dialogo, che ottiene fiducia e collaborazione, che sa esprimere giudizi sereni e oggettivi”. È un religioso che fermo nella sua identità cristiana e a sua volta, consapevole del fatto che manca “la diffusione e l’annuncio del deposito della fede, conformemente al mandato dello stesso Cristo” è spinto interiormente dalla carità a impiegare il metodo del dialogo per cercare le pecore senza forzarne nessuna. Ancora, il religioso del Verbo Incarnato che intraprende questo dialogo è “chiaro, affabile –non è orgoglioso, non è tagliente, non è offensivo–, la sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la chiarezza che diffonde, per l’esempio che propone; intavola un dialogo che promuove la familiarità e l’amicizia”. Finalmente, è un religioso che per “prudenza pedagogica sa adattarsi ragionevolmente e modificare le forme della propria presentazione per non essere molesto e incomprensibile” agli altri.
  • È desideroso della formazione permanente: perché è un religioso che “non si conforma a una conoscenza superficiale della filosofia e sella teologia che lo lascia incapace di comprendere in tutta la sua profondità il dramma dell’ateismo contemporaneo e pertanto incapace di porvi rimedio”; Inoltre la considera fondamentale e “un’esigenza intrinseca della sua consacrazione religiosa”.  Per questo sapendo “adattarsi alle circostanze di obblighi e uffici” acquisiti dedica tempo allo studio personale perché riconosce che agire in altro modo sarebbe un’ingiustizia verso le anime a lui raccomandate e lui sarebbe molto lontano dal ‘mordere la realtà’.  
  • È abbandonato alla Provvidenza: ma non in qualunque modo, ma con “fiducia illimitata”, considerandolo “un modo particolare di dare gloria a Dio” perché lo considera parte integrante del voto di povertà che un giorno professò in questo suo amato Istituto –anche quando i nostri apostolati occasionalmente debbano compiersi con mezzi costosi o nel primo mondo–, e sa che così, vive questa fiducia al massimo. Pertanto, “sa essere magnanimo e magnificente nell’intraprendere le opere apostoliche, secondo la volontà di Dio, senza arretrare per le difficoltà e le spese che si devono realizzare nei diversi impegni apostolici, confidando per questo nella Divina Provvidenza”. Infatti capisce che confidare nella Provvidenza Divina “non si oppone in nessun modo, ma include l’amministrazione prudente dei beni: provvedendo alle necessità quotidiane, aiutando i poveri, evitando le spese inutili, ma facendo quelle che si devono fare, occupandosi della conservazione e dell’aumento dei beni materiali necessari”. È un religioso che nemmeno cede di fronte alla tentazione di avere sicurezze materiali, ne imputa alla Divina Provvidenza la mancanza di mezzi di cui non dispone per sua propria pigrizia, e nemmeno sperpera le risorse che la Divina Provvidenza mette a sua disposizione. Assolutamente il contrario! Sa di essere dipendente da Dio e in tutto e per tutto ricorre alla sua incalcolabile benevolenza, che sa ringraziare di cuore invitando gli altri a fare lo stesso. È un religioso che vede tutto –assolutamente tutto– alla luce dei disegni amorosi della Provvidenza di Dio”, perché “crede con fermezza incrollabile che anche gli avvenimenti più avversi e opposti alla nostra visione naturale, sono ordinati da Dio per il nostro bene, anche se non comprendiamo i suoi disegni e ignoriamo il termine a cui vuole condurci”. E questa visione provvidenziale di tutta la vita lo accompagna sempre perché ama Dio e sa che “è impossibile che ci sia qualcosa nel mondo che non concorra e contribuisca al suo bene”. In effetti, questa visione provvidenziale della nostra esistenza è stata segnalata come uno degli elementi non negoziabili presi dal nostro carisma.
  • È amante della liturgia cattolica: perché conosce “l’importanza, non solo cultuale ma anche educativa, che la Sacra Liturgia deve avere”. Per questo si sforza di “distinguersi per la degna celebrazione della Santa Messa e il modo riverente di celebrarla”. Per questo si può dire che le nostre celebrazioni liturgiche sono “modelli: ‘per i riti, per il tono spirituale e pastorale, e per la fedeltà che ha tanto alle prescrizioni e ai testi dei libri liturgici, quanto alle norme emanate dalla Santa Sede e dalle Conferenze Episcopali”. Perché in definitiva sono liturgie “vìvide e vissute” giacché fomentano il senso del sacro e sono piene dello spirito di riverenza e di glorificazione di Dio.
  • È un predicatore instancabile: con una sana “impazienza di predicare il Verbo in ogni forma”. Pertanto, è un religioso che seguendo il mandato evangelico: Andate e insegnate a tutte le genti, in tutto il mondo cammina “con il fervore e l’entusiasmo dei santi, anche nei momenti di difficoltà e di persecuzione” a predicare il Vangelo e “anche a costo di rinunce e sacrifici”. È un religioso instancabile, disposto a dare i primi passi per Cristo, che non si blocca per paura ai limiti, reali o immaginari, che vogliono tagliare la sua azione sacerdotale, che si muove “con docilità e prontezza di ciò che chiede lo Spirito Santo” e in questa stessa fedeltà allo Spirito Santo trova il superamento di tutte le difficoltà che può trovare nella sua missione. Non si abitua soltanto a tenere aperte le porte della sua parrocchia, egli stesso esce a esortare le anime a venire, e con un numero tale di iniziative che fanno che la sua parrocchia si mantenga viva e Gesù abbia sempre compagnia. Per questo un religioso che non ha “paura del sacrificio e della donazione totale, ne cerca di recuperare ciò che ha dato cercando compensazioni o mettendo radice o facendo “nido” in cose che non siano Dio”. “Ha la disposizione di volersi consumare per gli altri e di voler perseverare in tali disposizioni” “anche di fronte al declino delle proprie forze e del proprio ideale”. 
  • È ricco di spirito: cioè, con una vita spirituale seria, non sensibile. Vita spirituale che nutre principalmente nella sua partecipazione (o celebrazione) giornaliera alla Santa Messa en el contatto con il Verbo Incarnato presente nel Santissimo Sacramento e rivelato nelle Scritture che legge assiduamente. È un religioso che valorizza come importantissimo per la sua vita spirituale il Sacramento della Riconciliazione e per questo ha “devozione alla confessione frequente”. È cosciente di essere un religioso missionario il cui compito apostolico principale è dare “speciale testimonianza del Verbo Incarnato” abbraccia la pratica delle virtù apparentemente opposte: “per esempio, giustizia e amore, fermezza e dolcezza, fortezza e mansuetudine, santa ira e pazienza, purezza e grande affetto, magnanimità e umiltà, prudenza e coraggio, allegria e penitenza, etc.”. E così, è un religioso che dalla ricca abbondanza del suo spirito sovrabbonda nella sua testimonianza di vita en ella sua predicazione e insegnamento, prendendo cose buone dal buon tesoro del suo cuore
  • hauna lingua, bocca e sapienza alle quali non possono resistere i nemici della verità’: Cioè, è un religioso che ama la verità e la realtà. Che per la sua grande “fiducia nel potere della verità accetta la doppia missione di cercare la “certezza della verità” –data solo da una sana filosofia fondata sulla realtà oggettiva delle cose– e di denunciare gli errori con sveltezza. Per questo “non vende ne dissimula mai la verità per il desiderio di piacere agli uomini, di causare meraviglia, né per originalità o desiderio di apparire. Non rifiuta mai la verità. Non oscura la verità rivelata per pigrizia nel cercarla, per comodità, per paura. Non smette di studiarla. La serve generosamente senza renderla sua vassalla”. Riconosce di non essere ne il padrone ne l’arbitro della verità, ma il suo depositario, suo erede e servitore. E così, della verità, è un predicatore instancabile. 
  • Ha un’abbondantissima fecondità apostolica e spirituale: perché sa abnegarsi e morire a sé stesso e a tutto ciò che non è Dio. Tutta la sua fecondità apostolica si fonda su una vita interiore ricca di fede e di unione intima con Dio. È un religioso che sente come una chiamata personale quell’elemento integrante della nostra spiritualità, che ci comanda di “saper chiamare, insegnare, dirigere, accompagnare e selezionare le vocazione”. Non si accontenta di fare una chiamata generica alla vocazione sacerdotale o religiosa, ma, a imitazione del Verbo Incarnato, chiama personalmente e in modo esplicito. Esortazione che sa accompagnare con una “testimonianza fedele e allegra della sua vita come consacrato, realizzando con generosità, discernimento e serietà gli apostolati propri, e lavorando in comunione fraterna”. Ed è per le anime un vero padre spirituale.
  • Ha un impeto missionario ed ecumenico, ed è aperto a ogni particella di verità laddove si trovi: È un religioso che sa di essere chiamato a “realizzare grandi opere, imprese straordinarie”; che ha preso seriamente le esigenze del Vangelo: và, vendi tutto quello che hai… e chiede a Dio ogni giorno “il fervore spirituale, la gioia di evangelizzare, anche quando deve seminare fra le lacrime”. È un religioso la cui vita irradia il fervore di chi ha ricevuto, anzitutto in sé stesso, la gioia di Cristo, e accetta di consacrare la sua vita al compito di annunciare il Regno di Dio e di impiantare la Chiesa nel mondo. Con questo stesso spirito “prega e lavora per la riconciliazione e per l’unità della Chiesa secondo la mente e il cuore del nostro Salvatore Gesù Cristo” ed è disposto a “scoprire con allegria e rispetto le sementi del Verbo che sono presenti nelle tradizioni nazionali e religiose dei diversi popoli per trasformarli con la forza divina del vangelo”. Comprende che il suo raggio d’azione non ha limiti d’orizzonte, ma che è il vasto mondo, perché Gesù ha detto: andate in tutto il mondo…. La sua visione missionaria è universale, dunque sa trascendere i limiti della sua stanza, della sua cella, della sua parrocchia. In una parola: ha creatività apostolica. 
  • Ha un amore preferenziale verso i poveri senza esclusivismi e senza esclusioni: giacché in essi vede lo stesso Cristo. Non cade “in false dialettiche riduzioniste dove per attendere ad alcuni si escludono gli altri (per esempio, i ricchi, gli intellettuali, gli stranieri o i forestieri, etc.), dove uno solo si preoccupa esclusivamente per alcuni o per qualche luogo”. Inoltre, a somiglianza di Gesù Cristo che venne nel mondo ‘per noi uomini’, pertanto, per ‘ogni uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini’ –senza discriminazioni– ama di fatto e in verità l’uomo concreto che ha bisogno –di beni materiali o spirituali–, senza mai usarlo come propaganda demagogica”. E lo fa con una carità che gli sgorga dalla preghiera, dalla contemplazione del mistero della misericordia divina e dalla sua fedeltà a Dio. È un religioso che sa che “la carità è imprescindibile per evangelizzare la cultura” e che “non basta dare ai poveri, [ma che] bisogna dare sé stessi”.
  • Vive un’allegria contagiosa e cristallina: allegria che è spirituale e soprannaturale, e nasce dal considerare il mistero del Verbo Incarnato. Per questo si rallegra sempre e in tutto, nelle virtù, nelle sofferenze. Si sa rallegrare nella comunità: nella pratica della carità fraterna, perché il vivere in comunità, anche in mezzo alle difficoltà del cammino umano e spirituale e delle tristezze quotidiane, forma già parte del Regno. È un religioso che si sforza nel coltivare l’allegria nella comunità religiosa perché sa che questa rappresenta “una grande attrazione verso la vita religiosa, è una fonte di nuove vocazioni e un sostegno per la perseveranza”. Lungi da lui lo “spirito d’opposizione”  –alle volte molto comune tra alcuni– che crea divisione. Lungi da lui lo spirito di critica distruttiva –senza desideri di progresso nella verità en ella carità–, e che semina tanta pesantezza e oscurità, come quelli che esprimono le loro critiche con amarezza, terminando tante volte in offese, in atti e in che è la benignità”.
  • Vive in una pace imperturbabile anche nei combattimenti più ardui: pace interiore che è frutto dello Spirito Santo ed effetto della carità che regna nella sua anima perché ha eliminato la divisione dentro di sé, per la lotta fra la carne e lo spirito. La sua pace sopravvive in mezzo alle più grandi contrarietà, alle più grandi tribolazioni e alle più grandi tragedie, perché ha messo tutto il suo amore e la sua fiducia in Cristo, che è nostra pace.
  • Vive in assoluta e illimitata comunione ecclesiale: perché sa di essere parte del Corpo Mistico del Verbo Incarnato, che è la Chiesa come “Sacramento universale di salvezza” e non vuole conoscere nulla al di fuori di Essa. Pertanto, è un religioso che promuove con fervore “l’unità che non ostacola la diversità, così come… una diversità che non ostacola l’unità ma l’arricchisce”. È sua decisa intenzione vivere in concordia con i membri della Chiesa ed è disposto a “lasciare da una parte tutto ciò che può impedire o deformare questa unanimità nel sentire”. Lungi da lui “il comportarsi come un tutto chiuso e solitario”, o l’agire per “ossequio e servilismo”, com’è il caso di quelli che “sacrificano la verità e la propria coscienza pretendendo di mantenere una falsa pace, o per non contrariare l’amico, evitare qualche problema o, in qualche occasione, ottenere vantaggi dal silenzio o dall’applauso”.
  • È un instancabile evangelizzatore e catechista: il che è frutto della donazione autentica di sé stesso. Mi prodigherò, mi consumerò è il suo programma. Non si fissa nella comodità che può raggiungere dopo alcuni anni nel suo posto di missione, non detesta gli sforzi per evangelizzare. Vuole sempre essere disponibile. Non rinuncia a priori a nessuno dei modi di predicare la Parola, ma con grande creatività e inventiva si sa adattare per arrivare a tutte le anime. È un religioso che non ha paura delle pastorali inedite, sempre che siano secondo Dio. Si consacra con entusiasmo non solo a insegnare il catechismo; ma anche servire a tutti per quanti mezzi gli ispiri il suo consiglio e la sua prudenza, con l’unica pretesa di prodigarsi, consumarsi per guadagnare anime a Dio. È un uomo che vive la follia della croce, la quale consiste nel vivere al massimo e puntando più in alto .
  • È amante della Croce: perché sa che “non vi è altra scuola che la Croce, nella quale Gesù Cristo insegna ai suoi discepoli come devono essere”. La Croce è il suo stile di vita, il messaggio che predica, la fonte della sua allegria, e il suo laccio di unione con Cristo. Perciò dice: “né Gesù senza la Croce, né la Croce senza Gesù”. E ogni giorno chiede in colloquio alla Madre di Dio ai piedi della Croce, che gli ottenga la grazia della sapienza divina per accettare e sollevare con amore e allegria la sua Croce. 
  • È un uomo con senso comune, con quel senso comune cristiano che non è altra cosa che la familiarità con il Verbo fatto carne: È interessante che sia questa l’ultima caratteristica che si menziona. Si potrebbe dire, che ciò significa un religioso che ha capito lo “stile” di Nostro Signore Gesù Cristo, il che non è altra cosa, che avere in sé le attitudini che Cristo, come Figlio, ha insieme al Padre. Dal suo contatto con il Verbo Incarnato ha imparato il corretto valore delle cose. Da lì la sua sensibilità particolare per incarnare la missione, per identificare le necessità particolari della stessa e la grazia di saper porre rimedi efficaci, portando la luce del Vangelo a ogni uomo, a tutto l’uomo e a tutte le manifestazioni dell’uomo. Perché questo è il suo fine specifico come religioso del Verbo Incarnato. 

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Cari Tutti: solo nella misura in cui conformiamo le nostre vite all’ideale secondo il carisma dell’Istituto, ispirato da Dio e plasmato nelle Costituzioni e Direttori e che si manifesta nelle nostre sane tradizioni, raggiungeremo la santità alla quale ci ha chiamati il Verbo Incarnato. 

Pertanto, “non potrà essere un vero religioso chi non accetta, critica ingiustamente, o semplicemente vuole vivere in modo marginale il carisma dato dallo Spirito Santo al Fondatore. Un vero religioso, al contrario, deve amare e conservare una stretta fedeltà al suo Istituto, che lo ha generato alla vita religiosa, fino al punto, se è necessario, di dare la sua vita”. Questo è stato ed è il pensiero di tutti i santi che oggi celebriamo in una stessa festa.

Quanto valido e opportuno resulta essere l’avviso di Don Orione ai suoi religiosi, che il nostro Direttorio di Vita Consacrata prende come proprio: “Ci faremo santi tali e come ci voglia di noi il Signore: cioè, amando teneramente la nostra Congregazione e amando le sue Costituzioni”. 

Allora, per mettere in pratica tutto ciò che si è detto prima è necessaria la grazia di Dio, la quale ci viene per mezzo di Maria Santissima, che Dio ha “costituito come tesoriera unica delle sue ricchezze e dispensatrice esclusiva delle sue grazie perché abbellisca, innalzi e arricchisca chi Lei vuole; faccia passare per la stretta porta del cielo chi Lei vuole; introduca, nonostante tutti gli ostacoli, per la porta angusta della vita chiunque Lei voglia, e dia il trono, lo scettro e la corona regale a chi Lei vorrà”. A Lei Dio ha affidato il compito di formare ed educare i grandi santi, perché solo in questa Vergine singolare e miracolosa può realizzare, insieme allo Spirito Santo, le cose eccellenti e straordinarie. 

Che con il nostro cuore unito a Maria Santissima, Regina di Tutti i Santi, impariamo a configurare pienamente le nostre vite a quella di suo Figlio, il Verbo Incarnato, attraverso il compimento fedele dei nostri voti religiosi. “Maria è ‘il fine prossimo, il centro misterioso e il mezzo facile per andare a Cristo’”, andiamo avanti allegramente e decisi per Lui.

Felice Giorno di Tutti i Santi a ognuno di voi!

In Cristo, il Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre,

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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