Roma, Italia, 1 febbraio 2018.
Lettera Circolare 19/2018
Anzitutto si richiede la fedeltà al carisma fondazionale
Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,
Domani tutta la nostra cara Famiglia Religiosa celebrerà nei quattro punti cardinali il giorno del religioso del Verbo Incarnato, unendoci al sentire della Chiesa Universale in occasione della bella festa della Presentazione del Signore.
Per questo mi è sembrato conveniente dedicare questa lettera circolare alla fedeltà al carisma fondazionale poiché “la nostra crescente configurazione a Cristo si deve realizzare in conformità al carisma e alle norme dell’Istituto”. Infatti è il carisma ciò che propriamente ci definisce come religiosi “del Verbo Incarnato”, e procura alla nostra congregazione qualcosa come l’ossatura sulla quale ci costituiamo “altri Cristi” o “come una sua altra umanità” animati dallo spirito proprio dell’Istituto, che diventa allora come l’anima dell’organismo della nostra vita consacrata. In altre parole: il carisma è ciò che costituisce il nostro volto all’interno della Chiesa stabilendo il nostro modo di vivere la sequela Christi al fine di “rendere ‘sensibile’ in certo modo la presenza di Dio nel mondo mediante la testimonianza del proprio carisma”.
Il nostro magnifico carisma “di conquistare per Gesù Cristo tutto ciò che è autenticamente umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse” cercando “di fa sì che ogni uomo sia ‘come una nuova Incarnazione del Verbo’, essendo essenzialmente missionari e mariani” è la grazia particolare che deve brillare fulgidamente in tutto il nostro essere e agire come religiosi. Si tratta dell’elemento non negoziabile per eccellenza. È lo stendardo che dobbiamo innestare nei nostri cuori e in ciascuna delle nostre imprese missionarie. È il dono meraviglioso che Dio ci ha concesso per far sì che portiamo frutto nella sua Chiesa, arricchendola. Per questo è di capitale importanza riempirsi fino all’orlo del carisma dell’Istituto ed essere come una sua viva incarnazione. Questo perché, tanto più utili saremo alla Chiesa e alla sua missione, quanto più saremo fedeli al nostro carisma ‘del Verbo Incarnato’ e compenetrati in esso. Solo così saremo quei “calici pieni di Cristo che versano sugli altri la loro sovrabbondanza, mostrando con le nostre vite che Cristo vive”. Al contrario, cioè, senza questo spirito caratteristico di religiosi del Verbo Incarnato per il quale, ancorati al mistero sacrosanto dell’Incarnazione, ci lanciamo arditamente a restaurare tutte le cose in Cristo; senza questa impronta evidentemente cristocentrica, mariana e missionaria, “sarà invano continuare ad ammazzarci di lavoro, perché non otterremo nulla”.
Nonostante si possa affrontare il tema in molti modi, mi è sembrato opportuno dividerlo in tre parti che secondo me hanno un’importanza chiave, cioè: fedeltà, formazione, fecondità.
1. Fedeltà
Il carisma è senza dubbio un dono divino. San Tommaso insegna: “Il carisma è un dono dato da Dio alla Chiesa, è una grazia gratis data, indipendentemente dai meriti di chi la riceve, che è ordinata ad aiutare altri ad essere ricondotti a Dio”. Questo dono ci è stato partecipato e diviene per noi un’eredità preziosa e ricchissima intorno alla quale Dio ci ha riuniti come una vera famiglia associandoci alla degnissima e onorevolissima causa di servire la sua Chiesa sotto lo stendardo dell’Istituto del Verbo Incarnato.
Da qui procede “l’obbligo gravissimo per e di fronte all’Origine del carisma, che è lo Spirito Santo; per la sua destinataria e co-proprietaria, che è la Chiesa”, di difendere a spada tratta il carisma nella sua integrità e di essere inesorabilmente fedelissimi di fronte a un simile dono. Lo diceva già San Giovanni Bosco: “Non si devono riformare le Regole, ma praticarle. Chi va cercando riforme, deforma il suo modo di vivere”.
Il nostro carisma è la regola che indirizza la vita di ognuno di noi come membro dell’Istituto, garantendo la nostra santificazione personale e la permanenza di questo dono nella storia. Pertanto, la nostra fedeltà a Cristo nella vita religiosa esige sempre fedeltà al carisma particolare del nostro Istituto.
Notino che lo dice esplicitamente il diritto proprio: “un vero religioso è fedele e mostra un grande amore non solo al dono della vita religiosa ma anche al proprio Istituto”. Inoltre, lo dice lo stesso Concilio Vaticano II e il Magistero ecclesiastico posteriore, e lo afferma il Codice di Diritto Canonico. Allora, la fedeltà allo spirito dell’istituto e alla “mente e propositi del Fondatore corroborati dall’autorità competente della Chiesa”, cioè, salvaguardare intatto il patrimonio del nostro caro Istituto, deve sempre considerarsi parte integrale della nostra fedeltà allo stesso Verbo Incarnato che ci ha chiamati a far parte di questa congregazione. Tale fedeltà sarà l’indice di efficienza del nostro contributo alla vita e alla santità della Chiesa e “il criterio certo per giudicare quali attività ecclesiali dovrà intraprendere l’Istituto e ognuno dei suoi membri per contribuire alla missione di Cristo”.
“S’impone, secondo quanto detto, in modo evidente –continua il diritto proprio– “che non potrà essere un vero religioso chi non accetti, critichi ingiustamente, o semplicemente voglia vivere al margine del carisma” dato dallo Spirito Santo all’Istituto.
“Essere sempre fedeli al carisma richiede un atto di coraggio”, ci diceva il Santo Padre Francesco. Perciò è necessario nutrire, infervorare, e sforzarci con molto impegno, per compenetrarci dello spirito e degli insegnamenti ricevuti dalle origini dell’Istituto affinché, se Dio ci concede l’immensa grazia di essere provati nella nostra fedeltà al carisma, siamo “disposti al martirio per lealtà a Dio”.
Perciò mi sembra molto importante che ognuno di noi s renda conto e faccia tesoro “con gratitudine e consolazione” dell’esatto compimento, in ciò che riguarda il carisma del nostro Istituto, di tutti i criteri che la stessa Chiesa stabilisce per il discernimento dei doni carismatici. Allora, e solo con il desiderio di corroborare ciò che la Chiesa ha già riconosciuto approvando le nostre Costituzioni e contribuire alla presa di coscienza dell’autentica ecclesialità del nostro carisma, menziono qui, schiettamente, alcune citazioni del diritto proprio concordanti con i criteri menzionati dalla Lettera Iuvenescit Ecclesia emanata dalla Congregazione della Dottrina della Fede e citata abbondantemente nell’ultimo Capitolo Generale.
a) Il primato della vocazione alla santità di ogni cristiano. Ogni realtà che proviene dalla partecipazione di un autentico carisma dev’essere sempre strumento di sanità nella Chiesa e, pertanto, di aumento della carità e sforzo genuino per la perfezione dell’amore: Conformemente a ciò il diritto proprio stabilisce che “vogliamo […] per la santità di vita, giungere a essere ‘altri Cristi’” e che “dobbiamo avere ‘una grande e fortissima determinazione di non fermarsi prima di giungere ad essa (la santità)’”. “La chiamata alla santità è qualcosa che appartiene al Vangelo […]. Chiamata universale alla santità che è particolarmente esigente per essere a somiglianza di Dio stesso”; “santità che consiste essenzialmente nel perfetto compimento dei precetti della carità: nell’amore di Dio principalmente e, in secondo luogo, nell’amore del prossimo. Ciò è comune a tutti i membri della Chiesa, ma il religioso ha una speciale relazione alla santità o carità perfetta”; etc. In effetti, consideriamo che “un religioso che non sia disposto a passare per la seconda e la terza conversione, o che non faccia nulla di concreto per riuscirci, anche se è con noi fisicamente non appartiene alla nostra famiglia spirituale”. E per amore a Dio, “vogliamo tendere alla santificazione e alla salvezza degli uomini”.
b) L’impegno di diffusione missionaria del Vangelo. Le autentiche realtà carismatiche “sono regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è Cristo, da dove si indirizzano in un impulso evangelizzatore”. In modo tale che esse devono realizzare “la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa”, manifestando un “deciso impeto missionario che le porti a essere, ogni volta di più, soggette a una nuova evangelizzazione”: In effetti, con santo orgoglio confessiamo che noi “vogliamo restare ancorati nel sacrosanto mistero dell’Incarnazione […] e da lì lanciarci arditamente a ricapitolare tutte le cose in Cristo”. Perciò il carisma del nostro Istituto proclama splendidamente che: “tutti i suoi membri devono lavorare, in somma docilità allo Spirito Santo e nell’impronta di Maria, al fine di conquistare per Gesù Cristo tutto ciò che è autenticamente umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse. Vale a dire, […] per prolungare Cristo nelle famiglie, nell’educazione, nei mezzi di comunicazione, negli uomini di pensiero e in ogni altra legittima manifestazione della vita degli uomini; […] essendo essenzialmente missionari e mariani”. Allora impegniamo tutte le nostre forze nell’evangelizzare la cultura, ossia a trasfigurarla in Cristo però “non in maniera decorativa, come una vernice superficiale, ma in maniera vitale, in profondità e fino alle sue stesse radici, seguendo lo stile dell’Incarnazione: penetrando e trasformando ‘dall’interno la cultura umana”.
c) La confessione della fede cattolica. Ogni realtà carismatica dev’essere un luogo di educazione della fede nella sua totalità, “accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo, in obbedienza al Magistero della Chiesa, che la interpreta autenticamente”: Pertanto, il diritto proprio afferma con convinzione: “Gesù Cristo è ‘Cammino’ per giungere al Padre e nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui. […] ‘È colui che sostiene tutti i dogmi della Chiesa, giacché è “la verità che include tutte le altre’”. Confessiamo inoltre come “assolutamente necessaria la più stretta fedeltà al Magistero supremo della Chiesa di tutti i tempi, norma prossima della fede” e riconosciamo “nel Papa, la presenza incarnata, della Volontà e della Santità di Cristo”. Per questo ci sforziamo di avere “una fede in assoluta sintonia con la dottrina proposta dalla Chiesa Cattolica, anche nei più piccoli dettagli, congregata nella più stretta docilità alle direttive e agli insegnamenti del Papa”.
Conformemente a ciò la formazione che procuriamo e impartiamo è orientata “a possedere una visione completa e unitaria delle verità rivelate da Dio in Gesù Cristo e dell’esperienza della fede della Chiesa; da qui la doppia esigenza di conoscere tutte le verità cristiane e conoscerle in maniera organica”. Dando un posto di preferenza a San Tommaso d’Aquino, perché “la Chiesa ha proclamato che la dottrina di San Tommaso è la sua propria dottrina”.
Prova evidente della nostra obbedienza al Magistero della Chiesa è il nostro permanente desiderio di conoscere sempre meglio e assimilare in profondità il Magistero, appoggiandoci ad esso, citandolo in abbondanza (come crediamo sia evidente nel nostro diritto proprio) e trasmettendolo con fedeltà.
d) La testimonianza di una comunione attiva con tutta la Chiesa. Ciò porta a una “relazione filiale con il Papa, centro perpetuo e visibile di unità della Chiesa universale, e con il Vescovo ‘principio e fondamento visibile di unità nella Chiesa particolare. Questo implica la “leale disponibilità ad accogliere i suoi insegnamenti dottrinali e i suoi orientamenti pastorali”, così come “la disponibilità a partecipare a programmi e attività della Chiesa sia a livello locale, sia a livello nazionale o internazionale; l’impegno catechetico e la capacità pedagogica per formare i cristiani”. Tutto questo lo vediamo riflesso in lungo e in largo nel diritto proprio. Servano da esempio le poche citazioni che enumero qui: “L’Istituto del Verbo Incarnato riconosce nel Sommo Pontefice la prima e suprema autorità e le professa non solo obbedienza, ma anche fedeltà, sottomissione filiale, adesione e disponibilità al servizio della Chiesa universale”. “Ognuno dei membri della nostra Famiglia Religiosa “vogliono essere una cosa interamente del Papa, dei Vescovi e della Chiesa: strofinacci, servitori e figli obbedientissimi della Chiesa, dei Vescovi e del Papa, in umiltà, con fedeltà, con amore senza limiti…”. “Ragione per la quale [vogliamo] sentire con la Chiesa e agire ‘sempre con essa, in accordo agli insegnamenti e alle norme del Magistero di Pietro e dei pastori in comunione con lui’”. E “perché Cristo è uno, volgiamo lavorare con tutte le nostre forze per edificare la nostra vita in unione ai legittimi pastori, specialissimamente con un’adesione cordiale al vescovo di Roma, mostrando così la Chiesa una”. E di più, “noi, che siamo onorati di chiamarci religiosi ‘del Verbo Incarnato’ tradiremmo gravissimamente il nostro carisma, se non lavorassimo per avere un’autentica spiritualità ecclesiale, che ci incorpori pienamente alla Chiesa del Verbo Incarnato. E non vogliamo saper nulla al di fuori di Essa”.
e) Il rispetto e il riconoscimento della mutua complementarietà degli altri componenti della Chiesa carismatica. Da ciò deriva anche una disponibilità alla mutua cooperazione. Di fatto, “un segno chiaro dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità d’integrarsi armonicamente nella vita del santo Popolo fedele di Dio per il bene di tutti”. Il diritto proprio dice allora: “Non solo è necessaria la comunione con il Vescovo, ma si deve anche procurare ‘…sotto l’autorità del Vescovo’, che è dispensatore di Dio, la comunione con gli altri presbiteri, comunione che costituisce un unico presbiterio, fondato sulla comune partecipazione del Sacerdozio di Cristo”. Unità basata sull’intima fraternità sacramentale a partire dalla quale desideriamo stabilire una stretta collaborazione pastorale. Inoltre, è nostro fervoroso desiderio “che Dio ci conceda il dono di orientare tante vocazioni, che possiamo riempire tutti i buoni seminari e noviziati del mondo intero”. Per grazia di Dio, è consolante constatare, che godiamo di una relazione strettissima con l’immensa maggioranza dei vescovi con i quali lavoriamo, occupando in alcuni luoghi dei posti di rilievo e di particolare collaborazione nelle loro giurisdizioni, mantenendo una vera amicizia e fraternità con il clero secolare e religioso delle diverse diocesi. E lo stesso si può dire in relazione ad altre realtà carismatiche, come sono, ad esempio, altre congregazioni religiose con le quali abbiamo una stretta relazione e con le quali cooperiamo in tante parti del mondo.
f) L’accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi. Dato che il dono carismatico può avere “una certa carica di genuina novità nella vita spirituale della Chiesa, così come di peculiare efficacia, che può risultare talvolta scomoda”, un criterio di autenticità si manifesta nella “umiltà nel sopportare i contrattempi”: Per questo il diritto proprio con ferma e amorosa paternità ci esorta a “seguire Cristo sempre. E anche se per caso quelli che si comportano come avversari sembrassero essere la maggioranza dovremmo dire: ‘siamo circondati da tutte le parti, non lasciamoli scappare’. Che ‘all’anima che contempla Dio ogni creatura appare piccola’”. In effetti, affermiamo che “la grazia più grande che Dio possa concedere alla nostra minuscola famiglia religiosa è la persecuzione” e ci si insegna a dire: “Viva sempre Gesù Cristo che ci da la forza di sopportare tutte le prove per amor suo. [Convinti che] le opere di Dio si sono viste sempre combattute per maggior splendore della divina magnificenza”. Perciò in qualunque momento siamo invitati ad accogliere il momento della prova come occasione di purificazione e pratica dell’annullamento, entrambi elementi necessari nella radicale sequela di Cristo, insito nella nostra spiritualità. E di più, considereremmo un grandissimo favore del cielo sigillare la nostra consegna al Signore con il martirio.
g) La presenza di frutti spirituali come la carità, l’allegria, l’umanità e la pace (cfr. Gal 5, 22); il “vivere con ancor più intensità la vita della Chiesa”, uno zelo più intenso per “ascoltare e meditare la Parola”; “il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; lo stimolo affinché fioriscano vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale e alla vita consacrata”: Per questo il diritto proprio ci comanda di “conservare, coltivare e chiedere a Dio il fervore spirituale, la gioia di evangelizzare, anche quando dobbiamo seminare fra le lacrime e farlo con un impeto interiore che niente e nessuno sia capace di estinguere, e proviamo in ciò la maggiore allegria delle nostre vite donate”. Allora, consideriamo come nostro dovere il “manifestare con le opere che abbiamo Dio nel cuore, perché per i frutti si conosce l’albero, e la fede senza opere è morta”. Coscienti che l’apostolato è una realtà soprannaturale e tenendo sempre presente ciò che lo stesso Verbo Incarnato ci insegnò: senza di me non potete far nulla, ci dedichiamo “con grande fedeltà alla preghiera liturgica e personale, ai tempi dedicati all’orazione mentale e alla contemplazione, all’adorazione eucaristica”. Consideriamo inoltre “come elemento integrante della nostra spiritualità il chiamare, insegnare, dirigere, accompagnare e selezionare le vocazioni presbiterali, diaconali, religiose, missionarie e secolari” e la preghiera “centro della nostra pastorale vocazionale”. E lo stesso si può dire della nostra pastorale familiare, che il Signore ha benedetto in tante parti del mondo, fino al punto che un eminente Cardinale diceva che secondo lui uno dei grandi segreti della nostra Famiglia Religiosa è precisamente la famiglia, l’attenzione alle famiglie. Durante questi 34 anni chi potrebbe contare gli innumerevoli frutti spirituali che Dio nella sua misericordiosa Provvidenza ha benedetto gli sforzi dei nostri missionari!
h) La dimensione sociale dell’evangelizzazione. Si deve anche riconoscere che, grazie all’impulso della carità, “il kerygma ha un contenuto inevitabilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo si trova la vita comunitaria e la collaborazione con gli latri”. […] È significativo, in tal senso, “spronare a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale, e creare e animare opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica che porta a sviluppare una generosa carità verso tutti”. È evidente nel diritto proprio che, dato che “il nostro Istituto desidera seguire le orme del Verbo Incarnato, che venendo a redimerci dal peccato, compatì anche le ferite che questo ha causato in noi, dato che passò per questo mondo sanando gli uomini dalle loro miserie fisiche e spirituali, volgiamo praticare anche le opere di misericordia corporali e spirituali” ed esse sono in assoluta sintonia con il fine specifico del nostro Istituto. È opportuno porre l’accento sul fatto che non si tratta di dare soluzioni tecniche al problema del sottosviluppo in quanto tale, ma evangelizzare promuovendo lo sviluppo delle persone, e non in qualsiasi modo ma attraverso l’educazione delle coscienze. Cerchiamo, in altre parole, di “diffondere la dottrina sociale della Chiesa mediante conferenze, corsi, studio sistematico nelle nostre comunità e specialmente nelle case di formazione”.
*****
Fino a qui, i criteri di discernimento per riconoscere l’autentica ecclesialità dei doni carismatici; che parlano tutti delle “grazie alle quali dobbiamo essere fedeli”, come sottolineavano in modo pertinente i Padri Capitolari nell’ultimo Capitolo Generale. Si deve dire, che tutti questi criteri hanno le loro corrispondenze negli elementi non negoziabili aggiunti al carisma.
Carissimi, questo è l’importante: Rendiamoci sempre conto che siamo depositari di una magnifica eredità! Allora, conserviamo sempre lo spirito dell’Istituto che ci ha visti nascere alla vita religiosa! Manteniamolo integro e ardente in noi, che metta radici ancor più in ognuna delle nostre missioni, in tutte le imprese missionarie dell’Istituto, spargendo il suo balsamo prezioso su tutte le anime che entreranno in contatto con noi e che continui sempre ad albergare nei nostri cuori l’entusiasmo di trasmetterlo nella sua integrità e completa genuinità –come “una tradizione viva”– alle generazioni venture.
Noi dobbiamo essere trapassati dal sublime ideale che racchiude il nostro carisma: quello di “conquistare per Gesù Cristo tutto ciò che è autenticamente umano” ed essere disposti a salvaguardarlo e renderlo fecondo mettendo tutta la nostra persona al suo servizio, per diffonderlo con coraggio nelle circostanze concrete del presente, alla luce dei ‘segni dei tempi’ e delle direttive della Chiesa, per santificarci e aggiungere il nostro granellino di sabbia alla causa dell’evangelizzazione e per la gloria di Dio.
Andiamo sempre avanti, mantenendo lo spirito vivo e fervoroso, nonostante le avversità e le tentazioni, ricordando sempre ciò che ci insegna lo stesso diritto proprio: “Non vi è altra scuola che la Croce, nella quale Gesù Cristo insegna ai suoi discepoli come devono essere: […] La Croce è l’unico cammino della vita, il segno dei predestinati, lo scettro del regno di santità, ‘… è la fonte di ogni benedizione, l’origine di ogni grazia; per Essa, i credenti ricevono, dalla debolezza, la forza, dall’obbrobrio, la gloria, e, dalla morte, la vita’” . Il “cammino segnato dalla croce è il cammino che conduce al cielo”.
La nostra piccola Famiglia Religiosa –dobbiamo ammettere con ogni umiltà e gratitudine– è anche “segno eloquente di partecipazione alla multiforme ricchezza di Cristo” e “contribuisce a rivelare la ricca natura e il polivalente dinamismo del Verbo di Dio incarnato”.
Pertanto, di fronte a tutti i ‘profeti’ che profetizzano menzogne, e presentano come profezie gli inganni del loro cuore noi dobbiamo sempre tener presente che se esistiamo come Famiglia Religiosa, è per pura misericordia di Dio che ha voluto così. Ciò che è di Dio non può essere distrutto nemmeno da tutte le congiure umane, né da tutte le confabulazioni dei potenti, né per noi stessi. E crediamo con convinzione crescente e “fermezza infrangibile che anche gli eventi più avversi e opposti al nostro sguardo naturale, sono ordinati da Dio al nostro bene, anche se non comprendiamo i suoi disegni e ignoriamo il termine al quale ci vuole condurre”. Per il resto, da parte nostra, sforziamoci notevolmente di essere adatti per il Maestro.
Sta a noi e alla nostra fedeltà e coerenza che questo dono resti vivo. Se siamo fedeli alle grazie ricevute, i doni di Dio sono irrevocabili, e così, accada quel che accada, il dono di Dio resterà e crescerà sempre nelle nostre anime e in quelle che noi formeremo. Per tutto ciò, rimaniamo sempre saldamente uniti e pienamente “coerenti con il carisma” del nostro caro Istituto. La ragione è molto semplice e la enuncia meravigliosamente il nostro diritto proprio, cioè, che “poco o niente ci interessa espanderci i molti paesi o avere molti membri, se perdiamo lo spirito. Solo alla Chiesa Cattolica, nella persona di Pietro e dei successori è promessa l’infallibilità e l’indefettibilità. Non perderemo lo spirito fintanto che le saremo fedeli” e si conservi integro il patrimonio dell’istituto. Questo è anche il servizio particolare che la Chiesa ci chiede si aspetta da noi. E se lo spirito della nostra Famiglia Religiosa degenerasse in altro, noi stessi dobbiamo supplicare che il Signore la cancelli dalla faccia della terra.
Che, in nessun modo, le nostre parole o le nostre opere screditino, indeboliscano, impediscano, siano d’ostacolo o sfigurino la preziosa fisionomia del nostro Istituto nella Chiesa. Lo ricordavano già i Padri Capitolari nel 2016 citando il documento Mutuae Relationes: “è necessario che […] l’identità di ogni Istituto sia assicurata in maniera tale che si possa evitare il pericolo dell’imprecisione con la quale i religiosi, senza tenere sufficientemente conto del modo di agire proprio della sua indole, ‘inseriscano nella vita della Chiesa in maniera vaga e ambigua”.
In effetti, a volte, si può diffondere un pregiudizio secondo il quale si dovrebbero eliminare le ‘differenze’ che caratterizzano e distinguono fra sé gli istituti religiosi. “Ogni Istituto” –diceva San Giovanni Paolo II– “deve preoccuparsi di mantenere la sua propria fisionomia, il carattere specifico della sua propria ragione d’essere, che ha esercitato un’attrattiva, che ha suscitato vocazioni, atteggiamenti particolari, dando una testimonianza pubblica degna di apprezzamento. È ingenuo e presuntuoso credere, in fin dei conti, che ogni Istituto dev’essere uguale a tutti gli altri praticando un amore generale a Dio e al prossimo. Chi pensasse così, dimenticherebbe un aspetto essenziale del Corpo Mistico: l’eterogeneità della sua costituzione, il pluralismo di modelli nei quali si manifesta la vitalità dello spirito che lo anima, la trascendente perfezione umana e divina di Cristo, il suo Capo, che solo può essere imitato secondo gli innumerevoli ricorsi dell’anima animata dalla grazia”.
Piuttosto, in noi e nel nostro modo di agire, gli altri dovrebbero riconoscere il segno inconfondibile di testimoni credibili del Verbo Incarnato.
Credo che noi dovremmo vivere stimolati interiormente e aspirando a poter fare nostre le parole sapienziali che San Luigi Orione dirigeva ai suoi: “Colui che non ha questa forte volontà [di essere fedele al carisma] …, se ne vada: possiamo essere buoni amici, ma non c’è motivo di essere molti. Pochi! Pochi! Perché non si dica: Avete moltiplicato le genti e non avete aumentato la gioia.
[…] La nostra non dev’essere una congregazione di smidollati, o peggio ancora, d effeminati; dev’essere una congregazione virile e forte, non invertebrata; a tal punto che, se un giorno si scatenasse una persecuzione […], una persecuzione cruenta, la nostra Congregazione dovrebbe cadere interamente, come la legione tebea, e morire martire. È così che si moltiplica il seme dei cristiani: sanguis martyrum semen est christianorum. Esattamente così!
La Nostra Congregazione dev’essere preparata alle prove più dure; in difesa della fede e della Chiesa del Papa, e anche della Patria […] Però se non ci formiamo, se Gesù Cristo non sta con noi, se il nostro petto non è infiammato di amore di Dio, mai saremo pronti per una grande impresa”.
2. Formazione
Perciò, parlando della formazione dei nostri membri le Costituzioni dicono: “Bisogna inculcare, inoltre, di vivere il carisma proprio dell’Istituto”.
Diceva San Giovanni Paolo II: “La formazione richiede tempi adeguati, un programma organico, completo, esigente, stimolante, aperto e chiaramente ispirato nella norma delle norme della vita religiosa: la sequela di Cristo, e nel carisma del fondatore”. Questo “è un tema di decisiva importanza”, evidenzia il diritto proprio. “Per questa ragione, già dal noviziato siamo formati in modo graduale ‘perché viviamo la vita di perfezione propria dell’Istituto’ e istruiti ‘sul carattere, spirito, finalità, disciplina, storia e vita dell’Istituto’”. Giacché, “la lettera delle nostre Costituzioni sarà lettera morta se non si è in grado di formare giovani di grande spirito, che sappiano trasmettere alle nuove generazioni della nostra Famiglia Religiosa il carisma che lo Spirito Santo ci ha concesso”.
A tale motivo sono costanti e molto vivi gli sforzi che si fanno–e che si devono continuare a fare– per assicurare dalla formazione intellettuale, “certi contenuti, soprattutto quelli che hanno relazione diretta con gli elementi propri del nostro carisma, gli elementi non negoziabili, le sane tradizioni”. Anche per avere un corpo di formatori che trasmettano “la maniera propria di vivere la vita religiosa, l’osservanza, i voti, il carisma e che siano esperti in tutto quello che si riferisce al patrimonio spirituale dell’istituto”. Anche cercare di mantenere una formazione permanente per tutti i nostri membri al fine di essere capaci di “integrare la creatività nella fedeltà” alla grazia del carisma, formazione che approfondisce la sua conoscenza e quella del diritto proprio e dei documenti ufficiali ed altri scritti. E ogni altra iniziativa che si porta avanti per coltivare la propria spiritualità. Parte integrante di questa formazione secondo il carisma dell’Istituto è anche l’invio–con un sacrificio non irrilevante– di vari dei nostri a realizzare studi superiori sia a Roma o in altri paesi.
Anche, vorrei sottolineare che, anche se è compito principale del superiore essere “maestro spirituale in relazione al carisma e alla spiritualità proprie” ognuno di noi –monaco, novizio, seminarista, fratello o sacerdote– deve fare audaci sforzi per formarsi, nutrirsi, e “compenetrarsi nel carisma e finalità dell’Istituto”, non solo per le ragioni menzionate nel primo punto della nostra lettera, ma anche per saper discernere e “scoprire che cosa [Dio] chiede concretamente a noi come membri dell’Istituto”. Ricordiamo sempre che la “retta interpretazione del carisma […] mai deve abbandonare gli elementi essenziali”, ma, al contrario, li deve salvaguardare.
Dobbiamo essere coscienti che la fedeltà al proprio carisma ha bisogno di essere approfondita nella conoscenza, ogni giorno più ampia, della storia dell’Istituto, della sua missione peculiare e del suo spirito, sforzandoci allo stesso tempo di incarnarlo nella vita personale e comunitaria. Ognuno di noi deve –per dirlo in qualche modo– “mettersi la camicia” del Verbo Incarnato, cioè, difendere i nostri ideali senza risparmiarsi nulla, e lanciarsi con coraggio a ricapitolare tutte le cose in Cristo, vivendo il carisma con autenticità nella diversità delle culture e delle situazioni geografiche, lottare per i suoi ideali e difenderlo con virilità. Solo così saremo “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù, il Verbo fatto carne” tale quale ci viene richiesto.
3. Fecondità
“Amino l’Istituto vivendo il carisma proprio”, ci dice il diritto proprio. E come “l’amore si deve mettere di più nelle opere che non nelle parole” dobbiamo far fruttificare con creatività d’iniziative pastorali il meraviglioso e polivalente carisma del nostro Istituto sempre attenti alle esigenze del momento presente e “in assoluta e illimitata comunione ecclesiale”.
“Dobbiamo essere uomini di fede intrepida che non si limitino ‘solo a difendere e salvaguardare ciò che ci è stato affidato, ma che abbiano il coraggio di commerciare con i talenti per moltiplicarli”. Questo è il sublime incarico implicito nella nostra vocazione come membri dell’Istituto per essere un’impronta concreta che la Trinità lascia nella storia e, pertanto, compete a tutti –qualunque sia l’ufficio che la Provvidenza ci ha assegnato–; perché “anche dentro la comunità, il cammino è sempre personale”.
Dobbiamo irradiare nel mondo “la gioia luminosa della scelta che abbiamo fatta” attraverso gli apostolati propri che devono sempre essere accompagnati dalla nostra testimonianza personale di religiosi. Quanto è fruttuoso e gratificante vedere che, –e l’ho constatato nelle missioni che ho potuto visitare– quando nelle nostre parrocchie e nei nostri apostolati si manifesta ciò che siamo! Quando le nostre missioni e apostolati portano per così dire “il sigillo dell’IVE”! Quando la gente dice, “questa è una parrocchia dell’IVE” o “questi sono padri dell’IVE” anche senza che nessuno lo dica loro, solo lo affermano per la testimonianza di vita che si dà, o per il “modo” di portare avanti un’opera, o per la presenza inequivocabile di ciò che chiamiamo “gli apostolati propri”! È come una legge legata alla fedeltà: le nostre case e missioni che vivono meglio il carisma sono quelle che porta maggior frutto apostolico.
Allora amiamo la nostra Congregazione, praticando con ardente zelo e generosità le virtù proprie di consacrati al Verbo Incarnato, dedicando le nostre migliori energie e tutto il nostro entusiasmo allo sviluppo ed espansione degli apostolati propri, cioè, a far sì che la carità e la verità che Cristo ci ha insegnato si facciano cultura, essendo “impazienti di predicare l Verbo in ogni forma”, praticando concretamente la carità–in maniera preferenziale con i più bisognosi– giacché la carità è imprescindibile per evangelizzare la cultura. Non dimentichiamo che “a somiglianza del Verbo Incarnato e crocefisso dobbiamo avere ‘sete di anime’”. Per questo il diritto proprio dice, citando San Luigi Orione: “Chi non vuole essere apostolo esca dalla Congregazione: oggi, chi non è apostolo di Gesù Cristo e della Chiesa è apostata”.
Dunque, non solo dobbiamo identificarci pienamente con il carisma che Dio ha voluto affidarci, ma dobbiamo anche farlo fiorire con l’aiuto di Dio e della nostra Madre Santissima. Il che richiede da parte nostra di “disporci a morire, come il chicco di grano, per vedere Cristo in tutte le cose”. Perché “come per la Croce di Gesù, fu redento il mondo, così anche avviene per mezzo della croce del missionario, che tale Redenzione è applicata alle anime”.
Il nostro dev’essere l’impegno solenne e reale di darci senza riserve per servire Cristo, lavorando con tutte le nostre forze per prolungare l’Incarnazione in ogni realtà, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse. Come membri dell’Istituto del Verbo Incarnato questa è la “servitù nobile e bellissima” alla quale Dio ha avuto piacere di chiamarci e che dobbiamo preferire a “tutti gli altri impieghi ai quali avremmo potuto dedicarci nella sua Chiesa”.
L’immensa ricchezza e l’attualità del nostro carisma ancorato fermamente nel sacrosanto ministero dell’Incarnazione ci deve spingere a farlo fruttificare.
Infine, carissimi, e per concludere, rileggiamo un’altra volta l’esortazione paterna che il diritto proprio ci rivolge, citando nuovamente San Luigi Orione: “Amate la vostra congregazione nella sua santa finalità!… amatela perché è vostra Madre! Datele grandi consolazioni, onoratela con la vostra vita da buoni e santi religiosi; di suoi veri e santi figli”.
Siamo inesorabilmente fedeli, e non avremo nulla da temere per noi e per le nostre opere.
Maria Santissima, la Vergine Fedele, ci conceda di restare fedeli al carisma ricevuto “senza cadere per raggiri o minacce e mantenendoci al di sopra delle oscillazioni di successo e fallimento, avendo l’anima disposta a ricevere la morte, se fosse necessario, per il bene dell’Istituto al servizio di Gesù Cristo”.
Consolati e grati per essere stati scelti come eredi di un dono tanto prezioso dedichiamoci allegri e fiduciosi “all’opera più divina fra le divine che è l’eterna salvezza delle anime”.
Felicissimo giorno della Presentazione del Signore! Felicissimo giorno del religioso del Verbo Incarnato!
Un grande abbraccio.
P. Gustavo Nieto, IVE
Superiore Generale