"Non abbiate paura!"

"Non abbiate paura!"

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi:

Durante il mese di ottobre che oggi iniziamo emerge insigne la celebrazione della santa memoria del nostro caro San Giovanni Paolo II, il papa Magno, il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa (colui che ci ispirò, ci guidò, ci accompagnò, ci difese e ci protesse sempre).

Ciascuno dei membri dell’Istituto ha l’orgoglio di riconoscerlo come “Padre” della nostra Famiglia Religiosa non solo per il vincolo di profondo affetto che ci unisce a lui, ma anche per la relazione del tutto speciale che nel corso della storia -e per disegno misericordioso della Divina Provvidenza- ha unito indefettibilmente i nostri Istituti alla sua persona, come Vicario di Cristo, e al suo magistero.

Una dimostrazione di questo è il fatto che il diritto proprio è pieno di citazioni provenienti dall’abbondantissimo magistero Petrino del Papa polacco (in effetti, ci sono più di 1000 citazioni esplicite di San Giovanni Paolo II nelle Costituzioni e nei Direttori). E lo stesso diritto proprio nel Direttorio di Vocazioni dichiara fermamente e chiaramente che lo “consideriamo come il Padre della nostra Congregazione, giacché il suo splendido Magistero fu sempre per noi una fonte feconda alla quale saziamo la nostra sete di fedeltà al Signore”[1].

Oltre a ciò, il nostro caro Istituto nacque sotto il suo pontificato. E lungo i 21 anni che visse sotto il suo pontificato, l’Istituto sperimentò la sollecitudine paterna con la quale ci ha protetti davanti alle diverse minacce e ai pericoli ai quali si vide oggetto mentre stava appena iniziando a svilupparsi. Per questo possiamo veramente dire che San Giovanni Paolo II ci generò con i suoi scritti e il suo magistero, e con enormi sforzi si prese cura di noi come il Buon Pastore che pasce le sue pecore con giustizia[2], infondendoci sempre coraggio per andare avanti e vivere nella speranza, “senza lasciarci vincere dallo sconforto, dalla stanchezza, dalle critiche. Il Signore è in voi, poiché vi scelse come suoi strumenti affinché, in tutti i campi dell’apostolato, diate molto frutto e il vostro frutto rimanga”[3].

Così, quindi, la storia del nostro Istituto è cosparsa di incontri incoraggianti con il Santo Pontefice e si compiace di contare con numerosi interventi nei quali egli non solo dimostrò la sua approvazione, ma anche il suo desiderio che “questo Istituto vada avanti[4].

Risplenderanno sempre con una luce di pace sulle nostre anime, quelle parole che Sua Santità disse ad alcuni di noi dopo la Messa privata con lui[5], dopo aver conversato con loro riguardo l’Istituto in una sala contigua, nel salutarli affermò: “Quello che fate ci dà più speranza[6].

Sono già passati vari anni da quei confortanti incontri con l’allora San Giovanni Paolo II. La nostra piccola Famiglia Religiosa ha passato periodi non privi di tensioni e prove, ma non possiamo negare che sono stati tempi di grandi conquiste, di fioritura in vocazioni, di espansione missionaria, di consolidamento nel carisma e di approfondimento nella nostra spiritualità.

Non ignoriamo, tuttavia, che i tempi attuali hanno portato con sé le loro avversità e difficoltà. Ma queste prove non ci devono portare allo scoraggiamento. Poichè, come diceva lo stesso Giovanni Paolo Magno: “Occorre piuttosto impegnarsi con nuovo slancio, perché la Chiesa ha bisogno dell’apporto spirituale e apostolico di una vita consacrata rinnovata e rinvigorita”[7].

Così, la presente lettera è scritta con lo stesso spirito che animava la lettera diretta dal Concilio di Gerusalemme ai cristiani di Antiochia, con la speranza che si ripeta anche oggi la stessa esperienza vissuta allora: Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva[8].

Che queste povere parole siano anche un sentito omaggio e ringraziamento perenne a chi ci insegnò ad essere testimoni della speranza che non delude[9], anche quando “sembra togliere ogni speranza”[10].

 

  1. La speranza cristiana

Il nostro caro San Giovanni Paolo II una volta diceva, parlando ai sacerdoti e ai religiosi: “La speranza per i cristiani, e molto più per i consacrati, non è un lusso, è un dovere. Sperare non è sognare; al contrario, è lasciarsi afferrare da colui che può trasformare il sogno in realtà”[11].

Di fatto, per la professione religiosa siamo chiamati a dare prova della trascendente speranza cristiana contenuta nella nostra stessa consacrazione. Non diciamo forse nella nostra formula di professione: “casto, per il Regno dei Cieli, povero, manifestando che Dio è l’unica ricchezza vera dell’uomo, e obbediente, fino alla morte di croce per seguire più intimamente il Verbo Incarnato”[12] volendo con ciò esprimere che il nostro sguardo è rivolto a quel tesoro del cielo che né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano[13]?

Per questo -come dicono le nostre Costituzioni- ciò che è proprio di ogni membro dell’Istituto è “vivere intensamente le virtù della trascendenza”[14] tra le quali si trova la virtù teologale della speranza. Poiché è essa che ci permette di “restare come pellegrini attraverso le cose che si corrompono, nell’attesa della incorruttibilità dei cieli”[15]; facendo del nostro pellegrinaggio in questa valle di lacrime -che così spesso in molti esclude qualsiasi dimensione trascendente- un annuncio incessante del Regno che si sta realizzando, poiché Colui che ha vinto il mondo l’ha promesso.

Ci siamo consacrati come religiosi all’ombra di questo Istituto e nel seno della nostra Madre Chiesa “per realizzare con maggiore perfezione il servizio di Dio e degli uomini”[16]. Perfezione che consiste essenzialmente nella carità[17], ma che implica anche, come sapientemente insegnava il Pontefice polacco: “una consapevole tendenza alla perfezione della fede […] né potrà mancare una consapevole tendenza alla perfezione della speranza. La richiesta di Cristo si situa nella prospettiva della vita eterna”[18].

Pertanto, noi religiosi, siamo invitati “ad una solida e ferma speranza sia nell’ora della professione, sia in tutto il seguito della vita. Ciò vi consentirà”[19], segnalava il nostro Padre Spirituale, “di testimoniare, in mezzo ai beni relativi e caduchi di questo mondo, il valore imperituro dei beni del Cielo”[20].

San Giovanni Paolo II fu senza dubbio un testimone della speranza. Le sue parole, le sue opere, i suoi gesti, la sua preghiera raccolta nel silenzio, le sue preoccupazioni, i suoi numerosi scritti e i suoi molti insegnamenti gli guadagnarono il titolo di “Papa della speranza”[21]. Tanto che la sua persona è ricordata da molti “come una vera incarnazione di fede e speranza”[22]; e il suo ministero petrino come quello che ha dato alla nostra epoca motivi di speranza[23] e restituì al cristianesimo la fisionomia autentica della speranza[24].

Come intendeva San Giovanni Paolo II la speranza cristiana?

Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica scritto e pubblicato durante il suo pontificato, egli una volta affermò: “E’ quella virtù ‘per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo ed appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo’[25][26].

Intesa così, è la speranza ciò che “spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera sua esistenza e, dall’altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio”[27].

Per questo con insistenza il Santo Padre enfatizzava l’importanza di questa virtù alla quale “va prestata una particolare attenzione, specialmente nel nostro tempo, nel quale molti uomini –eppure non pochi cristiani– si dibattono tra l’illusione e il mito di una infinita capacità di auto-redenzione e realizzazione di sé, e la tentazione del pessimismo nell’esperienza delle frequenti delusioni e sconfitte”[28].

Tanto ieri, come oggi, “molti pericoli sembrano incombere sul futuro dell’umanità e tante incertezze gravano sui destini personali, e non di rado ci si sente incapaci di fronteggiarli. Anche la crisi del senso dell’esistere e l’enigma del dolore e della morte tornano con insistenza a bussare alla porta del cuore dei nostri contemporanei”[29].

Però di fronte a questo “ambiente” deprimente e avverso ci si presenta il Verbo Incarnato che “è veramente il Dio della speranza”[30]. É Lui che “illumina questo orizzonte denso di incertezza e di pessimismo […] Egli stesso è, nella sua persona e nella sua opera di salvezza, la nostra speranza[31], poiché annuncia e attua il Regno di Dio”[32]. “Egli stesso, perciò, è la sorgente infinita della vostra sicurezza e della speranza che vi sostiene in ogni sfida e in tutte le circostanze”[33], affermava San Giovanni Paolo II.

Per questo motivo, con instancabile insistenza, il Papa Magno ci esortava a mettere in Cristo tutta la nostra speranza: “Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione”[34].

Quindi, se vogliamo essere coerenti con la nostra confessione della divinità di Gesù Cristo, la nostra speranza deve essere immutabile[35]. Poiché Cristo “costruì il Regno su delle basi solide ed indistruttibili. Su questa solidità deve fondarsi la nostra spiritualità che deve fortificarsi con le prove, raffinarsi con le tribolazioni, perfezionarsi con le persecuzioni, essere inalterabile davanti alle furie dell’inferno scatenate, anche nel caso in cui ci toccasse di vivere nei tempi dell’Anticristo… seguiamo colui che oggi come ieri possiede ogni potere, pertanto non c’è spazio per nessun tipo di paura e nulla ci può muovere a rinunciare alla verità rivelata e all’amore di Cristo[36].

In questo senso, sembra importante ricordare quelle parole del diritto proprio che ci avvertono: “non fatevi prendere da un atteggiamento depressivo di vedere di più il male che il bene… date il posto giusto nella vostra anima ad ogni cosa, senza disprezzarla, né minimizzarla, ma con una gerarchia e un ordine”[37]. E senza perdere di vista il carattere eminentemente soprannaturale della vita cristiana[38] “prestate attenzione ai ‘segni di speranza presenti… nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi’[39][40]. Poiché sebbene è certo che “il nostro secolo è segnato da gravissimi crimini contro l’uomo e oscurato da ideologie che non hanno favorito l’incontro liberante con la verità di Gesù Cristo né l’integrale promozione dell’uomo” non è meno certo “che lo Spirito di Dio, che riempie l’universo[41] non ha cessato di gettare a piene mani semi di verità, d’amore e di vita nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questi semi hanno prodotto frutti di progresso, di umanizzazione e di civiltà, che costituiscono autentici segni di speranza per l’umanità in cammino”[42].

Con questa stessa visione soprannaturale dobbiamo saper vedere tutti gli avvenimenti della nostra vita individualmente parlando, e del nostro Istituto come un tutto, e anche la situazione stessa della Chiesa nel mondo. “Abbiate fiducia nella Chiesa, perché questo significa aver fiducia in Cristo morto e risorto che ha promesso alla Chiesa l’indefettibilità temporale e l’infallibilità dottrinale; significa aver fiducia nello Spirito Santo, presente per illuminare le menti e santificare le anime mediante la “grazia”, che agisce nel segreto delle coscienze […]  Sappiate guardare con occhio di ottimismo e di speranza alle realtà consolanti che anche oggi esistono nella Chiesa e nella società: esse sono grandi e abbondanti, e dimostrano che alla fine vince l’amore, e cioè vince Dio”[43]. Per questo oggi non basta risvegliare la speranza nell’interiorità delle nostre anime; occorre varcare insieme la soglia della speranza[44].

A questo ci invitava il Santo Padre indicando che “la speranza ha essenzialmente anche una dimensione comunitaria e sociale, sicché ciò che l’Apostolo dice in senso proprio e diretto per la Chiesa, può essere in senso largo applicato alla vocazione dell’intera umanità: Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati[45]. Analogamente questa affermazione si applica anche all’Istituto come ad un solo corpo. Il che ci porta al secondo punto di questa lettera.

 

  1. Scegliere la speranza

“Scegliere la speranza e il futuro significa, in ultima analisi, scegliere Dio, futuro della storia e dell’universo, presenti alla sua eternità e guidati dalla sua Provvidenza. Significa scegliere Cristo, speranza di ogni uomo”[46].

L’aver abbracciato la nostra vocazione religiosa in questo amato Istituto non è altro che aver scelto liberamente di consacrare tutta la nostra esistenza al Verbo Incarnato. Poiché, per dirlo in qualche modo, un giorno abbiamo scelto di mettere tutte le nostre ricchezze sulla bilancia del mondo per fare che essa si inclini felicemente verso Dio. La nostra decisione è stata decisiva; apparteniamo a Lui. Abbiamo scelto di donarci a Dio “per unirci a Lui in speranza perfetta e mistica”[47] e sapendo “che ciò che di meglio esiste in terra, messo a confronto con i beni eterni, per i quali siamo stati creati, è brutto e amaro”[48], abbiamo rinunciato a tutto: “ogni possesso, infatti, è contro la speranza, la quale, come dice San Paolo[49], è di ciò che non si possiede”[50].

Abbiamo scelto la generosità e la donazione contro l’avarizia ed il calcolo; abbiamo scelto di fidarci dell’amore e della grazia sfidando quanti per questo ci considerano ingenui e addirittura inutili; abbiamo posto tutta la speranza nel regno dei cieli, quando molti intorno a noi negoziano con il mondo e si affannano per assicurarsi una dimora comoda e piacevole in questa terra. Abbiamo scelto il ‘patrimonio filosofico perennemente valido’[51] contro le false dottrine insegnate da impostori pieni di ipocrisia[52] che ripetono vecchie eresie o che conducono ad esse. Abbiamo scelto la forte spiritualità cristiana che ci parla di un essere decisi ad accettare di portare la croce, privi di tutto senza volere nulla[53], contro l’evanescente spiritualità progressista che pretende un’altra religione diversa da quella fondata da Gesù Cristo e che lasciando da parte le cose del Cielo si occupa solo di quelle del secolo senza relazione a Dio[54]. Abbiamo scelto come lemma “con Pietro e sotto Pietro”[55] contro coloro che si impegnano ad allontanare le anime da quella grande corrente di vita e di comunione che è la Chiesa Cattolica, seguendo “magisteri paralleli, ecclesiasticamente inaccettabili e pastoralmente sterili”[56]. Abbiamo scelto di essere “essenzialmente missionari”[57] e di dedicare le nostre migliori energie e tutta la nostra esistenza (con tutta la nostra debolezza e povertà) ad essere artefici e segni di speranza evangelica animati dall’eloquente esortazione che ci faceva il Sucessore di Pietro: Aprite le porte a Cristo![58].

Così, quindi, facendoci eco delle parole del nostro Padre Spirituale che un giorno ci diceva: “in mezzo agli uomini di questa generazione, così immersa nel relativo, voi dovete essere voci che parlano di assoluto[59], consideriamo come il più nobile degli incarichi il dedicarci ad essere testimoni della speranza, testimoni dell’invisibile in una società secolarizzata. E per questo ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente… [60].

Perciò ci allontaneremmo gravemente dalla “somma speranza del Dio incomprensibile”[61], se nel nostro Istituto non “ci fossero progetti entusiasti per il futuro; se non ci fossero impegni per il presente esultanti di ideali; se non ci fosse la riconoscenza per i benefici del passato; se nella comunità diminuisse la generosità nel donarsi e si cadesse a poco a poco nel rilassamento del confort disordinato”[62]. Staremmo mancando contro la speranza, se nel nostro Istituto si respirasse “un clima di mormorazione, di diffidenza, di critica negativa, di passioni disordinate, di tensioni…, se non si cercasse l’unità nella verità e nella carità… se per l’albero delle difficoltà si perdesse di vista il bosco delle cose che vanno bene, se si facesse una tempesta in un bicchiere d’acqua per richiamare l’attenzione, se mancasse il dialogo e la solidarietà…”[63].

Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo![64] ci dice il Verbo Incarnato.

“Queste parole di speranza Gesù ha rivolto ai suoi apostoli la vigilia delle sua passione”, spiegava San Giovanni Paolo II, “queste parole ripete oggi a voi, sacerdoti, religiosi e religiose, anime consacrate… Abbiate fiducia! ci ripete Gesù, io ho vinto il mondo[65]. E questa è l’idea fissa che dobbiamo sempre custodire nel fondo dell’anima e che deve sorgere nella nostra mente per decidere e agire con coraggio. Poiché solo la speranza in Cristo ci può dare questa solida motivazione di cui abbiamo bisogno per innalzare con fermezza lo stendardo della croce, anche se dovessimo “soffrire le debolezze di tanti, senza venir meno per le lusinghe o le minacce e mantenendosi al di sopra dei via-vai della fortuna o dell’insuccesso, avendo l’anima disposta a ricevere la morte, se fosse necessario, per il bene dell’Istituto al servizio di Gesù Cristo”[66].

É certo che questi tempi non sono facili in molti aspetti che non è il caso descrivere nei dettagli. Tuttavia, “a ciascuno di voi”, dice Giovanni Paolo Magno, “voglio oggi rivolgere innanzitutto un invito alla fiducia… A voi, ora, tocca essere coerenti, nonostante ogni difficoltà. Il destino spirituale di tante anime è legato alla vostra fede e alla vostra coerenza[67].

La fiducia filiale che dobbiamo a Nostro Signore è indelebilmente unita alla virtù della speranza. Poichè l’avere speranza è avere “fiducia nel futuro, una fiducia non basata solo su idee o previsioni umane, bensì su Dio, il ‘Dio vivente’”[68].

 

Nell’anno 1988 San Giovanni Paolo II diresse un messaggio ai sacerdoti e ai religiosi a Reggio Emilia, Italia. Lì il Santo Padre pronunciò -a nostro modo di vedere- alcune delle sue pagine più paternamente confortanti e piene di speranza per i religiosi, e che qui trascriviamo quasi nella loro totalità con la speranza che siano lette, meditandole come particolarmente dirette ad ognuno dei membri dell’Istituto e alla nostra Famiglia Religiosa come un tutto. Dice così[69]:

“Se Gesù vi chiede fiducia è perché Egli per primo vi ha dato fiducia. Vi ha dato fiducia quando, con un gesto di amore assolutamente gratuito, vi ha chiamati a seguirlo più da vicino, a “lasciare casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa sua e a causa del Vangelo[70]. Vi ha dato fiducia quando, con una particolare effusione dello Spirito, vi ha consacrati e, nella diversità dei doni e dei ministeri, vi ha costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga[71]. Vi ha dato fiducia quando vi ha scelti e vi ha mandati, proprio voi, perché foste in questa terra […] annunciatori del suo Regno, testimoni della sua risurrezione, segno profetico di quei nuovi cieli e terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia[72].

La vostra missione, come la missione di tutta la Chiesa […] non è facile. Ci troviamo davanti a situazioni nuove che, se da una parte aprono promettenti e insperate possibilità all’annuncio del Vangelo, dall’altra sembrano far perdere agli uomini la fiducia in tutto quello che di cristiano, anzi di umano, c’è nel mondo. Ma non dobbiamo temere. La missione è scaturita dalla Pasqua di Gesù; ed è la missione stessa che il Padre ha affidato a Cristo e che Cristo, prima di salire al cielo, ha trasmesso alla sua Chiesa. Missione di salvezza, che deriva la sua forza dalla presenza di Cristo e dalla potenza dello Spirito.

Gesù non ha nascosto ai suoi apostoli le difficoltà della missione: il rifiuto, l’ostilità, le persecuzioni che avrebbero incontrato. Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi[73]. E non c’è solo la persecuzione aperta che ha fatto e continua a fare i martiri; c’è una insidia più subdola e, per questo, forse più pericolosa […] È quella che non vuole fare dei martiri ma degli uomini “liberi”, liberi, – si intende – da ogni religione e da ogni morale; che non soffoca l’idea di Dio nel sangue ma nell’accumulo dei beni di consumo e nell’appagamento degli istinti naturali; che non combatte l’idea cristiana ma la ignora, relegandola fra i miti del passato. Proprio perché prevedeva tutto questo, prima di affidare la sua missione alla Chiesa, Gesù ci ha dato la consolante assicurazione: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo[74].

Ecco la certezza che guida e sostiene la missione della Chiesa; ecco la certezza che deve guidare e sostenere la vostra missione: la certezza che, in Gesù Cristo, Dio è con noi; ieri come oggi; oggi come domani, fino alla fine del mondo. E se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?[75].

Questo elenco di ostacoli, sia pure con connotazioni diverse, è attuale anche per noi. Anche noi conosciamo la tribolazione che deriva dall’essere rimasti pochi e oberati di lavoro; conosciamo l’angoscia per tanti nostri fratelli che hanno abbandonato la fede; conosciamo la persecuzione, di oggi, come ho detto sopra; conosciamo la fame […], non più la fame di pane ma la fame di anime generose che ci seguano; conosciamo la nudità, il vuoto di tante nostre case e di tante nostre iniziative; conosciamo il pericolo, soprattutto quello dell’infedeltà in un mondo che per principio rifiuta l’impegno stabile; conosciamo la spada, la cultura di morte che sembra avere invaso gli apparati della società umana, mettendo a repentaglio la vita degli altri per motivi di lucro o di ideologia, fino a distruggere la vita nel seno materno.

E allora? La risposta di Paolo è precisa e decisa: Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati[76]. Proprio perché ci ha amati e ci ama, egli è con noi. E, la sua, è una presenza pasquale, che non è solo aiuto e conforto ma dà un senso nuovo, diverso, inaspettato alle difficoltà, alle tribolazioni, alle ostilità, agli apparenti insuccessi. Quello che poteva sembrare ostacolo alla missione diventa, alla luce della fede, il segreto della sua fecondità. La presenza di Cristo pasquale ci dà la certezza che, quando sembriamo sconfitti, proprio allora siamo vincitori, anzi “più che vincitori”. È la logica sconvolgente scaturita dalla croce. Sul piano umano la croce di Gesù è un vistoso fallimento; ma proprio da esso è derivata quella novità esplosiva, che ha cambiato il volto della vita e della storia umana.

Gesù lo aveva preannunciato: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto[77]. È nella prospettiva di questa parabola che Paolo poteva esclamare: Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte[78] [79].

Ecco il segreto della nostra fiducia: quando siamo deboli, è allora che siamo forti; e più siamo deboli, più siamo forti, perché più lasciamo trasparire la presenza e la potenza del Cristo pasquale. E con questo paradosso la Chiesa cammina già da duemila anni e camminerà . . . Con nient’altro, con questo paradosso.

Nell’affidare alla Chiesa la sua missione, Gesù non ci ha solo garantito la sua presenza fino alla fine del mondo, ci ha promesso e trasmesso la potenza del suo Spirito. […] Da allora lo Spirito è all’opera nella vita e nella storia dell’umanità […] È all’opera nel mondo […] È all’opera nella Chiesa […] È all’opera nelle vostre comunità, anche se piccole e povere, perché, proprio perché piccole e povere, sono ricche di fede e grandi nella carità.

Lo Spirito di Dio è lo Spirito della vita, capace di fare esplodere la vita anche là dove tutto sembrava morto e inaridito[80]. Ecco perché possiamo e dobbiamo avere fiducia. Non solo possiamo, ma dobbiamo […].

Ma la speranza, per non venir meno, ha bisogno di essere alimentata da una intensa vita di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di contemplazione. La crescita del lavoro nella vigna del Signore, proprio mentre si va assottigliando il numero degli operai, può farci dimenticare che siamo stati chiamati prima di tutto per stare con il Signore, ascoltare la sua Parola, contemplare il suo volto. La dimensione contemplativa è inscindibile dalla missione, perché, secondo la celebre definizione di san Tommaso ripresa anche dal Concilio, la missione è essenzialmente contemplata aliis tradere[81], trasmettere agli altri ciò che prima noi abbiamo a lungo contemplato.

 

Di qui l’esigenza di lunghi spazi di preghiera, di concentrazione, di adorazione; l’esigenza di una lettura assidua e meditata della Parola di Dio; l’esigenza di un ritmo contemplativo, quindi calmo e disteso, nella celebrazione dell’Eucaristia e della liturgia delle ore; l’esigenza del silenzio come condizione indispensabile per realizzare una profonda comunione con Dio e fare di tutta la nostra vita una preghiera. Come consacrati non dobbiamo solo pregare, dobbiamo essere una preghiera vivente. Si potrebbe dire anche, dobbiamo pregare apparentemente non pregando. Dobbiamo pregare apparentemente non avendo tempo per pregare, ma dobbiamo pregare. Un altro paradosso. Umanamente questa è una cosa impossibile: come pregare non pregando? Ma se san Paolo ci dice che lo Spirito Santo prega in voi, allora la cosa diventa un po’ diversa…”. Fin qui la citazione di San Giovanni Paolo II[82].

“La speranza ci sostiene e protegge nel buon combattimento della fede [83] e si alimenta nella preghiera, in modo particolarissimo nel Padre nostro, ‘sintesi di tutto ciò che la speranza ci fa desiderare’[84][85].

“Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo”[86]. È “la familiarità con il Verbo Incarnato”[87] ciò che ci infonde questa grande speranza che non si spegne nemmeno nelle notti della solitudine.

 

  1. Modello della nostra speranza

La Madre del Verbo Incarnato e la nostra Madre “come Abramo e più di Abramo, Maria ebbe fede sperando contro ogni speranza[88] e si abbandonò fiduciosamente alla parola del Dio vivo e alla potenza del suo Spirito”[89]. Per questo “di generazione in generazione [Maria] è presente in mezzo alla Chiesa pellegrina mediante la fede e quale modello della speranza che non delude”[90].

Pertanto, come membri di questo Istituto non dobbiamo cessare di raccomandarci a Lei e di chiederle “il coraggio di stare con lei presso la croce e di accettare la logica della croce; il coraggio di gridare con la forza dello Spirito: Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla, e invece possediamo tutto[91][92].

Maria è la Madre della speranza. Ed è Lei che oggi nuovamente ci ricorda quelle parole del suo Amatissimo Figlio: Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore[93] e ci invita a fare tutto quello che Lui ci dirà[94]. Lei stessa, la nostra Santissima Madre, con amore materno ci aiuta affinchè la nostra speranza cresca e si fortifichi, essendo Lei stessa “segno di speranza certa”[95].

Lei, [la Vergine Maria] non è una semplice spettatrice delle nostre lotte, ma si fa pienamente partecipe nelle nostre vite, qualsiasi siano le circostanze particolari o la complessità della realtà; l’ampiezza della sua amorevole cura materna non ha limiti. Lei vuole essere il nostro Rifugio. Il nostro caro San Giovanni Paolo II diceva: “Maria tutti abbraccia con una sollecitudine particolare…Lei stessa prega con noi”[96]; Ella sente maternamente le nostre lotte e conosce a fondo le nostre sofferenze e speranze[97]. Per questo la presenza compassionevole della Madre del Verbo Incarnato nella nostra vita, che non è accidentale, ma fondamentale e integrale, deve dilatarci il cuore con una santa fiducia, come quella di un bambino che aspetta tutto dalla bontà della sua amata madre, per addentrarci così, sempre più profondamente e generosamente ne cammino della croce che è “l’unica via della vita”[98].

Ci saranno molti che metteranno le loro speranze nelle “loro ricchezze o negli onori del mondo; altri nell’importanza dei loro incarichi e dignità”[99]; altri che “spereranno nei loro talenti; che si appoggeranno sull’innocenza della loro vita, o sul rigore della loro penitenze, o sul numero delle loro opere buone, o sul fervore delle loro preghiere”[100], per quanto ci riguarda, noi speriamo tutto da questa augusta Signora, che Dio stesso “ ha scelto come dispensatrice di tutto ciò che possiede”[101] e per le cui mani verginali passa ogni dono celeste.

La Vergine Madre di Dio è, secondo ciò che ci dice San Basilio, “la nostra unica speranza dopo Dio”[102].

*****

Cari Tutti:

A esempio di San Giovanni Paolo Magno, che lungo la sua vita terrena passò per grandi difficoltà e seppe lottare con spirito di principe, sappiamo anche noi -in mezzo alle tempeste che ci tormentano- essere perseveranti nella speranza, giacché per la pratica di questa virtù mostriamo la nostra fede profonda nella misericordia di Dio e diamo testimonianza di quell’amore che è più potente del male e più forte della morte. Dobbiamo essere come Mosè, che, come insegna la Lettera agli Ebrei, rimase saldo, come se vedesse l’invisibile[103].

Poniamo la fiducia in Colui che ci ha chiamati: Dio stesso. Fidiamoci di questo Dio che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiate domandare o pensare[104].

Non dimentichiamoci che ciò che ci contraddistingue è mettere in gioco la vita perché altri abbiano vita e speranza[105]. Pertanto è nostro dovere il continuare perseveranti nella speranza la missione che la Chiesa ci ha affidato[106]. Abbiamo sempre presente che “a noi compete soltanto pregare, lavorare e aspettare, sapendo che passa la scena di questo mondo”[107].

Oggi vogliamo fare di quelle sentite parole che San Giovanni Paolo II dirigeva ai consacrati a Buenos Aires, Argentina, un messaggio diretto particolarmente ai membri presenti e futuri della nostra congregazione. Poiché San Giovanni Paolo II dal Cielo, sembra tornare a dirci: “Istituto del Verbo Incarnato alzati e rivestiti di luce[108]! […] Procedete saldi, decisi; il Signore vi tiene per mano e v’illuminerà con la sua luce perché non inciampi il vostro piede[109]! […] Se il vostro Istituto mantiene la sua fedeltà a Cristo, potrà essere luce che illumina il mondo perché cammina sul sentiero della solidarietà, della semplicità, delle virtù umane e cristiane che sono il vero fondamento della società, della famiglia, della pace nei cuori.

Da qui il vostro impegno evangelizzatore; la vostra missione di essere luce per illuminare quanti sono nelle tenebre. Siete stati chiamati, cari fratelli e sorelle, per sentire dentro di voi e vivere con tutte le conseguenze il motto di san Paolo che si trasforma in un esame quotidiano: Guai a me se non predicassi il Vangelo![110]. […] Che il vostro cuore, dunque, si apra con questa gioia e speranza annunciata dal profeta Isaia[111]. Con le parole del salmo, lodate il Signore, in mezzo ai popoli narrate la sua gloria[112]. Sì, Cristo crocifisso regna. Con la sua croce e risurrezione Cristo è il centro della creazione, Signore della storia, redentore dell’uomo. Egli ci ha dato una vita nuova che procede da Dio e che è partecipazione alla sua stessa vita trinitaria di donazione.

Che la beatissima Vergine di Luján diventi per voi la Vergine del ‘sì’, la Vergine della fedeltà generosa e della donazione totale alla missione; e che ella sia anche la Vergine della speranza, che dovete annunciare e comunicare a tutti i fratelli facendola innanzitutto realtà nei vostri cuori. Così sia”[113].

Confidiamo nella potente intercessione del Santo Pontefice –che conosce perfettamente tutti i dettagli del governo della Chiesa, che egli resse in quel tempo[114]– poiché abbiamo in Cielo un intercessore e protettore pieno di lucidità e di coraggio, di visione intrepida e carità ardente, che ci ascolterà sempre e che dal Cielo ci ripete: non abbiate paura![115].

Andiamo costanti e allegri alla missione come uomini che hanno trovato in Cristo la vera speranza[116].

Che l’intercessione di San Giovanni Paolo II, come Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa, ai piedi della Santissima Vergine Maria che tanto teneramente ha amato, aiuti ognuno di noi a vivere ripetendo giorno dopo giorno, come fece lui, per mezzo di Maria, con piena fiducia: Totus tuus!

In Cristo, il Verbo Incarnato, e la sua Santissima Madre,

 

  1. Gustavo Nieto, IVE

[1] Direttorio di Vocazioni, 78.

[2] Cf. Ez 34, 16.

[3] Cf. San Giovanni Paolo II, Alle persone consacrate e agli operatori della pastorale a Buenos Aires (10/04/1987).

[4] Testimonianza di qualcuno vicino al Santo Padre durante 1999-2000.  

[5] Il 9 settembre 1996. “Parteciparono alla Santa Messa le comunità delle Servidoras ‘Nuestra Señora de Luján’; ‘Santa Monica’ (di Roma) e la comunità ‘Maria Jerosolimitana’ (di Gerusalemme). Con il Papa concelebrarono i PP. Carlos Buela, Carlos Pereira, Alejandro Molina e Rolando Santoianni”. P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 29.

[6] P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 29.

[7] Vita Consecrata, 13.

[8] At 15, 31.

[9] Rom 5, 5.

[10] Cf. San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi a Parma, Italia (07/06/1988).

[11] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[12] Costituzioni, 254; 257.

[13] Mt 6, 20.

[14] Costituzioni, 10.

[15] San Giovanni Paolo II, All’Unione Internazionale delle Superiore Generali, a Roma (14/05/1987).

[16] Costituzioni, 6.

[17] Cf. San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 184, aa. 1 e 3.

[18] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (09/11/1994).

[19] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (09/11/1994).

[20] Ibidem.

[21] Così lo chiama P. Santiago Martín, scrittore spagnolo, che intitolò il suo libro “Giovanni Paolo II: il Papa della speranza”. Lo stesso si può dire di G. Weigel, autore della famosa biografia di S. Giovanni Paolo II chiamata “Testimone della speranza”.

[22] Valdas Adamkus, presidente della Lituania, citato in P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 32.

[23] Cf. Mons. Sean Brady, arcivescovo di Armagh e Primate di tutta l’Irlanda; citato in P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 32.

[24] Cf. Benedetto XVI, Omelia di beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II (01/05/2011).

[25] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1817.

[26] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[27] Tertio millennio adveniente, 46.

[28] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (03/07/1991).

[29] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[30] Ibidem.

[31] 1 Tm 1, 1.

[32] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[33] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Dar Es Salaam, Tanzania (02/09/1990).

[34] San Giovanni Paolo II, Veglia di preghiera a Tor Vergata (19/08/2000).

[35] Cf. Direttorio di Spiritualità, 219.

[36] Cf. Direttorio di Spiritualità, 121.

[37] Cf. Costituzioni, 198.

[38] Cf. Direttorio di Spiritualità, 120.

[39] Tertio millennio adveniente, 46.

[40] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (18/11/1998).

[41] Sb 1, 7; cf. Gaudium et spes, 11.

[42] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (18/11/1998).

[43] San Giovanni Paolo II, Alle superiore maggiori d’Italia, a Roma (09/04/1988).

[44] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[45] Ibidem, cf. Ef 4, 4.

[46] San Giovanni Paolo II, Alla comunità monastica di Camaldoli, Italia (17/09/1993).

[47] Cf. Santa Edith Stein, La Scienza della Croce, Parte II, 2, d.

[48] San Giovanni della Croce, Epistolario, Lettera 12, Ad una donna di Narros del Castillo, Ávila (febbraio 1589).

[49] Eb 11, 1.

[50] San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro III, cap. 7, 2.

[51] Costituzioni, 227. Vedere anche: CIC, c. 251.

[52] 1 Tm 4, 2.

[53] Cf. San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro II, cap. 7, 7.

[54] Cf. P. C. Buela, IVE, L’Arte del Padre, Parte III, cap. 14, IV.

[55] Costituzioni, 211; cf. Ad Gentes, 38.

[56] San Giovanni Paolo II, Discorso per l’inaugurazione della III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Puebla, Messico (28/01/1979).

[57] Costituzioni, 31.

[58] Redemptoris Missio, 39.

[59] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Bologna (18/04/1982).

[60] 1 Tim 4, 10.

[61] San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro III. cap. 2, 3.

[62] Costituzioni, 123.

[63] Costituzioni, 123.

[64] Gv 16, 33.

[65] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[66] Cf. Costituzioni, 113.

[67] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Bologna, Italia (18/04/1982).

[68] Benedetto XVI, Omelia in occasione del IV anniversario della morte di Giovanni Paolo II (02/04/2009).

[69] Le enfasi indicate dalle parole in grassetto sono del Santo Padre.

[70] Mc 10, 29.

[71] Cf. Gv 15, 16.

[72] 2 Pt 3, 13.

[73] Gv 15, 18.20.

[74] Mt 28, 20.

[75] Rom 8, 31.35.

[76] Rom 8, 37.

[77] Gv 12, 24.

[78] 2 Cor 12, 10.

[79] Per questo indica il Direttorio di Spiritualità, 76 che “elevando l’anima ai piani soprannaturali di Dio… dobbiamo considerarci ‘meritevoli di ogni afflizione’”; cf. Santa Caterina da Siena, Il Dialogo, Opere, Ed. BAC, Madrid 1980, cap. 100, 238.

[80] Cf. Ez, 37.

[81] San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 188, a. 7; cf. Presbyterorum Ordinis, 13.

[82] Discorso nell’incontro con sacerdoti e religiosi al Santuario della Madonna della Ghiara, Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[83] Cf. Rom 12, 12.

[84] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1820.

[85] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[86] Spe Salvi, 32; Cf. Cardinal Nguyen Van Thuan, Preghiere di speranza.

[87] Costituzioni, 231. 

[88] Rom 4, 18.

[89] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[90] Redemptoris Mater, 42; cf. Rom 5, 5.

[91] 2 Cor 6, 8-10.

[92] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[93] Gv 14, 27.

[94] Cf. Gv 2, 5.

[95] Direttorio di Vida Consacrata, 409; cf. Elementi Essenziali della Vita Religiosa, 53.

[96] San Giovanni Paolo II, Omelia (13/05/1982).

[97] Cf. Radiomessaggio durante il Rito nella Basílica di Santa María Maggiore. Venerazione, azione di grazie, consacrazione alla Vergine María Theotokos, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 1, Città del Vaticano 1981, 1246.

[98] Direttorio di Spiritualità, 142.

[99] Cf. P. Luis de Granada, citato da Mons. Dr. Juan Straubinger, Il Salterio, Salmo 32 (33).

[100] San Claudio de la Colombiere, Discorso 682.

[101] Cf. San Luigi Maria Grignion di Montfort, Trattato della Vera Devozione, 25.

[102] Citato da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Le Glorie di Maria.

[103] Eb 11, 27.

[104] Cf. San Giovanni Paolo II, Al clero, religiosi e religiose a Anchorage (26/02/1981); cf. Ef 3, 20-21.

[105] Directorio di Vita Consacrata, 270; op. cit. Vita Consecrata, 105.

[106] Cf. San Giovanni Paolo II, All’Unione Internazionale delle Superiore Generali a Roma (16/05/1991).

[107] Direttorio di Spiritualità, 324; cf. 1 Cor 7, 31. 

[108] Is 60, 1.

[109] Cf. Sal 91, 12.

[110] 1 Cor 9, 16.

[111] A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perchè le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli. Is 60, 5.

[112] Sal 95, 3.10.

[113] Cf. San Giovanni Paolo II, Alle persone consacrate e agli operatori della pastorale a Buenos Aires, Argentina (10/04/1987).

[114] Cf. A. Royo Marín, Teologia de la Salvezza, Madrid 1997, 465.

[115] San Giovanni Paolo II, Omelia all’inizio del suo pontificato (22/10/1978).

[116] Direttorio di Missioni Ad Gentes, 169; op. cit. Redemptoris Missio, 91.

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi:

Durante il mese di ottobre che oggi iniziamo emerge insigne la celebrazione della santa memoria del nostro caro San Giovanni Paolo II, il papa Magno, il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa (colui che ci ispirò, ci guidò, ci accompagnò, ci difese e ci protesse sempre).

Ciascuno dei membri dell’Istituto ha l’orgoglio di riconoscerlo come “Padre” della nostra Famiglia Religiosa non solo per il vincolo di profondo affetto che ci unisce a lui, ma anche per la relazione del tutto speciale che nel corso della storia -e per disegno misericordioso della Divina Provvidenza- ha unito indefettibilmente i nostri Istituti alla sua persona, come Vicario di Cristo, e al suo magistero.

Una dimostrazione di questo è il fatto che il diritto proprio è pieno di citazioni provenienti dall’abbondantissimo magistero Petrino del Papa polacco (in effetti, ci sono più di 1000 citazioni esplicite di San Giovanni Paolo II nelle Costituzioni e nei Direttori). E lo stesso diritto proprio nel Direttorio di Vocazioni dichiara fermamente e chiaramente che lo “consideriamo come il Padre della nostra Congregazione, giacché il suo splendido Magistero fu sempre per noi una fonte feconda alla quale saziamo la nostra sete di fedeltà al Signore”[1].

Oltre a ciò, il nostro caro Istituto nacque sotto il suo pontificato. E lungo i 21 anni che visse sotto il suo pontificato, l’Istituto sperimentò la sollecitudine paterna con la quale ci ha protetti davanti alle diverse minacce e ai pericoli ai quali si vide oggetto mentre stava appena iniziando a svilupparsi. Per questo possiamo veramente dire che San Giovanni Paolo II ci generò con i suoi scritti e il suo magistero, e con enormi sforzi si prese cura di noi come il Buon Pastore che pasce le sue pecore con giustizia[2], infondendoci sempre coraggio per andare avanti e vivere nella speranza, “senza lasciarci vincere dallo sconforto, dalla stanchezza, dalle critiche. Il Signore è in voi, poiché vi scelse come suoi strumenti affinché, in tutti i campi dell’apostolato, diate molto frutto e il vostro frutto rimanga”[3].

Così, quindi, la storia del nostro Istituto è cosparsa di incontri incoraggianti con il Santo Pontefice e si compiace di contare con numerosi interventi nei quali egli non solo dimostrò la sua approvazione, ma anche il suo desiderio che “questo Istituto vada avanti[4].

Risplenderanno sempre con una luce di pace sulle nostre anime, quelle parole che Sua Santità disse ad alcuni di noi dopo la Messa privata con lui[5], dopo aver conversato con loro riguardo l’Istituto in una sala contigua, nel salutarli affermò: “Quello che fate ci dà più speranza[6].

Sono già passati vari anni da quei confortanti incontri con l’allora San Giovanni Paolo II. La nostra piccola Famiglia Religiosa ha passato periodi non privi di tensioni e prove, ma non possiamo negare che sono stati tempi di grandi conquiste, di fioritura in vocazioni, di espansione missionaria, di consolidamento nel carisma e di approfondimento nella nostra spiritualità.

Non ignoriamo, tuttavia, che i tempi attuali hanno portato con sé le loro avversità e difficoltà. Ma queste prove non ci devono portare allo scoraggiamento. Poichè, come diceva lo stesso Giovanni Paolo Magno: “Occorre piuttosto impegnarsi con nuovo slancio, perché la Chiesa ha bisogno dell’apporto spirituale e apostolico di una vita consacrata rinnovata e rinvigorita”[7].

Così, la presente lettera è scritta con lo stesso spirito che animava la lettera diretta dal Concilio di Gerusalemme ai cristiani di Antiochia, con la speranza che si ripeta anche oggi la stessa esperienza vissuta allora: Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva[8].

Che queste povere parole siano anche un sentito omaggio e ringraziamento perenne a chi ci insegnò ad essere testimoni della speranza che non delude[9], anche quando “sembra togliere ogni speranza”[10].

 

  1. La speranza cristiana

Il nostro caro San Giovanni Paolo II una volta diceva, parlando ai sacerdoti e ai religiosi: “La speranza per i cristiani, e molto più per i consacrati, non è un lusso, è un dovere. Sperare non è sognare; al contrario, è lasciarsi afferrare da colui che può trasformare il sogno in realtà”[11].

Di fatto, per la professione religiosa siamo chiamati a dare prova della trascendente speranza cristiana contenuta nella nostra stessa consacrazione. Non diciamo forse nella nostra formula di professione: “casto, per il Regno dei Cieli, povero, manifestando che Dio è l’unica ricchezza vera dell’uomo, e obbediente, fino alla morte di croce per seguire più intimamente il Verbo Incarnato”[12] volendo con ciò esprimere che il nostro sguardo è rivolto a quel tesoro del cielo che né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano[13]?

Per questo -come dicono le nostre Costituzioni- ciò che è proprio di ogni membro dell’Istituto è “vivere intensamente le virtù della trascendenza”[14] tra le quali si trova la virtù teologale della speranza. Poiché è essa che ci permette di “restare come pellegrini attraverso le cose che si corrompono, nell’attesa della incorruttibilità dei cieli”[15]; facendo del nostro pellegrinaggio in questa valle di lacrime -che così spesso in molti esclude qualsiasi dimensione trascendente- un annuncio incessante del Regno che si sta realizzando, poiché Colui che ha vinto il mondo l’ha promesso.

Ci siamo consacrati come religiosi all’ombra di questo Istituto e nel seno della nostra Madre Chiesa “per realizzare con maggiore perfezione il servizio di Dio e degli uomini”[16]. Perfezione che consiste essenzialmente nella carità[17], ma che implica anche, come sapientemente insegnava il Pontefice polacco: “una consapevole tendenza alla perfezione della fede […] né potrà mancare una consapevole tendenza alla perfezione della speranza. La richiesta di Cristo si situa nella prospettiva della vita eterna”[18].

Pertanto, noi religiosi, siamo invitati “ad una solida e ferma speranza sia nell’ora della professione, sia in tutto il seguito della vita. Ciò vi consentirà”[19], segnalava il nostro Padre Spirituale, “di testimoniare, in mezzo ai beni relativi e caduchi di questo mondo, il valore imperituro dei beni del Cielo”[20].

San Giovanni Paolo II fu senza dubbio un testimone della speranza. Le sue parole, le sue opere, i suoi gesti, la sua preghiera raccolta nel silenzio, le sue preoccupazioni, i suoi numerosi scritti e i suoi molti insegnamenti gli guadagnarono il titolo di “Papa della speranza”[21]. Tanto che la sua persona è ricordata da molti “come una vera incarnazione di fede e speranza”[22]; e il suo ministero petrino come quello che ha dato alla nostra epoca motivi di speranza[23] e restituì al cristianesimo la fisionomia autentica della speranza[24].

Come intendeva San Giovanni Paolo II la speranza cristiana?

Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica scritto e pubblicato durante il suo pontificato, egli una volta affermò: “E’ quella virtù ‘per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo ed appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo’[25][26].

Intesa così, è la speranza ciò che “spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera sua esistenza e, dall’altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio”[27].

Per questo con insistenza il Santo Padre enfatizzava l’importanza di questa virtù alla quale “va prestata una particolare attenzione, specialmente nel nostro tempo, nel quale molti uomini –eppure non pochi cristiani– si dibattono tra l’illusione e il mito di una infinita capacità di auto-redenzione e realizzazione di sé, e la tentazione del pessimismo nell’esperienza delle frequenti delusioni e sconfitte”[28].

Tanto ieri, come oggi, “molti pericoli sembrano incombere sul futuro dell’umanità e tante incertezze gravano sui destini personali, e non di rado ci si sente incapaci di fronteggiarli. Anche la crisi del senso dell’esistere e l’enigma del dolore e della morte tornano con insistenza a bussare alla porta del cuore dei nostri contemporanei”[29].

Però di fronte a questo “ambiente” deprimente e avverso ci si presenta il Verbo Incarnato che “è veramente il Dio della speranza”[30]. É Lui che “illumina questo orizzonte denso di incertezza e di pessimismo […] Egli stesso è, nella sua persona e nella sua opera di salvezza, la nostra speranza[31], poiché annuncia e attua il Regno di Dio”[32]. “Egli stesso, perciò, è la sorgente infinita della vostra sicurezza e della speranza che vi sostiene in ogni sfida e in tutte le circostanze”[33], affermava San Giovanni Paolo II.

Per questo motivo, con instancabile insistenza, il Papa Magno ci esortava a mettere in Cristo tutta la nostra speranza: “Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione”[34].

Quindi, se vogliamo essere coerenti con la nostra confessione della divinità di Gesù Cristo, la nostra speranza deve essere immutabile[35]. Poiché Cristo “costruì il Regno su delle basi solide ed indistruttibili. Su questa solidità deve fondarsi la nostra spiritualità che deve fortificarsi con le prove, raffinarsi con le tribolazioni, perfezionarsi con le persecuzioni, essere inalterabile davanti alle furie dell’inferno scatenate, anche nel caso in cui ci toccasse di vivere nei tempi dell’Anticristo… seguiamo colui che oggi come ieri possiede ogni potere, pertanto non c’è spazio per nessun tipo di paura e nulla ci può muovere a rinunciare alla verità rivelata e all’amore di Cristo[36].

In questo senso, sembra importante ricordare quelle parole del diritto proprio che ci avvertono: “non fatevi prendere da un atteggiamento depressivo di vedere di più il male che il bene… date il posto giusto nella vostra anima ad ogni cosa, senza disprezzarla, né minimizzarla, ma con una gerarchia e un ordine”[37]. E senza perdere di vista il carattere eminentemente soprannaturale della vita cristiana[38] “prestate attenzione ai ‘segni di speranza presenti… nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi’[39][40]. Poiché sebbene è certo che “il nostro secolo è segnato da gravissimi crimini contro l’uomo e oscurato da ideologie che non hanno favorito l’incontro liberante con la verità di Gesù Cristo né l’integrale promozione dell’uomo” non è meno certo “che lo Spirito di Dio, che riempie l’universo[41] non ha cessato di gettare a piene mani semi di verità, d’amore e di vita nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo. Questi semi hanno prodotto frutti di progresso, di umanizzazione e di civiltà, che costituiscono autentici segni di speranza per l’umanità in cammino”[42].

Con questa stessa visione soprannaturale dobbiamo saper vedere tutti gli avvenimenti della nostra vita individualmente parlando, e del nostro Istituto come un tutto, e anche la situazione stessa della Chiesa nel mondo. “Abbiate fiducia nella Chiesa, perché questo significa aver fiducia in Cristo morto e risorto che ha promesso alla Chiesa l’indefettibilità temporale e l’infallibilità dottrinale; significa aver fiducia nello Spirito Santo, presente per illuminare le menti e santificare le anime mediante la “grazia”, che agisce nel segreto delle coscienze […]  Sappiate guardare con occhio di ottimismo e di speranza alle realtà consolanti che anche oggi esistono nella Chiesa e nella società: esse sono grandi e abbondanti, e dimostrano che alla fine vince l’amore, e cioè vince Dio”[43]. Per questo oggi non basta risvegliare la speranza nell’interiorità delle nostre anime; occorre varcare insieme la soglia della speranza[44].

A questo ci invitava il Santo Padre indicando che “la speranza ha essenzialmente anche una dimensione comunitaria e sociale, sicché ciò che l’Apostolo dice in senso proprio e diretto per la Chiesa, può essere in senso largo applicato alla vocazione dell’intera umanità: Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati[45]. Analogamente questa affermazione si applica anche all’Istituto come ad un solo corpo. Il che ci porta al secondo punto di questa lettera.

 

  1. Scegliere la speranza

“Scegliere la speranza e il futuro significa, in ultima analisi, scegliere Dio, futuro della storia e dell’universo, presenti alla sua eternità e guidati dalla sua Provvidenza. Significa scegliere Cristo, speranza di ogni uomo”[46].

L’aver abbracciato la nostra vocazione religiosa in questo amato Istituto non è altro che aver scelto liberamente di consacrare tutta la nostra esistenza al Verbo Incarnato. Poiché, per dirlo in qualche modo, un giorno abbiamo scelto di mettere tutte le nostre ricchezze sulla bilancia del mondo per fare che essa si inclini felicemente verso Dio. La nostra decisione è stata decisiva; apparteniamo a Lui. Abbiamo scelto di donarci a Dio “per unirci a Lui in speranza perfetta e mistica”[47] e sapendo “che ciò che di meglio esiste in terra, messo a confronto con i beni eterni, per i quali siamo stati creati, è brutto e amaro”[48], abbiamo rinunciato a tutto: “ogni possesso, infatti, è contro la speranza, la quale, come dice San Paolo[49], è di ciò che non si possiede”[50].

Abbiamo scelto la generosità e la donazione contro l’avarizia ed il calcolo; abbiamo scelto di fidarci dell’amore e della grazia sfidando quanti per questo ci considerano ingenui e addirittura inutili; abbiamo posto tutta la speranza nel regno dei cieli, quando molti intorno a noi negoziano con il mondo e si affannano per assicurarsi una dimora comoda e piacevole in questa terra. Abbiamo scelto il ‘patrimonio filosofico perennemente valido’[51] contro le false dottrine insegnate da impostori pieni di ipocrisia[52] che ripetono vecchie eresie o che conducono ad esse. Abbiamo scelto la forte spiritualità cristiana che ci parla di un essere decisi ad accettare di portare la croce, privi di tutto senza volere nulla[53], contro l’evanescente spiritualità progressista che pretende un’altra religione diversa da quella fondata da Gesù Cristo e che lasciando da parte le cose del Cielo si occupa solo di quelle del secolo senza relazione a Dio[54]. Abbiamo scelto come lemma “con Pietro e sotto Pietro”[55] contro coloro che si impegnano ad allontanare le anime da quella grande corrente di vita e di comunione che è la Chiesa Cattolica, seguendo “magisteri paralleli, ecclesiasticamente inaccettabili e pastoralmente sterili”[56]. Abbiamo scelto di essere “essenzialmente missionari”[57] e di dedicare le nostre migliori energie e tutta la nostra esistenza (con tutta la nostra debolezza e povertà) ad essere artefici e segni di speranza evangelica animati dall’eloquente esortazione che ci faceva il Sucessore di Pietro: Aprite le porte a Cristo![58].

Così, quindi, facendoci eco delle parole del nostro Padre Spirituale che un giorno ci diceva: “in mezzo agli uomini di questa generazione, così immersa nel relativo, voi dovete essere voci che parlano di assoluto[59], consideriamo come il più nobile degli incarichi il dedicarci ad essere testimoni della speranza, testimoni dell’invisibile in una società secolarizzata. E per questo ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente… [60].

Perciò ci allontaneremmo gravemente dalla “somma speranza del Dio incomprensibile”[61], se nel nostro Istituto non “ci fossero progetti entusiasti per il futuro; se non ci fossero impegni per il presente esultanti di ideali; se non ci fosse la riconoscenza per i benefici del passato; se nella comunità diminuisse la generosità nel donarsi e si cadesse a poco a poco nel rilassamento del confort disordinato”[62]. Staremmo mancando contro la speranza, se nel nostro Istituto si respirasse “un clima di mormorazione, di diffidenza, di critica negativa, di passioni disordinate, di tensioni…, se non si cercasse l’unità nella verità e nella carità… se per l’albero delle difficoltà si perdesse di vista il bosco delle cose che vanno bene, se si facesse una tempesta in un bicchiere d’acqua per richiamare l’attenzione, se mancasse il dialogo e la solidarietà…”[63].

Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo![64] ci dice il Verbo Incarnato.

“Queste parole di speranza Gesù ha rivolto ai suoi apostoli la vigilia delle sua passione”, spiegava San Giovanni Paolo II, “queste parole ripete oggi a voi, sacerdoti, religiosi e religiose, anime consacrate… Abbiate fiducia! ci ripete Gesù, io ho vinto il mondo[65]. E questa è l’idea fissa che dobbiamo sempre custodire nel fondo dell’anima e che deve sorgere nella nostra mente per decidere e agire con coraggio. Poiché solo la speranza in Cristo ci può dare questa solida motivazione di cui abbiamo bisogno per innalzare con fermezza lo stendardo della croce, anche se dovessimo “soffrire le debolezze di tanti, senza venir meno per le lusinghe o le minacce e mantenendosi al di sopra dei via-vai della fortuna o dell’insuccesso, avendo l’anima disposta a ricevere la morte, se fosse necessario, per il bene dell’Istituto al servizio di Gesù Cristo”[66].

É certo che questi tempi non sono facili in molti aspetti che non è il caso descrivere nei dettagli. Tuttavia, “a ciascuno di voi”, dice Giovanni Paolo Magno, “voglio oggi rivolgere innanzitutto un invito alla fiducia… A voi, ora, tocca essere coerenti, nonostante ogni difficoltà. Il destino spirituale di tante anime è legato alla vostra fede e alla vostra coerenza[67].

La fiducia filiale che dobbiamo a Nostro Signore è indelebilmente unita alla virtù della speranza. Poichè l’avere speranza è avere “fiducia nel futuro, una fiducia non basata solo su idee o previsioni umane, bensì su Dio, il ‘Dio vivente’”[68].

 

Nell’anno 1988 San Giovanni Paolo II diresse un messaggio ai sacerdoti e ai religiosi a Reggio Emilia, Italia. Lì il Santo Padre pronunciò -a nostro modo di vedere- alcune delle sue pagine più paternamente confortanti e piene di speranza per i religiosi, e che qui trascriviamo quasi nella loro totalità con la speranza che siano lette, meditandole come particolarmente dirette ad ognuno dei membri dell’Istituto e alla nostra Famiglia Religiosa come un tutto. Dice così[69]:

“Se Gesù vi chiede fiducia è perché Egli per primo vi ha dato fiducia. Vi ha dato fiducia quando, con un gesto di amore assolutamente gratuito, vi ha chiamati a seguirlo più da vicino, a “lasciare casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa sua e a causa del Vangelo[70]. Vi ha dato fiducia quando, con una particolare effusione dello Spirito, vi ha consacrati e, nella diversità dei doni e dei ministeri, vi ha costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga[71]. Vi ha dato fiducia quando vi ha scelti e vi ha mandati, proprio voi, perché foste in questa terra […] annunciatori del suo Regno, testimoni della sua risurrezione, segno profetico di quei nuovi cieli e terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia[72].

La vostra missione, come la missione di tutta la Chiesa […] non è facile. Ci troviamo davanti a situazioni nuove che, se da una parte aprono promettenti e insperate possibilità all’annuncio del Vangelo, dall’altra sembrano far perdere agli uomini la fiducia in tutto quello che di cristiano, anzi di umano, c’è nel mondo. Ma non dobbiamo temere. La missione è scaturita dalla Pasqua di Gesù; ed è la missione stessa che il Padre ha affidato a Cristo e che Cristo, prima di salire al cielo, ha trasmesso alla sua Chiesa. Missione di salvezza, che deriva la sua forza dalla presenza di Cristo e dalla potenza dello Spirito.

Gesù non ha nascosto ai suoi apostoli le difficoltà della missione: il rifiuto, l’ostilità, le persecuzioni che avrebbero incontrato. Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi[73]. E non c’è solo la persecuzione aperta che ha fatto e continua a fare i martiri; c’è una insidia più subdola e, per questo, forse più pericolosa […] È quella che non vuole fare dei martiri ma degli uomini “liberi”, liberi, – si intende – da ogni religione e da ogni morale; che non soffoca l’idea di Dio nel sangue ma nell’accumulo dei beni di consumo e nell’appagamento degli istinti naturali; che non combatte l’idea cristiana ma la ignora, relegandola fra i miti del passato. Proprio perché prevedeva tutto questo, prima di affidare la sua missione alla Chiesa, Gesù ci ha dato la consolante assicurazione: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo[74].

Ecco la certezza che guida e sostiene la missione della Chiesa; ecco la certezza che deve guidare e sostenere la vostra missione: la certezza che, in Gesù Cristo, Dio è con noi; ieri come oggi; oggi come domani, fino alla fine del mondo. E se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?[75].

Questo elenco di ostacoli, sia pure con connotazioni diverse, è attuale anche per noi. Anche noi conosciamo la tribolazione che deriva dall’essere rimasti pochi e oberati di lavoro; conosciamo l’angoscia per tanti nostri fratelli che hanno abbandonato la fede; conosciamo la persecuzione, di oggi, come ho detto sopra; conosciamo la fame […], non più la fame di pane ma la fame di anime generose che ci seguano; conosciamo la nudità, il vuoto di tante nostre case e di tante nostre iniziative; conosciamo il pericolo, soprattutto quello dell’infedeltà in un mondo che per principio rifiuta l’impegno stabile; conosciamo la spada, la cultura di morte che sembra avere invaso gli apparati della società umana, mettendo a repentaglio la vita degli altri per motivi di lucro o di ideologia, fino a distruggere la vita nel seno materno.

E allora? La risposta di Paolo è precisa e decisa: Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati[76]. Proprio perché ci ha amati e ci ama, egli è con noi. E, la sua, è una presenza pasquale, che non è solo aiuto e conforto ma dà un senso nuovo, diverso, inaspettato alle difficoltà, alle tribolazioni, alle ostilità, agli apparenti insuccessi. Quello che poteva sembrare ostacolo alla missione diventa, alla luce della fede, il segreto della sua fecondità. La presenza di Cristo pasquale ci dà la certezza che, quando sembriamo sconfitti, proprio allora siamo vincitori, anzi “più che vincitori”. È la logica sconvolgente scaturita dalla croce. Sul piano umano la croce di Gesù è un vistoso fallimento; ma proprio da esso è derivata quella novità esplosiva, che ha cambiato il volto della vita e della storia umana.

Gesù lo aveva preannunciato: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto[77]. È nella prospettiva di questa parabola che Paolo poteva esclamare: Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte[78] [79].

Ecco il segreto della nostra fiducia: quando siamo deboli, è allora che siamo forti; e più siamo deboli, più siamo forti, perché più lasciamo trasparire la presenza e la potenza del Cristo pasquale. E con questo paradosso la Chiesa cammina già da duemila anni e camminerà . . . Con nient’altro, con questo paradosso.

Nell’affidare alla Chiesa la sua missione, Gesù non ci ha solo garantito la sua presenza fino alla fine del mondo, ci ha promesso e trasmesso la potenza del suo Spirito. […] Da allora lo Spirito è all’opera nella vita e nella storia dell’umanità […] È all’opera nel mondo […] È all’opera nella Chiesa […] È all’opera nelle vostre comunità, anche se piccole e povere, perché, proprio perché piccole e povere, sono ricche di fede e grandi nella carità.

Lo Spirito di Dio è lo Spirito della vita, capace di fare esplodere la vita anche là dove tutto sembrava morto e inaridito[80]. Ecco perché possiamo e dobbiamo avere fiducia. Non solo possiamo, ma dobbiamo […].

Ma la speranza, per non venir meno, ha bisogno di essere alimentata da una intensa vita di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di contemplazione. La crescita del lavoro nella vigna del Signore, proprio mentre si va assottigliando il numero degli operai, può farci dimenticare che siamo stati chiamati prima di tutto per stare con il Signore, ascoltare la sua Parola, contemplare il suo volto. La dimensione contemplativa è inscindibile dalla missione, perché, secondo la celebre definizione di san Tommaso ripresa anche dal Concilio, la missione è essenzialmente contemplata aliis tradere[81], trasmettere agli altri ciò che prima noi abbiamo a lungo contemplato.

 

Di qui l’esigenza di lunghi spazi di preghiera, di concentrazione, di adorazione; l’esigenza di una lettura assidua e meditata della Parola di Dio; l’esigenza di un ritmo contemplativo, quindi calmo e disteso, nella celebrazione dell’Eucaristia e della liturgia delle ore; l’esigenza del silenzio come condizione indispensabile per realizzare una profonda comunione con Dio e fare di tutta la nostra vita una preghiera. Come consacrati non dobbiamo solo pregare, dobbiamo essere una preghiera vivente. Si potrebbe dire anche, dobbiamo pregare apparentemente non pregando. Dobbiamo pregare apparentemente non avendo tempo per pregare, ma dobbiamo pregare. Un altro paradosso. Umanamente questa è una cosa impossibile: come pregare non pregando? Ma se san Paolo ci dice che lo Spirito Santo prega in voi, allora la cosa diventa un po’ diversa…”. Fin qui la citazione di San Giovanni Paolo II[82].

“La speranza ci sostiene e protegge nel buon combattimento della fede [83] e si alimenta nella preghiera, in modo particolarissimo nel Padre nostro, ‘sintesi di tutto ciò che la speranza ci fa desiderare’[84][85].

“Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo”[86]. È “la familiarità con il Verbo Incarnato”[87] ciò che ci infonde questa grande speranza che non si spegne nemmeno nelle notti della solitudine.

 

  1. Modello della nostra speranza

La Madre del Verbo Incarnato e la nostra Madre “come Abramo e più di Abramo, Maria ebbe fede sperando contro ogni speranza[88] e si abbandonò fiduciosamente alla parola del Dio vivo e alla potenza del suo Spirito”[89]. Per questo “di generazione in generazione [Maria] è presente in mezzo alla Chiesa pellegrina mediante la fede e quale modello della speranza che non delude”[90].

Pertanto, come membri di questo Istituto non dobbiamo cessare di raccomandarci a Lei e di chiederle “il coraggio di stare con lei presso la croce e di accettare la logica della croce; il coraggio di gridare con la forza dello Spirito: Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla, e invece possediamo tutto[91][92].

Maria è la Madre della speranza. Ed è Lei che oggi nuovamente ci ricorda quelle parole del suo Amatissimo Figlio: Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore[93] e ci invita a fare tutto quello che Lui ci dirà[94]. Lei stessa, la nostra Santissima Madre, con amore materno ci aiuta affinchè la nostra speranza cresca e si fortifichi, essendo Lei stessa “segno di speranza certa”[95].

Lei, [la Vergine Maria] non è una semplice spettatrice delle nostre lotte, ma si fa pienamente partecipe nelle nostre vite, qualsiasi siano le circostanze particolari o la complessità della realtà; l’ampiezza della sua amorevole cura materna non ha limiti. Lei vuole essere il nostro Rifugio. Il nostro caro San Giovanni Paolo II diceva: “Maria tutti abbraccia con una sollecitudine particolare…Lei stessa prega con noi”[96]; Ella sente maternamente le nostre lotte e conosce a fondo le nostre sofferenze e speranze[97]. Per questo la presenza compassionevole della Madre del Verbo Incarnato nella nostra vita, che non è accidentale, ma fondamentale e integrale, deve dilatarci il cuore con una santa fiducia, come quella di un bambino che aspetta tutto dalla bontà della sua amata madre, per addentrarci così, sempre più profondamente e generosamente ne cammino della croce che è “l’unica via della vita”[98].

Ci saranno molti che metteranno le loro speranze nelle “loro ricchezze o negli onori del mondo; altri nell’importanza dei loro incarichi e dignità”[99]; altri che “spereranno nei loro talenti; che si appoggeranno sull’innocenza della loro vita, o sul rigore della loro penitenze, o sul numero delle loro opere buone, o sul fervore delle loro preghiere”[100], per quanto ci riguarda, noi speriamo tutto da questa augusta Signora, che Dio stesso “ ha scelto come dispensatrice di tutto ciò che possiede”[101] e per le cui mani verginali passa ogni dono celeste.

La Vergine Madre di Dio è, secondo ciò che ci dice San Basilio, “la nostra unica speranza dopo Dio”[102].

*****

Cari Tutti:

A esempio di San Giovanni Paolo Magno, che lungo la sua vita terrena passò per grandi difficoltà e seppe lottare con spirito di principe, sappiamo anche noi -in mezzo alle tempeste che ci tormentano- essere perseveranti nella speranza, giacché per la pratica di questa virtù mostriamo la nostra fede profonda nella misericordia di Dio e diamo testimonianza di quell’amore che è più potente del male e più forte della morte. Dobbiamo essere come Mosè, che, come insegna la Lettera agli Ebrei, rimase saldo, come se vedesse l’invisibile[103].

Poniamo la fiducia in Colui che ci ha chiamati: Dio stesso. Fidiamoci di questo Dio che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiate domandare o pensare[104].

Non dimentichiamoci che ciò che ci contraddistingue è mettere in gioco la vita perché altri abbiano vita e speranza[105]. Pertanto è nostro dovere il continuare perseveranti nella speranza la missione che la Chiesa ci ha affidato[106]. Abbiamo sempre presente che “a noi compete soltanto pregare, lavorare e aspettare, sapendo che passa la scena di questo mondo”[107].

Oggi vogliamo fare di quelle sentite parole che San Giovanni Paolo II dirigeva ai consacrati a Buenos Aires, Argentina, un messaggio diretto particolarmente ai membri presenti e futuri della nostra congregazione. Poiché San Giovanni Paolo II dal Cielo, sembra tornare a dirci: “Istituto del Verbo Incarnato alzati e rivestiti di luce[108]! […] Procedete saldi, decisi; il Signore vi tiene per mano e v’illuminerà con la sua luce perché non inciampi il vostro piede[109]! […] Se il vostro Istituto mantiene la sua fedeltà a Cristo, potrà essere luce che illumina il mondo perché cammina sul sentiero della solidarietà, della semplicità, delle virtù umane e cristiane che sono il vero fondamento della società, della famiglia, della pace nei cuori.

Da qui il vostro impegno evangelizzatore; la vostra missione di essere luce per illuminare quanti sono nelle tenebre. Siete stati chiamati, cari fratelli e sorelle, per sentire dentro di voi e vivere con tutte le conseguenze il motto di san Paolo che si trasforma in un esame quotidiano: Guai a me se non predicassi il Vangelo![110]. […] Che il vostro cuore, dunque, si apra con questa gioia e speranza annunciata dal profeta Isaia[111]. Con le parole del salmo, lodate il Signore, in mezzo ai popoli narrate la sua gloria[112]. Sì, Cristo crocifisso regna. Con la sua croce e risurrezione Cristo è il centro della creazione, Signore della storia, redentore dell’uomo. Egli ci ha dato una vita nuova che procede da Dio e che è partecipazione alla sua stessa vita trinitaria di donazione.

Che la beatissima Vergine di Luján diventi per voi la Vergine del ‘sì’, la Vergine della fedeltà generosa e della donazione totale alla missione; e che ella sia anche la Vergine della speranza, che dovete annunciare e comunicare a tutti i fratelli facendola innanzitutto realtà nei vostri cuori. Così sia”[113].

Confidiamo nella potente intercessione del Santo Pontefice –che conosce perfettamente tutti i dettagli del governo della Chiesa, che egli resse in quel tempo[114]– poiché abbiamo in Cielo un intercessore e protettore pieno di lucidità e di coraggio, di visione intrepida e carità ardente, che ci ascolterà sempre e che dal Cielo ci ripete: non abbiate paura![115].

Andiamo costanti e allegri alla missione come uomini che hanno trovato in Cristo la vera speranza[116].

Che l’intercessione di San Giovanni Paolo II, come Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa, ai piedi della Santissima Vergine Maria che tanto teneramente ha amato, aiuti ognuno di noi a vivere ripetendo giorno dopo giorno, come fece lui, per mezzo di Maria, con piena fiducia: Totus tuus!

In Cristo, il Verbo Incarnato, e la sua Santissima Madre,

 

  1. Gustavo Nieto, IVE

[1] Direttorio di Vocazioni, 78.

[2] Cf. Ez 34, 16.

[3] Cf. San Giovanni Paolo II, Alle persone consacrate e agli operatori della pastorale a Buenos Aires (10/04/1987).

[4] Testimonianza di qualcuno vicino al Santo Padre durante 1999-2000.  

[5] Il 9 settembre 1996. “Parteciparono alla Santa Messa le comunità delle Servidoras ‘Nuestra Señora de Luján’; ‘Santa Monica’ (di Roma) e la comunità ‘Maria Jerosolimitana’ (di Gerusalemme). Con il Papa concelebrarono i PP. Carlos Buela, Carlos Pereira, Alejandro Molina e Rolando Santoianni”. P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 29.

[6] P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 29.

[7] Vita Consecrata, 13.

[8] At 15, 31.

[9] Rom 5, 5.

[10] Cf. San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi a Parma, Italia (07/06/1988).

[11] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[12] Costituzioni, 254; 257.

[13] Mt 6, 20.

[14] Costituzioni, 10.

[15] San Giovanni Paolo II, All’Unione Internazionale delle Superiore Generali, a Roma (14/05/1987).

[16] Costituzioni, 6.

[17] Cf. San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 184, aa. 1 e 3.

[18] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (09/11/1994).

[19] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (09/11/1994).

[20] Ibidem.

[21] Così lo chiama P. Santiago Martín, scrittore spagnolo, che intitolò il suo libro “Giovanni Paolo II: il Papa della speranza”. Lo stesso si può dire di G. Weigel, autore della famosa biografia di S. Giovanni Paolo II chiamata “Testimone della speranza”.

[22] Valdas Adamkus, presidente della Lituania, citato in P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 32.

[23] Cf. Mons. Sean Brady, arcivescovo di Armagh e Primate di tutta l’Irlanda; citato in P. C. Buela, IVE, Giovanni Paolo Magno, cap. 32.

[24] Cf. Benedetto XVI, Omelia di beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II (01/05/2011).

[25] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1817.

[26] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[27] Tertio millennio adveniente, 46.

[28] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (03/07/1991).

[29] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[30] Ibidem.

[31] 1 Tm 1, 1.

[32] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[33] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Dar Es Salaam, Tanzania (02/09/1990).

[34] San Giovanni Paolo II, Veglia di preghiera a Tor Vergata (19/08/2000).

[35] Cf. Direttorio di Spiritualità, 219.

[36] Cf. Direttorio di Spiritualità, 121.

[37] Cf. Costituzioni, 198.

[38] Cf. Direttorio di Spiritualità, 120.

[39] Tertio millennio adveniente, 46.

[40] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (18/11/1998).

[41] Sb 1, 7; cf. Gaudium et spes, 11.

[42] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (18/11/1998).

[43] San Giovanni Paolo II, Alle superiore maggiori d’Italia, a Roma (09/04/1988).

[44] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[45] Ibidem, cf. Ef 4, 4.

[46] San Giovanni Paolo II, Alla comunità monastica di Camaldoli, Italia (17/09/1993).

[47] Cf. Santa Edith Stein, La Scienza della Croce, Parte II, 2, d.

[48] San Giovanni della Croce, Epistolario, Lettera 12, Ad una donna di Narros del Castillo, Ávila (febbraio 1589).

[49] Eb 11, 1.

[50] San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro III, cap. 7, 2.

[51] Costituzioni, 227. Vedere anche: CIC, c. 251.

[52] 1 Tm 4, 2.

[53] Cf. San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro II, cap. 7, 7.

[54] Cf. P. C. Buela, IVE, L’Arte del Padre, Parte III, cap. 14, IV.

[55] Costituzioni, 211; cf. Ad Gentes, 38.

[56] San Giovanni Paolo II, Discorso per l’inaugurazione della III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Puebla, Messico (28/01/1979).

[57] Costituzioni, 31.

[58] Redemptoris Missio, 39.

[59] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Bologna (18/04/1982).

[60] 1 Tim 4, 10.

[61] San Giovanni della Croce, Salita al Monte, Libro III. cap. 2, 3.

[62] Costituzioni, 123.

[63] Costituzioni, 123.

[64] Gv 16, 33.

[65] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[66] Cf. Costituzioni, 113.

[67] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Bologna, Italia (18/04/1982).

[68] Benedetto XVI, Omelia in occasione del IV anniversario della morte di Giovanni Paolo II (02/04/2009).

[69] Le enfasi indicate dalle parole in grassetto sono del Santo Padre.

[70] Mc 10, 29.

[71] Cf. Gv 15, 16.

[72] 2 Pt 3, 13.

[73] Gv 15, 18.20.

[74] Mt 28, 20.

[75] Rom 8, 31.35.

[76] Rom 8, 37.

[77] Gv 12, 24.

[78] 2 Cor 12, 10.

[79] Per questo indica il Direttorio di Spiritualità, 76 che “elevando l’anima ai piani soprannaturali di Dio… dobbiamo considerarci ‘meritevoli di ogni afflizione’”; cf. Santa Caterina da Siena, Il Dialogo, Opere, Ed. BAC, Madrid 1980, cap. 100, 238.

[80] Cf. Ez, 37.

[81] San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 188, a. 7; cf. Presbyterorum Ordinis, 13.

[82] Discorso nell’incontro con sacerdoti e religiosi al Santuario della Madonna della Ghiara, Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[83] Cf. Rom 12, 12.

[84] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1820.

[85] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale (11/11/1998).

[86] Spe Salvi, 32; Cf. Cardinal Nguyen Van Thuan, Preghiere di speranza.

[87] Costituzioni, 231. 

[88] Rom 4, 18.

[89] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[90] Redemptoris Mater, 42; cf. Rom 5, 5.

[91] 2 Cor 6, 8-10.

[92] San Giovanni Paolo II, Ai sacerdoti, religiosi, religiose a Reggio Emilia, Italia (06/06/1988).

[93] Gv 14, 27.

[94] Cf. Gv 2, 5.

[95] Direttorio di Vida Consacrata, 409; cf. Elementi Essenziali della Vita Religiosa, 53.

[96] San Giovanni Paolo II, Omelia (13/05/1982).

[97] Cf. Radiomessaggio durante il Rito nella Basílica di Santa María Maggiore. Venerazione, azione di grazie, consacrazione alla Vergine María Theotokos, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 1, Città del Vaticano 1981, 1246.

[98] Direttorio di Spiritualità, 142.

[99] Cf. P. Luis de Granada, citato da Mons. Dr. Juan Straubinger, Il Salterio, Salmo 32 (33).

[100] San Claudio de la Colombiere, Discorso 682.

[101] Cf. San Luigi Maria Grignion di Montfort, Trattato della Vera Devozione, 25.

[102] Citato da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Le Glorie di Maria.

[103] Eb 11, 27.

[104] Cf. San Giovanni Paolo II, Al clero, religiosi e religiose a Anchorage (26/02/1981); cf. Ef 3, 20-21.

[105] Directorio di Vita Consacrata, 270; op. cit. Vita Consecrata, 105.

[106] Cf. San Giovanni Paolo II, All’Unione Internazionale delle Superiore Generali a Roma (16/05/1991).

[107] Direttorio di Spiritualità, 324; cf. 1 Cor 7, 31. 

[108] Is 60, 1.

[109] Cf. Sal 91, 12.

[110] 1 Cor 9, 16.

[111] A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perchè le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli. Is 60, 5.

[112] Sal 95, 3.10.

[113] Cf. San Giovanni Paolo II, Alle persone consacrate e agli operatori della pastorale a Buenos Aires, Argentina (10/04/1987).

[114] Cf. A. Royo Marín, Teologia de la Salvezza, Madrid 1997, 465.

[115] San Giovanni Paolo II, Omelia all’inizio del suo pontificato (22/10/1978).

[116] Direttorio di Missioni Ad Gentes, 169; op. cit. Redemptoris Missio, 91.