Sulla Catechesi nell’IVE – Lettera Circolare n 24/2018

Roma, Italia, 1 luglio 2018.

Lettera Circolare n 24/2018

“Assumere la responsabilità dell’insegnamento catechetico dei bambini e degli adulti”

Costituzioni, 181

Cari Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

Il nostro amato San Giovanni Paolo Magno soleva affermare: “la fedeltà alla missione sacerdotale è fedeltà di amore all’annunzio del Vangelo”. Fedeltà che nel nostro caso offre opportunità concrete nelle quali esercitarsi già da ora e in cui, come decisamente affermiamo, vogliamo dedicarci “in maniera speciale… alla predicazione della Parola di Dio… in tutte le sue forme. Nello studio e nell’insegnamento della Sacra Scrittura… la Catechesi… Nell’educazione e formazione cristiana di bambini e giovani”. 

Non solo, facendoci eco della richiesta della nostra santa Madre Chiesa diciamo: “Che le comunità dedichino il massimo delle proprie capacità e possibilità all’opera specifica della catechesi!” Il grido di San Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo” non muoverà mai a sufficienza le energie fisiche, intellettuali e spirituali di un sacerdote e di ogni membro dell’Istituto del Verbo Incarnato per “mettere in pratica quel che raccomandano le nostre Costituzioni: “Lavoreranno perché i principi del Vangelo abbiano effettivo influsso nella vita degli uomini e combatteranno l’errore con tutta la loro forza”. 

Per questo, vorrei dedicare la presente lettera circolare all’inderogabile e ogni volta più urgente obiettivo dell’insegnamento catechetico come mezzo molto idoneo ed essenziale al raggiungimento del nostro fine specifico; e anche a quello che potremmo definire insegnamento del catechismo secondo l’impronta propria.

1. “Instancabilmente evangelizzatori e catechisti” 

Cominciamo col dire che “la Catechesi è un prolungamento di Cristo Maestro nella nostra epoca. Gesù fece e insegnò. Per questo non dobbiamo mai, nella nostra spiritualità, separare dialetticamente, l’insegnamento dall’operare, né l’operare dall’insegnamento. C’è sempre da unire l’integrità di dottrina con la rettitudine di vita, l’ortodossia con l’ortoprassi”. Conformemente a ciò, forma parte del nostro “DNA” come membri dell’Istituto del Verbo Incarnato il distinguerci come “infaticabili evangelizzatori e catechisti”. Per questo già dal noviziato e ancor più tuttavia nel seminario maggiore, i nostri candidati vengono formati all’ambito dell’insegnamento catechistico come uno degli apostolati propri dell’Istituto in ambito di evangelizzazione: di fatto, questo è ciò che ognuno di noi ha vissuto nella formazione. 

L’insegnamento del catechismo è per l’Istituto qualcosa di primordiale. Perché siamo convinti che attraverso questo la Chiesa incontri “un consolidamento della sua vita interiore come comunità di credenti e, della sua attività esterna, come missionaria”. Conseguentemente intendiamo che l’insegnamento catechetico è un “dovere proprio e grave, soprattutto die pastori d’anime, perché la fede dei fedeli, mediante l’insegnamento della dottrina e la pratica della vita cristiana, si mantenga viva, chiara, operante”. E come l’insegnamento e la difesa della verità è la prima delle opere di misericordia spirituale, non dobbiamo mai lasciarla da parte. 

È dunque imperativo che, in ogni nostra parrocchia, in ogni nostra missione, si ravvivi, o meglio, si “susciti e mantenga una vera mistica della catechesi, ma una mistica che si incarni in una organizzazione adeguata ed efficace, utilizzando le persone, i mezzi e gli strumenti, come pure gli aiuti necessari”. Senza dimenticare che, sebbene si possa contare sull’aiuto degli “istituti di vita consacrata e anche dei fedeli laici, soprattutto dei catechisti”, sono i “parroci, gli artefici per eccellenza della catechesi”e i responsabili principali nel promuovere una catechesi parrocchiale attiva ed efficace, visto che ciò entra nel pieno dell’ufficio sacerdotale di insegnare. 

Mi riferisco qui a una catechesi che secondo le diverse modalità si adegui alle necessità dei fedeli. Il diritto proprio parla anche della “catechesi differenziale”, di una “catechesi pre-sacramentale, se è necessario, nelle stesse case” e di provarci con tutti i mezzi “perché il messaggio evangelico giunga ugualmente a coloro che abbiano abbandonato la vera fede o abbiano smesso di praticarla”.  Perché “una catechesi adeguata ai diversi livelli e soprattutto la catechesi ai bambini costituisca il centro dell’apostolato in parrocchia. E precisamente dalla parrocchia si deve promuovere la grande opera catechetica nelle famiglie, nei collegi, nei movimenti di fedeli, etc.”. Posto che “benché sia vero che si possa catechizzare ovunque… la comunità parrocchiale deve seguire ad essere l’animatrice della catechesi e suo luogo privilegiato”.

Pertanto, sebbene in alcune nostre missioni i parroci contino, per grazia di Dio, sull’aiuto delle Servidoras o dei laici per l’organizzazione e il funzionamento parrocchiale, ciò non deve mai significare l’abbandono dell’obbligo che gli corrisponde in virtù del suo ufficio. Al contrario, il parroco deve essere sempre alle prese con la catechesi, deve promuovere e programmare l’opera della catechesi, cioè, avere influenza di fatto nelle decisioni capitali, e talvolta anche in quelle piccole, del catechismo, ed essere anche presente alla giornata catechetica, magari per il “buon giorno” o “buone notti”, visitando le lezioni, nei giorni di ritiro, nelle occasioni speciali, etc. Per questo, animo tutti quelli che hanno il degnissimo ufficio di parroco a saper accompagnare le Suore o i laici che li aiutano in quest’ambito, a mostrarsi disponibili con tutti: catechisti, padri e alunni. 

Lo diceva già il gran catechista San Manuel González rivolgendosi ai parroci: “Convengo con te con tutto il mio assenso che la prima e più importante opera sociale cattolica è l’insegnamento del catechismo, e non un insegnamento qualsiasi, ma quello che tende ad occupare la memoria, l’intelletto e la volontà. Ci saranno opere sociali molto utili, molto necessarie, molto cristiane. Ma se non si parte dal catechismo, come base, o che tendano ad esso, come fine, se non traggono al catechismo, in un modo o nell’altro, per quel poco che vedo ti dico che ci esponiamo a quello che diceva San Paolo: a parlare al vento”. 

S. Giovanni Paolo II° avvertiva nello stesso modo quelle che chiamava “ore sacre” quelle dedicate al grave dovere dell’insegnamento cattolico: “Rinunziare alla proclamazione esplicita del Vangelo per dedicarsi ad ambiti socio-professionali sarebbe mutilare l’ideale apostolico-sacerdotale”. 

Alla fine, teniamo sempre presente ciò che dicono le nostre Costituzioni: “I religiosi che abbiano in carica parrocchie, dovranno privilegiare, in una pastorale entusiasta… la responsabilità dell’insegnamento catechetico di bambini e adulti”.

Perché nel nostro essere c’è l’educare e il formare coscienze certe, rette, e illuminate, affinché i fedeli siano ben guidati nelle loro opzioni di coscienza in campo morale. Poiché è compito del pastore formare il giudizio cristiano dei fedeli affinché siano capaci di sottrarsi all’affascinante inganno dei “nuovi idoli”. 

2. Catechizzare come mezzo per l’inculturazione

“La catechesi come l’evangelizzazione in generale, è chiamata a portare la forza del Vangelo al cuore della cultura e delle culture”.  

Conseguentemente, in un mondo dispersivo e pieno dei più diversi messaggi, il catechismo deve trasmettere la Parola di Dio in modo completo e integro, cioè senza falsificazioni, deformazioni o mutilazioni, in tutto il suo significato e la sua forza. Pertanto, non importa quale sia l’età di chi ascolta, se abbia un’educazione rustica o sofisticata, la disponibilità o scarsità di mezzi di cui si disponga per sì prezioso lavoro poiché comunque la nostra catechesi “deve portare chi ascolti, a poter conoscere direttamente o indirettamente e ad amare ogni giorno di più, l’adorabile persona di Gesù Cristo” e inevitabilmente la Sua Santissima Madre. Perché come ci ricorda il nostro diritto proprio “i migliori cristiani non sono quelli che ne sanno di più in teologia, ma quelli che fermamente credono e ancor più lealmente si uniscono e amano Gesù”.

Con tutta umiltà dobbiamo ammettere che, per grazia di Dio, l’apostolato catechetico del nostro Istituto, in tutti i paesi in cui siamo presenti, gode di grande stima e reputazione per la fedeltà al Magistero e alla Verità di Cristo, e in non pochi luoghi per la fervorosa vita di pietà dei nostri catechizzanti. Avrete visto le graziose foto inviate dai nostri missionari, le quali illustrano e provano con grande eloquenza la coerenza dei nostri missionari con quanto stabilito dal Catechismo della Chiesa: “Nella catechesi si insegna Cristo, il Verbo Incarnato e Figlio di Dio, e tutto il resto in riferimento a Lui; l’unico che insegna è Cristo, e qualcun altro lo fa nella misura in cui si fa suo portavoce, lasciando che Cristo insegni per bocca sua…”. E per stimolare la nostra fiducia, quante volte Dio ci ha lasciato gustare i preziosi frutti dei nostri sforzi nell’insegnare il catechismo!

Senza dubbio, credo che per potenziare e ancor più far attecchire con maggior fermezza  e profondità i valori del Vangelo nelle anime e nelle culture dovremo mettere un po’ più di enfasi nel sapientissimo consiglio di Giovanni Paolo Magno: “È vero che la fede cristiana deve essere una buona novella per ciascun popolo, però questi deve rispondere alle più nobili aspettative del proprio cuore essendo capace di assimilarla nella propria lingua, e trovare applicazione nelle tradizioni secolari che la sua sapienza ha elaborato”. 

Non è che questo già non si faccia, ma si tratta di farlo con più energia, usando in verità tutti i mezzi che mancano e tenendo sempre in conto “la diversità di persone e i diversi ambienti socio-culturali dei destinatari delle catechesi”. 

Pertanto, per qualcuno dei nostri ciò significherà apprendere meglio la lingua, per altri comprendere e adattarsi meglio alla idiosincrasia della gente, studiare più da vicino la storia e cultura del paese, essere più precisi nel discernimento dei valori positivi della cultura – elevandoli e strutturandoli – come pure quegli elementi che impediscono ai popoli lo sviluppo delle proprie autentiche potenzialità, avere più inventiva per attrarre più anime che beneficiano dell’insegnamento che si impartisce. Può anche essere il saper ‛entrare’ in quegli ambienti o livelli di maggior influenza nella società in cui si è in missione, diffondere la dottrina sociale della Chiesa in maniera sistematica e organizzata, lavorare con più intensità nel promuovere le vocazioni del luogo, incluso l’“utilizzo di tutti i sistemi offerti dalle scoperte delle scienze umane” per raggiungere il fine proposto, solo per fare alcuni esempi. 

Certo, ciò implica sforzo, sacrificio, vincere la timidezza, etc. Però, come dice il diritto proprio: “dall’amore di Dio per tutti gli uomini dobbiamo tirar fuori la forza del nostro impulso missionario”. Per questo, in ogni tempo, il nostro deve essere uno “sforzo offerto per trasmettere a tutti” la verità che salva. 

Esiste però un mezzo a cui il diritto proprio si riferisce esplicitamente e che vorrei distinguere: “Una delle attività in cui il nostro Istituto può collaborare in questa penetrazione del Vangelo nelle culture, sarà la traduzione, la pubblicazione, la diffusione e l’insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo Compendio, specialmente nei luoghi di missione”, come anche degli scritti catechetici dell’Aquinate. E tutto ciò che è stato finora detto, farlo con gran fiducia nell’essere attratti dalla grazia di Dio, essendo costanti fino alla fine, sapendo che “Dio non ci chiede frutti ma lavoro”. 

Poiché questo ce lo chiede il diritto proprio e corrisponde alla sublime missione affidataci dal Verbo Incarnato: “La catechesi farà conoscere queste culture e le loro componenti essenziali; apprender le sue espressioni più significative, rispetterà le sue proprie ricchezze e valori. Solo così potrà proporre a tali culture la conoscenza del mistero occulto e aiutarle a far emergere dalla propria tradizione vive ed originali espressioni di vita, di celebrazione e di pensieri cristiani”. 

Perché “l’Evangelizzazione perde molta della sua forza e della sua efficacia se non prende in considerazione il popolo concreto a cui si dirige, se non utilizza il suo linguaggio, i suoi segni e simboli, se non risponde alle questioni che pone, se non giunge alla sua vita in concreto”. 

Detto diversamente, “l’Evangelizzazione deve avanzare in un linguaggio che sia compreso dagli uomini. [E] questo richiederà frequentemente un certo adattamento, il quale in nessun caso e in nessuna maniera dovrà compromette il messaggio evangelico in tutta la sua estensione”. Anche perché, “l’Evangelizzazione corre il rischio di perdere la propria anima ed evaporare se si svuota e si svilisce il suo contenuto, sotto pretesto di tradurlo; se volendo adattare una realtà diversa ad uno spazio locale, si sacrifica questa realtà e si distrugge l’unità senza la quale non c’è universalità”. 

È ancora valida la sfida di “dar vita e proporre, come meta della Chiesa e dell’azione dei fedeli, una alternativa culturale pienamente cristiana”. 

3. I mezzi 

Il diritto proprio ci insegna: “Si deve impartire la formazione catechetica impiegando tutti quei mezzi, materiali didattici e strumenti di comunicazione che risultino più efficaci perché i fedeli, in maniera adattata al proprio modo di essere, capacità, età e condizioni di vita, possano imparare la dottrina cattolica in modo più completo e renderla migliore nella pratica”. 

È poi anche obbligo del parroco saper “dotare la parrocchia di abbondanti mezzi per la catechesi: in primo luogo, un buon numero di catechisti con un’efficiente organizzazione che provveda adeguatamente tanto ad una formazione di base quanto a quella permanente e, secondariamente, degli strumenti idonei per l’esercizio dell’opera catechetica, come i buoni catechismi”. Tutti i nostri parroci devono essere generosi nel rifornire nell’adeguare le aule dove si detta il catechismo facendo in modo che tante queste quanto la stessa biblioteca di catechismo abbiano il miglior livello e siano le più complete possibili.       

In questo senso siamo invitati a consacrare i nostri migliori mezzi in uomini ed energie, senza lesinare sforzi, fatiche e mezzi materiali, Per organizzarla al meglio e formare uomini capaci. Ciò richiede da noi un atteggiamento di fede, non di mero calcolo umano. E l’atteggiamento di fede è sempre orientato alla fedeltà a Dio, che mai smette di rispondere, facendo in modo che tutte queste scuse che di solito si accampano – per quanto valide e certe siano – perdano il loro fondamento. 

Per questo è importantissima la nostra unione con Dio, dalla quale deve fiorire ogni impresa pastorale e dalla quale deve sorgere un totale impeto d’ardore a pro di una catechesi che “trasmetta l’allegria e le esigenze del cammino di Cristo”. In definitiva, la nostra unione con Dio è il principale mezzo.

Lo stesso S. Giovanni Bosco è un eccellente esempio di generosità e di industriosità nel catechizzare. Lo stesso racconta come i suoi alunni non sapessero né leggere né scrivere, non tenessero catechisti né avessero locali dove impartire gli insegnamenti etc…. Prima di questo dice il Santo: “Mi impegnai corpo e anima alla redazione di una storia sacra facile e di stile semplice”; agli analfabeti dedicava “una o due domeniche a ripassare o ad insegnare l’alfabeto o le sillabe; continuava ad aiutare nel catechismo, e li faceva sillabare e leggere  fino a che fossero capaci di intendere una o due delle prime domande di catechismo” ottenendo che alcuni sarebbero arrivati a leggere e apprendere da sé intere pagine di catechismo. Per il locale, iniziò insegnando in un rifugio, e poi con più regolarità in una famiglia, e poi, finalmente, a Valdocco, facendo che le lezioni “migliorassero moltissimo col poter disporre di un locale stabile”. Per risolvere il problema dei catechisti insegnava ad alcuni giovani il latino, il francese, l’italiano, etc. “però avevano l’obbligo di venire ad aiutarmi ad insegnare catechismo”, racconta Don Bosco. 

Così, con sana inventiva l’apostolo dei giovani si ingegnò per catechizzare tanti “giovani di età sufficientemente matura che ignoravano totalmente le verità di fede”. Nello scrivere queste linee tengo ben presente che – per grazia di Dio– molte delle nostre missioni hanno non poche similitudini con la situazione/azione pastorale del Santo Il punto è, che qualsiasi sia la realtà di missione, il Vangelo deve essere proclamato chiaro e forte, e pertanto il nostro ministero è chiamato ad un’attività che non conosca stanchezze, né indietreggi per la mancanza di mezzi e aiuti. 

Quindi, se “la catechesi è educare la fede di bambini, giovani e adulti, per mezzo di un insegnamento organico e sistematico, con l’obiettivo di iniziarli alla pienezza della vita cristiana’, dobbiamo riaffermare categoricamente la necessità che la catechesi sia ‘un insegnamento sistematico, non improvvisato, che segua un programma in grado di farli giungere ad un fine preciso; un insegnamento elementare che non pretenda di trattare questioni disputate né di trasformarsi in investigazione teologica o in esegesi scientifica; un insegnamento, tuttavia, abbastanza completo, che non si fermi al primo annunzio del mistero cristiano, come lo abbiamo nel kerygma; una iniziazione cristiana integrale, aperta a tutte le sfere della vita’”.

Una volta capito questo dobbiamo ammettere “che nel campo catechetico non esiste evidentemente un unico metodo per la trasmissione della verità rivelata. E che si deve tenere in conto che ‘il fine è sempre migliore delle cose che ad esso si ordinano’. Pertanto, conviene stare attenti, perché sia possibile utilizzare nella trasmissione della fede tutti i mezzi idonei alla sua migliore conoscenza e diffusione”. Da questo stesso emerge la necessità di controllare che quali siano i mezzi, questi siano sempre idonei a conseguire i fini spirituali che si perseguono.

Il diritto proprio specifica esplicitamente i criteri elementari da seguire nella scelta “di qualsiasi sistema e metodo catechetico”, cioè: 

  • “Deve esporre, con linguaggio semplice e appropriato, l’essenziale del deposito della fede;
  • questa esposizione del deposito deve realizzarsi in modo ordinato, al fine di mostrare la necessaria concatenazione esistente tra le verità di fede;
  • si deve fare in modo che le cose fondamentali di questi contenuti siano imparate a memoria, dato che una buona parte di cristiani vivrà di queste per una buona parte della propria vita;
  • e, attraverso queste verità, si deve muovere ogni persona a rettificare la propria condotta, per un’applicazione puntuale della fede in tutte le circostanze della propria vita, sia nel proprio rapporto con Dio, sia in tutte le relazioni umane le quali anche devono essere ordinate e orientate a Dio.
  • anche l’immagine è predicazione evangelica. Si deve approfittare del tesoro “dell’arte sacra”, di cui numerosi artisti di tutti i tempi hanno riprodotto gli eventi più salienti del mistero della salvezza, presentandoli con splendore di colori e perfezione di bellezza”. 

Senza sottovalutare l’importanza dei primi quattro punti, vorrei sottolineare l’importanza che ha l’ultimo di questi criteri per l’insegnamento dell’attualità ai bambini e ai giovani. 

È chiaro che non si possono utilizzare solo concetti astratti. I concetti sono certamente necessari, senza dubbio, per la catechesi la prima cosa è l’uomo e il suo incontro con i simboli della fede.  Poiché “più e meglio i bambini vedono quel che gli si spiega, più e meglio i loro cuori si interesseranno e più in profondità penetrerà loro ciò che gli si è insegnato”. 

4. I libri del Canonico C. Quinet 

Da qui che ci si raccomanda vivamente all’insegnamento del catechismo col metodo attivo dei libri del Can. C. Quinet, editi in lingua spagnola da Josè Vilamala (Barcellona), per bambini dai 6 ai 9 anni. 

Quinet fu un uomo geniale, e si specializzò come pochi nell’insegnamento del catechismo. Nacque nel 1879 e fu ordinato sacerdote nella diocesi di Reims (Francia) nel 1904. Passò poi a Parigi, dove fu Canonico Onorario dal 1933. Fu Ispettore di Religione nella diocesi parigina e dal 1942 fu Segretario Amministrativo della Commisione Nazional dell’Insegnamento Religioso. Fu molto conosciuto in tutta la Francia, soprattutto per le sue opere catechetiche e perché, in collaborazione col Canonico Boyer, scrisse il Catechismo per le diocesi di Francia

Un presupposto importante che Quinet afferma con tutta chiarezza nelle sue opere è che nessuna di esse si propone di sostituire i catechismi diocesani, nazionali o universali, solo li suppongono e solo aspirano a completarli. 

Per noi sono particolarmente utili, e già le abbiamo usate con gran frutto, tre delle sue opere catechetiche: Para mis Pequeñuelos (Per i miei piccolini); El Catecismo por el dibujo (Il Catechismo disegnato); e la grande opera in 3 volumi: Carnet di preparazione di un catechista. Però sono anche di grande utilità le altre opere catechetiche, come pure i fogli, i quaderni, gli esercizi pratici, etc. del geniale autore. E sarebbe di grandissima utilità che qualcuno o alcuni dei nostri si specializzassero in uno studio serio del metodo, aggiornando tutto ciò che sia necessario. 

Questa magnifica opera letteraria catechetica si sposa perfettamente col nostro modo di insegnare catechismo. Ricordo che quando eravamo seminaristi nel nostro seminario di San Rafael (“la Finca”) c’erano esemplari di libri del Quinet in portineria, in modo che tutti potessimo consultarli al momento di preparare le lezioni di catechismo. E per i seminaristi che insegnavano catechismo nella Parrocchia di nostra Signora dei Dolori (la parrocchia della “Finca”) l’uso del Quinet era obbligatorio per mandato del parroco. E per questo, di fatto, molti di noi hanno appreso ad insegnare catechismo col Quinet e il suo metodo, facendo i dovuti adattamenti caso per caso. E questo è qualcosa che non si deve perdere, ma la contrario, si deve potenziare energicamente fra noi, tra i nostri formandi e nelle nostre missioni. Poiché è stato e continua ad essere un metodo che dà molto frutto e, in certo modo, forma parte del nostro modo di evangelizzare.

A mio modo di vedere, la genialità del metodo sta nel fatto che non solo riunisce tutti i criteri summenzionati, ma che incorpora elementi della psicologia evolutiva del bambino, richiamando i suoi centri di interesse. In modo che con questo metodo si apprende in maniera attiva, si tengono cioè, i bambini ‘agganciati’. Questo metodo è un modo semplice, per catechisti, di rendere più accessibili ai bambini i concetti astratti prima spiegati, in linguaggio concreto, e di presentare la scienza religiosa mediante immagini e formule teologiche abbreviate che per loro sono più semplici da ricordare. 

Però ciò che è davvero geniale in Quinet è come riesce a far girare la sua tecnica pedagogica intorno alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, come esprimeva in una lettera di felicitazioni il Card. Verdier, Arcivescovo di Parigi. Il quale proseguiva dicendo che è precisamente questa la “norma aurea” da cui un catechista mai deve separarsi. 

Altro plus di questo metodo è che le sue lezioni sono brevi e non richiedono altro materiale che una lavagna e un gessetto. Oggi abbiamo a portata di mano, in molti paesi dove siamo in missione, una tecnologia che ci permette di realizzare di più, tuttavia l’importanza del disegno o dell’immagine nell’apprendere, come nelle smart boards (schermi interattivi), dà, con il loro utilizzo, quel tocco di attualità al metodo tradizionale, attraendo i più piccoli, sempre così avidi di novità. E lo stesso vale per altri tipi di metodi, come le presentazioni in PowerPoint o analoghe.

Inoltre, nel metodo del Quinet le lezioni sono preparate, ciascuna con un fine chiaramente spiegato, sapendo includere esercizi di riflessione, formazione alla pietà e concetti dottrinali espliciti senza tralasciare l’aspetto storico del tema. Tutto questo con indicazioni precise su cosa dire, come realizzarle, sul tono di voce da usare, sulle impressioni da suscitare negli alunni, indicando anche come il maestro debba lasciar agire il bambino, cosa debba ripetere, etc. In modo che ciò sia utile tanto per il catechista novello come per colui che voglia render più fecondo il proprio lavoro, imprimendo le verità di fede nei bambini che il Signore gli ha affidato.  

Ancor più, come la catechesi debba guidare le anime alla “adesione piena e sincera alla Persona di Cristo e motivare la decisione di seguirlo nel cammino”, il Quinet nella sua opera “La chiamata di Cristo ai pescatori di anime”, per esempio, lascia discretamente intendere la chiamata di Dio in ogni capitolo. Ciò dà a quest’opera una grande utilità per noi se dobbiamo orientare i giovani alla scoperta della propria vocazione e al coltivarla, presentando gli ideali tanto della vita consacrata come di quella matrimoniale. 

5. “Nessuno dà quel che non ha”

“La catechesi ben impartita deve esser preparata con lo studio, irrigata dall’orazione, deve essere sostenuta col buon esempio e messa a disposizione delle intelligenze dei piccoli con metodo adeguato e industrioso zelo”, diceva San Marcelino Champagnat.

Pertanto, non dobbiamo dimenticare l’importanza che per noi il formare i nostri catechisti. Mi riferisco qui alla preparazione intellettuale e spirituale di coloro che devono collaborare col parroco nella trasmissione delle verità del Vangelo. Perché come diceva San Manuel González, “la catechesi è il catechista”. 

Infatti, il diritto proprio ama citare molto il santo vescovo, il quale spiega: “datemi un catechista con vocazione…, con adeguata preparazione intellettuale, che ciò che va a trattare poi con i bambini, lo tratti prima con il Cuore di Gesù Sacramentato e che, soprattutto, ami questi bambini con l’amore che trae dal Tabernacolo, datemi un catechista così e non mi si dica che questo catechista non può insegnare, non può compiere il suo ufficio perché gli manca il materiale didattico come quadri da muro, film da proiettare, premi di valore, gite interessanti, etc.”.

“Nessuno dà ciò che non ha. Chi non possiede Gesù, non può darLo”. Chi volesse dare ai propri catechizzandi la conoscenza chiara e completa di Gesù Cristo deve, soprattutto, possedere egli stesso tale conoscenza, frutto di uno studio responsabile e di preghiera. Chi volesse trasmettere il gusto e l’amore per ciò che insegna deve prima di tutto aver lui tale gusto e amore nella propria anima. Chi vorrà suscitare l’imitazione di ciò che insegna deve cominciare ad imitarlo egli stesso” . 

Questo serve a sottolineare la grande importanza e l’obbligo che il parroco ha nel prestare la dovuta attenzione e tempo alla formazione spirituale e teologica dei catechisti “mediante la partecipazione fruttuosa della liturgia domenicale, corsi, esercizi spirituali, etc.”. Perché come ben segnala il diritto proprio: “Dipende soprattutto dal catechista che la sua missione dia frutto o no”. 

*     * *

Per concludere, mi sembra opportuno ricordare il principio pastorale che enuncia il Catechismo Romano e che cita il diritto proprio, il quale consiste nel porre, innanzitutto, la carità: “Tutta la finalità della dottrina e dell’insegnamento si deve mettere nell’Amore che non finisce. Perché si può molto ben esporre ciò che bisogna credere, sperare, o fare; però soprattutto si deve sempre risaltare l’Amore di Nostro Signore affinché ognuno comprenda che ogni atto di virtù perfettamente cristiano non ha altra origine che nell’Amore, né altro termine che l’Amore”.

Servano queste linee come espressione di grande stima e profondo ringraziamento per l’encomiabile fine catechistico che tutti Voi realizzate in un modo o in un altro, nelle più disparate circostanze e nei molteplici scenari di questo mondo.

Che la Vergine Santissima, Maestra insuperabile della nostra fede, sia sempre al vostro fianco e vi accompagni per i sentieri del vostro servizio ecclesiale, affinché possiate spargere a piene mani, in molte anime, i semi della speranza che non inganna e della verità che salva. 

Un grande abbraccio a tutti.

Con grande affetto nel Verbo Incarnato, 

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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