“Questa dottrina della Croce dev’essere quella che dobbiamo predicare”

San José, USA, 1 settembre 2018.

Lettera Circolare 26/2018

“Questa dottrina della Croce dev’essere quella che dobbiamo predicare”

Direttorio di Spiritualità, 140

Carissimi Padri, Fratelli, Seminaristi e Novizi,

“Il Figlio di Dio crocifisso è l’evento storico contro cui s’infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni soltanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell’esistenza. Il vero punto nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo… […] La ragione non può svuotare il mistero di amore che la Croce rappresenta. […] La sapienza della Croce, dunque, supera ogni limite culturale che le si voglia imporre e obbliga ad aprirsi all’universalità della verità di cui è portatrice”.

Con queste parole estratte dalla grande enciclica di San Giovanni Paolo Magno Fides et Ratio, della quale celebreremo il 20° anniversario il 14 di questo mese, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, ho voluto iniziare la presente lettera circolare, perché esse ci pongono a confronto in modo chiaro con ciò che dev’essere in un modo o in un altro la caratteristica distintiva ed il contenuto essenziale della nostra predicazione: il Figlio di Dio crocifisso, la sapienza della Croce, siamo infatti membri di questo nostro Istituto del Verbo Incarnato al quale è affidata la “predicazione della Parola di Dio più tagliente di una spada a doppio taglio in tutte le sue forme”.

In mezzo alla cultura attuale impregnata dal secolarismo, dalla cupidigia e dall’edonismo, che prova con insistenza ad allontanare l’uomo dalla Croce, oggi anche noi possiamo dirigerci a Dio dicendo con San Luigi Maria Grignion di Montfort: “La tua divina legge è rotta! Il tuo Vangelo, abbandonato! Torrenti di iniquità inondano tutta la terra! Trascinano i tuoi stessi servitori! La terra intera è desolata!”. E con lui possiamo anche chiedere al Verbo Incarnato che faccia di noi “figli che sconfiggano tutti i suoi nemici con il baculo della croce”, uomini sempre “disponibili per tutte le possibilità che si presentino di annunciare il Vangelo” “che vadano da tutte le parti con… il santo Vangelo nella bocca e il santo Rosario nella mano, ad abbaiare come cani, a bruciare come braci e illuminare le tenebre del mondo come soli”. Tutto ciò manifesta la chiamata inevitabile a formarci nella scuola della Croce, Croce che lo stesso Verbo Incarnato amò dai suoi più teneri anni e con la quale si sposò, abbracciandola e morendo su di essa nel Calvario. 

1. Amore alla Croce

Il diritto proprio ci invita a portare –con fervore– la grazia della Redenzione a tutta la realtà: all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, al matrimonio e alla famiglia, alla cultura, alla vita politico-economico-sociale, alla vita internazionale dei popoli con speciale riferimento al tema della pace, ovvero, a tutti i grandi problemi contemporanei; per cui è necessario in primo luogo, “inchiodare nel cuore Colui che per noi fu inchiodato alla croce”.

Se la croce è inevitabile per ogni cristiano, quanto più lo è per noi che siamo stati chiamati a “partecipare all’annientamento di Cristo” ed esplicitamente a “conformarci con Cristo crocifisso”! Ma ancor di più, la croce diviene la nostra forma di vita e il cammino reale sul quale vogliamo transitare sempre nella realizzazione del nostro apostolato: “nel servizio umile e l’offerta generosa e nella donazione gratuita di se stesso mediante un amore che giunge all’estremo”.  

A tal punto, che la sacratissima Umanità di nostro Signore Crocifisso diventa l’immagine che il diritto proprio desidera veder riprodotta nel nostro Istituto, e per questo dice: “la nostra piccola Famiglia Religiosa non deve mai ripiegarsi su stessa, ma al contrario dev’essere aperta come le braccia di Cristo sulla Croce, che nell’aprirle così tanto per amore, le aveva slogate”. 

Per questo, per noi “il mistero Pasquale di nostro Signore è fonte inesauribile di spiritualità. La sua passione, morte, discesa negli inferi, Risurrezione, devono illuminare sempre le nostre vite. Dobbiamo specializzarci nella sapienza della croce, nell’amore verso la croce e nell’allegria della croce”. In effetti, nella misura in cui ci addentriamo nell’amore crocifisso e crocifiggente di nostro Signore trasmetteremo più chiaramente il mistero di Dio “manifestando pienamente la bellezza e il potere dell’amore di Dio”. 

Da questo segue che il diritto proprio ci ripeta insistentemente questo aspetto essenziale. Lo abbiamo letto molte volte, lo abbiamo meditato e addirittura predicato ad altri, ma vale sempre la pena ricordarlo per assimilarlo maggiormente: “Sia per voi la croce, come lo è stata per Cristo, la prova dell’amore più grande”. E in altro passaggio il nostro diritto ci invita a che “amiamo la croce viva dei lavori, umiliazioni, ingiurie, tormenti, dolori, persecuzioni, incomprensioni, contrarietà, obbrobri, disprezzi, vituperi, calunnie, morte… e possiamo dire con San Paolo: Ogni giorno, io affronto la morte”. 

La ragione di tutto ciò sta nel fatto che “se siamo religiosi è per imitare il Verbo Incarnato” che “salvò il mondo mediante la follia della Croce, più saggia della sapienza degli uomini… e più forte della fortezza degli uomini”. Comprendiamolo bene: ciò che è nostro è di vivere la “follia della croce che è follia di Dio e che consiste nel vivere nel più e nel al di sopra. Questa follia inizia lì dove già non si rende conto, né si calcola, né si pesa, né si misura. La follia della Croce consiste nel vivere le beatitudini. È benedire coloro che ci maledicono, è non rendere male per male”. E questo occorre tenerlo ben radicato nella mente e nel cuore facendo del mistero della croce il punto di riferimento abituale e la norma di vita. Perché “‘tutto sta nella Passione. È lì dove si impara la scienza dei santi’, e perché, finalmente, l’amore che non nasce dalla Croce di Cristo è debole”. 

Si, dobbiamo convincerci che la croce è amore convertito in spada che taglia, che separa, che ferisce, che disturba la falsa pace. Solo abbracciati ad essa non ci lasceremo ingannare da nessuna sapienza mondana né tantomeno ammaliare dalla vuota e vana ciarlataneria degli uomini che non amano la croce, alcuni dei quali si trovano addirittura costituiti in autorità. Solo abbracciati alla croce potremmo essere della verità sale della terra e luce del mondo, altrimenti diverremmo sale senza sapore e lucerna sotto il moggio.

Il Papa Benedetto XV ha scritto: “La salvezza delle anime non si ottiene con molte parole, né con dotti ragionamenti, né con fervorosi discorsi. E se un predicatore fonda la sua predicazione su questi mezzi, non è più che un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. Ciò che realmente rende la parola umana capace di aiutare le anime è la grazia di Dio”. E questa grazia di Dio –diceva Giovanni Paolo Magno– si ottiene con la preghiera e con una vita conforme alle sue supreme direttrici.

Il che non è altra cosa che vivere la santa pazzia delle beatitudini; che è precisamente ciò che chiediamo ogni anno quando meditiamo negli Esercizi Spirituali i tre modi di umiltà: “essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che saggio e accorto secondo il giudizio del mondo”. È lo sforzo per impregnarsi della sapienza-follia della Croce ed essergli fedeli fino alla fine. È questa pazzia di poter “dire dopo aver lavorato tutto il giorno per il Vangelo: Siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto dovevamo fare; è la follia di sapere che a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha; è la pazzia di vivere totalmente appesi alla Provvidenza Divina: Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno; è il cercare gli ultimi posti: Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi; è l’essere schiavo di tutti: Chi vuol essere grande tra di voi si farà vostro servitore; è umiliarsi: Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato; è la pazzia del perdono: Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Questo è propriamente nostro: questa è la nostra vocazione sacerdotale e religiosa. Questo dev’essere il messaggio che predichiamo, considerando come grande dono del cielo se a causa di ciò ci sopraggiungano più croci, giacché lo stesso diritto proprio ci assicura che se questo succede così è “segno che andiamo bene”. 

Dobbiamo persuaderci che siamo inviati alle tenebre, al vuoto e al caos di questo mondo per annunciare il Verbo e rendergli testimonianza. Ne segue che, dato il contesto attuale “caratterizzato tanto da un relativismo generalizzato come dalla tentazione di un facile pragmatismo”, non deve sorprenderci che il messaggio del Verbo di Dio fatto carne e inchiodato alla croce continua ad essere oggigiorno una stoltezza per quelli che vanno in perdizione. Già lo diceva il gran predicatore della croce San Luigi Maria Grignion di Montfort: “In effetti, non bisogna stupirsi della falsa pace che raccolgono i predicatori alla moda e delle tremende persecuzioni e calunnie che si alzano e promuovono contro i predicatori che hanno ricevuto il dono della parola eterna…”. 

Questo significa che ognuno di noi è chiamato a vivere il mistero della croce, che ci fa maturare nella fede e ci rende una conoscenza sempre più profonda del messaggio evangelico, aiutandoci a giudicare da questa prospettiva le circostanze della vita. In modo tale, che il nostro ministero non si riduca soltanto a un servizio di solidarietà umana, ma abbia sempre da parte nostra una comunicazione della novità della vita che ci ha portato Cristo e che meritò per noi precisamente sulla croce (con rigore, in tutto il suo Mistero Pasquale).

Per questo si dirigono anche a noi le parole che San Luigi Maria scriveva all’Associazione degli Amici della Croce: “Non illudetevi! … se voi vi vantate del fatto che siete guidati dallo spirito di Gesù Cristo non aspettatevi se non spine, flagelli, chiodi, ecc., in una parola, Croce. Perché è necessario che il discepolo sia trattato come il Maestro e le membra come il Capo”. E questo, che si applica bene ad ogni cristiano, è da ben sperare –con giusta ragione– che accada a coloro che hanno l’onorifico lavoro di prolungare “l’opera redentrice dello stesso Cristo” attraverso la predicazione. 

È solito dirsi che viviamo in un’epoca di trasformazioni nella quale sono cambiate e continuano a cambiare profondamente i criteri di pensiero della vita e della società. L’insieme delle nuove ideologie, con le diverse interpretazioni del senso della vita ed il conseguente pluralismo etico, è come un vortice che si abbatte sulle coscienze cercando di alterarle. È in questo momento particolare e alle culture immerse nelle circostanze presenti che dobbiamo annunciare il potere della croce. Il quale è un potere che non ha bisogno di parole sagge né dei vani inganni di una filosofia, né tantomeno di ideologie illusorie. Ciò di cui ha bisogno è piuttosto che ognuno di noi si lasci trasformare da Cristo, poiché solo se il cuore di uno è trasformato si può realizzare il grande compito di aiutare gli altri affinché lo Spirito li guidi alla verità tutta intera, il che costituisce la meta e come la stessa essenza della missione cristiana.  

In questo stesso senso anche il Beato Paolo VI ci esortava a conquistare le anime, “con la fatica e la sofferenza, con una vita conforme al Vangelo, con la rinuncia e la croce, con lo spirito delle beatitudini, ma, soprattutto mediante un totale cambio interiore, che il vangelo definisce con il nome di metanoia, una conversione radicale, una trasformazione profonda della mente e del cuore”. Diceva San Giovanni Paolo II: “Questa è la ragione per la quale la missione senza la contemplazione del Crocifisso è condannata alla frustrazione ed è questa la ragione per la quale i fondatori (sta parlando di una congregazione religiosa particolare) hanno insistito in modo speciale nel compromesso dell’adorazione del mistero eucaristico, giacché è nel Sacramento dell’Altare, dove la chiesa contempla in modo ineguagliabile il mistero del Calvario, il sacrificio dal quale sgorga tutta la grazia dell’evangelizzazione”.

E in un altro luogo il Papa Magno diceva: “la nuova evangelizzazione ha bisogno di testimoni”. Giacché, “l’uomo contemporaneo ascolta maggiormente coloro che danno testimonio che chi insegna…, o se ascoltano coloro che insegnano, è perché sono testimoni”. 

Con questo voglio insistere ancora una volta nel fatto che “non si può essere testimoni di Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale si fa viva in noi mediante la grazia e per opera dello Spirito”. L’immagine di Cristo, come tutti Voi ben sapete, porta i segni della sua passione. Gli attacchi e le calunnie formano parte della sorte riservata ai discepoli di Cristo. Il Signore non ci inganna, Lui stesso ci ha detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Allora, se siamo fedeli alla “dottrina, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio”, è sicuro che incontreremo opposizione, attacchi e addirittura una certa resistenza maliziosa. Deve però animarci ed essere di conforto la dolce promessa di Cristo: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Per questo, dobbiamo perseverare sempre e con molta decisione nel nostro sforzo evangelizzatore confortati dalla serenità che viene dalla buona coscienza; essendo “disposti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sul cammino della Croce in mezzo delle persecuzioni che non mancano mai alla Chiesa”. 

2. Questo deve essere ciò che predichiamo: la follia di Gesù Cristo crocifisso 

Il nostro Direttorio di Evangelizzazione della Cultura definisce l’evangelizzazione come “una realtà ricca, complessa e dinamica, e ‘significa per la Chiesa portare la buona nuova a tutti gli ambienti dell’umanità’”. 

Ebbene, “lo stesso termine ‘Buona Nuova’ indica il carattere fondamentale del messaggio di Cristo. Dio desidera rispondere al Desiderio di bene e di felicità, profondamente radicato nell’uomo. Si può dire che il Vangelo, che è una risposta divina, possiede un carattere ‘ottimista’. Nonostante ciò, non si tratta di un ottimismo puramente temporale, un eudemonismo superficiale; non è un annuncio del ‘paradiso sulla terra’. La ‘Buona Nuova’ di Cristo presenta a chi la ascolta esigenze morali di natura morale; indica la necessità di rinunce e sacrifici; si trova relazionata, finalmente, con il mistero redentore della croce. Effettivamente, nel centro della ‘Buona Nuova’ si trova il programma delle beatitudini, che definisce nel modo più completo la classe di felicità che Cristo è venuto ad annunciare e rivelare all’umanità, pellegrina ancora nella terra verso i suoi destini definitivi ed eterni”. 

In altre parole, non si tratta “di una salvezza puramente immanente, a misura delle necessità materiali o incluso spirituali che terminano nel quadro dell’esistenza temporale e si identificano totalmente con i desideri, le speranze, gli interessi e le lotte temporali, ma una salvezza che sorpassa tutti questi limiti per realizzarsi nella comunione con l’unico Dio Assoluto, salvezza trascendente, escatologica, che inizia certamente in questa vita, ma che ha il suo compimento nell’eternità”.

Così lo compresero migliaia e migliaia di missionari che agli albori dell’evangelizzazione arrivando nelle terre vergini di missione piantavano la croce come sintesi di tutto il programma che venivano ad offrire. La stessa cosa dobbiamo fare sempre anche noi, essendo stati chiamati, a predicare la dottrina della croce nella sua interezza e con tutte le esigenze morali che derivano da essa. 

Coscienti quindi che “molti uomini si comportano come nemici della croce di Cristo sia perché la rifiutano, sia perché la accorciano, la abbassano, la evitano, o non predicano integro il suo messaggio” noi dobbiamo porre l’accento nel presentare il mistero ed il messaggio della croce senza paura e senza ritagli, con naturalezza, come qualcosa di familiare, che si vive e si abbraccia, perché in definitiva è una grazia che Dio concede. Sapendola trasmettere con allegria –non come evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi– ma piuttosto, presentandola come un giogo soave e un carico leggero che si porta con gioia perché si porta per amore. E ancor di più, con la certezza che è Gesù Cristo inchiodato alla croce chi attrae le anime come Lui stesso ci ha detto: quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me

Tutti voi sapete che è giustamente la predicazione della croce ciò che è stata e continua ad essere fonte di vocazioni per il nostro Istituto, nel quale, la stessa vocazione religiosa è concepita e presentata come un crocifiggersi con Cristo e dove la croce è un elemento integrale dello stesso carisma. Difatti non dicono forse le nostre Costituzioni: “tutti i suoi membri devono lavorare, in somma docilità allo Spirito Santo e dentro l’impronta di Maria, con lo scopo di conquistare per Gesù Cristo tutto ciò che è autenticamente umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse”?. 

“Ricordiamo che nulla può sostituire la proclamazione di Gesù Cristo e l’incontro personale delle anime con il suo mistero e, pertanto, non può esistere un’autentica evangelizzazione senza che venga proposta tutta la verità su Gesù Cristo, sulla Chiesa, e sull’uomo. Semplicemente, già che non esiste un’autentica salvezza e libertà senza la logica del vangelo, declamato e vissuto nella sua integrità. Da ciò Gesù afferma: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Insomma, oltre alla testimonianza della propria vita, è necessario un annuncio esplicito di Gesù Cristo. Il Beato Antonio Chevrier diceva: “Catechizzare gli uomini è la grande missione del sacerdote oggigiorno”. 

Giacché “questo annuncio –kerigma, predicazione o catechesi– acquisisce un posto così importante nell’evangelizzazione, che con frequenza è in realtà sinonimo della stessa”. 

Quindi senza paure e senza lasciarci paralizzare per quei ragionamenti che, come diceva il Beato Chevrier, “uccidono il vangelo”, dobbiamo annunciare esplicitamente il messaggio di Cristo con piena fedeltà, semplicità, autorità e fermezza. “Il mondo ha bisogno di conoscere attraverso di noi l’assoluto del vangelo” –diceva il Padre Spirituale della nostra Famiglia Religiosa– “senza ignorare le complesse condizioni dell’evangelizzazione, né la pedagogia, mostrate Cristo!”. È valido qui, anche per noi, l’avviso che il Beato Chevrier dava ai suoi: “Che i misteri di nostro Signore vi siano così familiari da poterne parlare come qualcosa che vi è proprio, come la gente che sa parlare del suo stato, dei suoi affari”. È lo stesso che le nostre Costituzioni ci invitano a fare quando ci chiedono di acquisire quella “santa familiarità con il Verbo fatto carne”.  

Perché come dice San Luigi Maria: “Niente è più facile che predicare alla moda… che difficile e sublime è invece predicare come gli apostoli! Parlare come il saggio, per esperienza. Molti hanno ‘… lingua, bocca e sapienza umane. Per questo illuminano, colpiscono e convertono così poche anime con le loro parole, sebbene le prendano dalla Sacra Scrittura e dai Padri…’”.

Noi siamo mandati a importunare e contraddire il mondo con la dottrina della Croce, affinché attraverso dell’annuncio gli uomini aderiscano di cuore al programma di vita che Lui propone. Ci sono molti che “parlano brillantemente dei benefici che la religione cristiana ha portato all’umanità, ma tacciono gli obblighi che impone; pregonano la carità di Gesù Cristo nostro Salvatore, ma non dicono nulla della giustizia. Il frutto che questa predicazione produce è esiguo, giacché, dopo di averla ascoltata, qualsiasi profano si persuade del fatto che, senza necessità di cambiare vita, sia un buon cristiano semplicemente col dire: credo in Gesù Cristo”.

Non deve accadere questo nel nostro caso. Piuttosto, il diritto proprio seguendo il grande predicatore delle missioni Sant’Alfonso Maria de Liguori, ci istruisce nella selezione delle materie per la predicazione dicendo: 

  • “occorre far attenzione nello scegliere quelle che in modo speciale muovono a detestare il peccato e ad amare Dio; e, conseguentemente, bisogna parlare spessissimo dei novissimi, della morte, del giudizio, dell’inferno, del cielo e dell’eternità”; 
  • “…dell’amore che ha per noi Gesù Cristo, di quello che noi dobbiamo manifestargli e della fiducia che dobbiamo avere sempre nella sua misericordia quando vogliamo emendarci” . “Allo stesso modo (…) della fiducia che dobbiamo avere nell’intercessione della Madre di Dio”.
  • “…dei mezzi per conservarsi in grazia di Dio, come la fuga dalle occasioni pericolose e dalle cattive compagnie, la frequenza dei sacramenti…”.
  • “…delle cattive confessioni che si realizzano tacendo i peccati per vergogna”.
  • “La considerazione, inoltre, della vita dei santi –con le loro lotte e i loro atti di eroismo– ha prodotto in ogni tempo grandi frutti nelle anime cristiane. Anche oggi, minacciati da comportamenti e dottrine equivoche, i credenti hanno una speciale necessità dell’esempio di queste vite eroicamente offerte all’amore di Dio e, per Dio, agli altri uomini. […] Tutto questo è utile per l’evangelizzazione, come allo stesso modo lo è il promuovere tra i fedeli, per amore di Dio, il senso di solidarietà con tutti, lo spirito di servizio, la generosa donazione al prossimo”, ecc. 

Aggiungo una nota importante: “date le condizioni della cultura dominante, fortemente immanentista e atea, sarà sempre utile porre in rilievo, in un modo o in altro a seconda dell’auditorio, gli attributi costitutivi della vera nozione di Dio: essere supremo, unico e sommo, spirituale, trascendente e libero”. 

In qualsiasi caso, la materia scelta per la Predicazione deve condurre, direttamente o indirettamente, a che gli ascoltatori possano conoscere ed amare sempre di più la persona adorabile di Gesù Cristo. 

Senza dubbio, come già avrete sperimentato nelle vostre esperienze pastorali, questo annuncio non è che un aspetto e, in effetti, non serve a nulla l’annuncio se gli uomini non aderiscono ad esso. “Per questo, l’autentica evangelizzazione deve condurre e culminare nella degna recezione dei sacramenti, mediante i quali si comunica in modo ordinario la grazia dello Spirito Santo”. Così ce lo insegna il Magistero della Chiesa: “l’evangelizzazione non termina con la predicazione e l’insegnamento di una dottrina. Perché essa deve condurre alla vita: alla vita naturale, alla quale da un nuovo senso grazie alle prospettive evangeliche che gli apre; alla vita soprannaturale, che non è una negazione, se non purificazione ed elevazione della vita naturale. Questa vita soprannaturale trova la sua espressione viva nei sette Sacramenti e nell’ammirabile fecondità di grazia e santità che contengono”.  

Quanto finora è stato detto mette in evidenza la grande necessità della preparazione personale –spirituale e morale, certamente – ma anche la preparazione filosofica, teologica, biblica, ecc. di coloro che si preparano o già stanno esercendo il sublime compito di pastore di anime. “Oggi nel mondo moderno, così aperto alla conoscenza, non si possono permettere analisi superficiali, semplificazioni precipitate, risposte approssimative. È necessario avere una visione profonda dei problemi alla luce dell’eterna Verità, che è Cristo”. Per questo non c’è niente di meglio della Croce, che è “per noi la Cattedra suprema della verità di Dio e dell’uomo”.

*     * *

Carissimi tutti: Sicuramente oggi come ieri “l’uomo non riesce a comprendere come la morte possa essere fonte di vita e d’amore, ma Dio ha scelto per rivelare il suo disegno di salvezza precisamente ciò che la ragione considera ‘pazzia’ e ‘scandalo’”. Come diceva San Giovanni Crisostomo: “da ciò che tutto il mondo fugge, questo ci presenta il Signore come appetibile”.

Allo stesso tempo è certo che a volte il compito di annunciare il vangelo a tutte le genti sembra quasi sproporzionato in relazione alle forze umane disponibili nella Chiesa e ancor più nel nostro Istituto. Ciononostante, voglia Dio, che questo stesso sia uno stimolo per noi, affinché con uno stimolo sempre maggiore, ci dedichiamo con vigore e donazione alla sublime missione di “annunciare il Regno di Dio e di impiantare la Chiesa nel mondo”. 

Allora, facciamo nostra la petizione di San Luigi Maria e con lui preghiamo il Verbo Incarnato che faccia di noi “una compagnia di caste colombe e di aquile reali in mezzo a tanti corvi; uno sciame di api in mezzo a tanti parassiti; un branco di agili cervi in mezzo a tante tartarughe; uno squadrone di leoni valorosi in mezzo a tante timide lepri […] per formare, sotto lo stendardo della Croce, un esercito ben ordinato in battaglia e ben disposto per attaccare in modo armonico i nemici di Dio”, che non sono altro che i nemici della croce. 

Sapendo in anticipo che –come avvertiva il Beato Paolo Manna– “chiunque si dedica alla salvezza delle anime deve aspettarsi la sofferenza; con maggior ragione i missionari, che non hanno altro fine, all’infuori di dare nuovi figli a Dio, e alla Chiesa nei paesi infedeli. E i figli non nascono senza dolore. È morendo sulla croce, che Gesù ci ha generato alla vita eterna. È stato ai piedi della Croce che Maria divenne nostra Madre. Nell’ordine soprannaturale, il dolore e molte volte anche la morte, sono la causa della fecondità. Se il chicco di grano caduto i terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Per salvare occorre soffrire. I giovani aspiranti e missionari, che non comprendono questa dottrina, devono restare a casa, perché non si può essere salvatore delle anime in un altro modo”.

Che la Regina dell’Istituto, la grande evangelizzatrice della cultura, che restò salda ai piedi della croce, ci ottenga la grazia di seguire “pellegrinando in mezzo alle persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunciando la croce del Signore finché venga”. Perché, insisto, ciò che ci distingue come proprio è e sarà sempre il non ripiegarci su noi stessi, ma l’essere aperti come le braccia di Cristo sulla Croce, che nell’aprirle così tanto per amore, le aveva slogate

In Cristo, il Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre, 

P. Gustavo Nieto, IVE

Superiore Generale

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