Roma, Italia, 1° novembre 2018.
Solennità di tutti i Santi
Lettera Circolare 28/2018
“La carità è imprescindibile per evangelizzare la cultura”
Costituzioni, 174
Cari Padri, fratelli, seminaristi e novizi,
In accordo al nostro carisma di “elevare in Gesù Cristo tutto ciò che sia autenticamente umano”, il nostro apostolato deve essere quello di dedicarci “alla predicazione della Parola di Dio – più tagliente di una spada a doppio taglio – in tutte le sue forme”. E fra i numerosi esempi con i quali il diritto proprio ci illustra i mezzi attraverso cui portare a compimento la nostra missione – l’insegnamento e lo studio, le missioni popolari, gli esercizi spirituali, la formazione cristiana dei bambini e dei giovani– spiccano in modo eccelso le “opere di carità con i più bisognosi (bambini abbandonati, disabili, infermi, anziani…)”. Pertanto, possiamo dire che specialmente la carità verso i più bisognosi forma parte della nostra predicazione.
Quindi, in una società in cui la scienza e la tecnologia – in tutte le loro applicazioni – avanzano in modo sorprendente nonostante lo sviluppo socio-industriale di vari settori e sebbene perdurino povertà, dolore, infermità, sofferenza fisica e morale, mancanza di comprensione e solitudine, generando nuovi poveri, che soffrono tanto o forse più delle popolazioni rurali e urbane dei secoli scorsi, le opere di carità si rivelano un adattissimo ed efficace strumento di evangelizzazione.
Perciò ci viene comandato di “privilegiare l’attenzione ai poveri, agli infermi e ad ogni tipologia di bisognosi, visto che la carità di Cristo ci spinge, praticando concretamente la carità, come testimonianza”. In tal modo le opere di misericordia, soprattutto con i disabili, si convertono in uno degli strumenti non negoziabili aggiunti al carisma del nostro Istituto, cosa che non dobbiamo dimenticare.
Inoltre, siamo certi che – come diceva San Luigi Orione– “Oggi, la Chiesa e la società hanno bisogno di anime grandi, che amino Dio e il prossimo senza misura, e che si consacrino come vittime della carità, che in fin dei conti, è quella che può far ritornare l’uomo alla fede”. Poiché è “la carità quella che apre gli occhi della fede e, di fronte a Dio, dà fervore d’amore ai cuori”. È da qui che con incontenibile impeto le nostre Costituzioni ci esortano a questo magnifico apostolato dicendoci: “la carità, solo la carità salverà il mondo”.
Vorrei dunque, come espressione di sincero apprezzamento, dedicare queste linee a quei nostri religiosi che con gran generosità si dedicano alla difficile ed esigente missione di badare tutto il giorno e tutti i giorni ai “prediletti di Gesù” – i disabili, gli orfani, gli infermi, gli anziani, gli affamati, gli immigrati, i tribolati in ogni modo –, dando così una splendida testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini, “ad imitazione del Verbo Incarnato, il Missionario del Padre, inviato ai poveri”.
Ancor più vorrei che questa lettera circolare serva ad ispirare tutti i religiosi dell’Istituto – novizi, seminaristi, fratelli, sacerdoti – affinché, mossi dall’amore e dal sublime esempio di Cristo che ci amò fino all’estremo, vogliano impegnarsi nel regale ufficio di testimoniare fedelmente il divino Samaritano nel concreto servizio ai più poveri, abbandonati, anziani, disabili, orfani, etc. nelle diverse missioni del nostro Istituto e nelle molte altre che tuttavia ci attendono.
1. Elementi chiave
I Padri Capitolari dell’ultimo Capitolo Generale, asserendo alla grande stima con cui il diritto proprio considera i religiosi che si dedicano alle opere di misericordia, a tal punto da chiamarli “colonne dell’impegno apostolico del nostro Istituto” “per la loro superiore partecipazione e imitazione della radicalità dell’annientamento del Verbo di Dio”, riconoscevano il “bene immenso che è per l’Istituto e per i suoi membri il poterci dedicare alle opere di misericordia”.
Nonostante sia certo che sono propriamente le opere di misericordia spirituale quelle in maggior sintonia con il nostro fine specifico di evangelizzare la cultura e sono quelle che maggiormente diffondono il bene; è anche vero che ci dedichiamo alla pratica delle opere di misericordia corporale, poiché il nostro Redentore così ha fatto, dimostrando la sua dottrina compatendo l’umanità dolente. In questo senso, tanto l’una quanto l’altra “devono ben essere una preoccupazione di ogni membro dell’Istituto del Verbo Incarnato”, e dobbiamo essere persuasi che questo “continui ad essere il cammino reale per l’evangelizzazione”.
Ci aiuterà a capire il perché i religiosi dediti alle opere di misericordia sono considerati elementi chiave dell’impegno apostolico dell’Istituto ed anche a comprendere che queste “sono nel cuore dell’Istituto” il contemplare alcuni degli innumerevoli benefici dati dalle opere di carità:
a) rispetto della solidità del carisma: le opere di misericordia hanno un insostituibile valore testimoniale in ogni cultura e circostanza. Nei paesi in cui è proibita l’esplicita proclamazione del Vangelo e l’unica forma per realizzarla è la silenziosa testimonianza dei religiosi, i vantaggi sono evidenti. Di fatto, quanto ci fa riflettere, ad esempio, la testimonianza dei nostri religiosi che curano ed assistono in mille modi i bambini orfani e disabili in luoghi con maggioranza musulmana come Egitto, Betlemme e Giordania. Ma anche in quei paesi dove si può predicare con la parola, le opere di misericordia ci permettono di corroborare con le opere ciò che si annuncia. Visto che l’uomo contemporaneo, anche se è spesso condizionato dalle molteplici attrattive di una società spesso ricche ed inclini all’egoismo – e talvolta proprio per questo–, più sensibile che mai ai gesti di amore disinteressato, come testimoniano instancabilmente tutte le persone che visitano ed anche gli stessi beneficiati nelle dieci case di carità assistite dai nostri religiosi.
b) per gli stessi religiosi e, di conseguenza, per tutto l’Istituto: perché in esse [le opere di misericordia] si vive la predilezione di Gesù Cristo per i poveri e i piccoli, esse sono scuole di vita di fede per i religiosi, lì si impara la presenza e l’azione della Provvidenza Divina, nelle cose materiali e principalmente in quelle spirituali. Da esse nasce un flusso incalcolabile di beni spirituali per tutta la Famiglia Religiosa, poiché “il ministero, svolto sempre con viva fede e carità, contribuisce alla propria santificazione”, e, pertanto, i religiosi lì destinati sono guardiani di questo deposito.
Per questo motivo è un grave abuso e un’offesa alla Divina Bontà considerare il lavoro di laggiù come “un destino di categoria inferiore”, o addirittura “di castigo”. È tutto il contrario: la dedizione dei religiosi verso le persone che soffrono rende il sacerdozio e la vita religiosa credibile ed attraente. Ed è sempre fonte di conversioni, perché l’amore di Dio quando è visibile in chi serve colui che soffre, richiama l’attenzione più della sofferenza di chi patisce. Inoltre, questo apostolato è una ricca fonte di vocazioni. Perché il Signore invierà sempre qualcuno che si occupi dei suoi poveri e dei più bisognosi, sempreché li si tratti come Lui si aspetta.
In aggiunta a questi benefici dobbiamo menzionare la bella opportunità di collaborazione e lavoro in comune con le sorelle Servidoras in varie case di carità, cosa che ci permette di solidificare i lacci di unione come Famiglia Religiosa e dare una silenziosa ma eloquente testimonianza dell’amore soprannaturale che ci anima.
Conseguentemente, tutti i religiosi del nostro amato Istituto devono avere ben fisse nella nostra mente e nel nostro cuore le opere di misericordia. Cosa che si esprimerà nella concreta collaborazione che possiamo offrire nelle visite per aiutare e nell’approfittare della forte esperienza spirituale che proporziona il dedicarsi più intensamente ad esse per tempi stabiliti, per esempio, durante i periodi sabatici.
È certo che le case di carità sono luoghi privilegiati per praticare queste opere. Però la pratica della carità concreta non può ridursi solo a queste case di misericordia. La preoccupazione per praticare le opere di misericordia corporale e spirituale deve essere costante in ogni religioso, cercando il modo in cui realizzarle nella propria missione, quali nuove opere intraprendere, a quali nuovi flagelli e povertà Dio ci chiede di rispondere. Senza pretendere di occuparsi di una particolare forma di povertà che escluda le altre.
Teniamo sempre fortemente presente che “servire i poveri è un gesto di evangelizzazione, e allo stesso tempo, segno di autenticità evangelica e stimolo di conversione permanente per la vita consacrata, posto che, come dice S. Gregorio Magno, “quando uno si abbassa al più basso dei suoi prossimi, allora si eleva mirabilmente ai vertici della carità, già che, se con benignità discende all’inferiore, valorosamente ritorna al superiore”.
“Per questo si raccomanda che tutte le giurisdizioni religiose preparino i propri membri in questo tipo di opere per mostrare con l’esempio concreto ciò che si proclama con la parola. Visto che, come insegna Benedetto XVI, l’attività caritativa è parte essenziale della missione della Chiesa”.
Pertanto, specialmente i nostri seminaristi – come ci fu insegnato dagli inizi –, ma ciò vale anche per i fratelli e i novizi, “devono coltivare un amore preferenziale per i poveri, in quelli in cui Cristo si faccia presente in modo essenziale, e un amore misericordioso e pieno di compassione per i peccatori”. D’altra parte, i responsabili della formazione, devono fornire opportunità concrete e assai varie affinché i formandi si esercitino “in modo personalizzato” in un ministero così prezioso. Considerata la natura apostolica del nostro Istituto non è assurdo pensare che forse in molti luoghi le opere di misericordia saranno le principali, e a volte le uniche opere apostoliche che si potranno intraprendere.
D’altro canto, persuadiamoci tutti che l’esercizio delle opere di misericordia così inerente alla nostra missione, a volte richiede e ci fornisce un campo vastissimo per l’esercizio di molte virtù. Tra queste, in questa occasione, desidero sottolinearne solo tre: fede, carità e abbandono alla Divina Provvidenza e che sono quelle che credo debbano risaltare nella nostra attività di carità.
a) Fede: L’apostolato delle opere di misericordia, come qualsiasi altro apostolato, richiede una gran dose di fede. Una fede che seguendo la logica dell’Incarnazione, ci faccia scoprire “in ogni uomo il Verbo che per noi si fece carne”.
In effetti, chi può negare la fede che mostrano i religiosi, i quali lasciano tutto e senza mai retrocedere curano ferite purulente; che trascorrono notti intere vegliando ai piedi del letto di un bambino non cristiano; che accolgono come figli coloro che sono stati feriti dalla vita per mostrar loro l’amore di Dio; che con grande spirito soprannaturale intraprendono opere a favore dei dimenticati dalla società senza distinzione d’età o condizione (“Non chiediamo da dove vengano ma se abbiano qualche dolore”); che non misurano i mezzi per dar loro la migliore istruzione ed attenzione possibile e fanno sì che niente manchi loro, dalla medicina, alla giacca, al dolce o ad una carezza.. E tutto per l’incrollabile fede in Colui che ci ha detto: quanto avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me, perché come per loro (e come per noi), servire i bisognosi è servire Cristo nella sua carne. “Questa è la mistica ed evangelica ragione che trasfigura il volto di un povero e affamato, di un bimbo ammalato, di un lebbroso o di un infermo sul suo letto di morte, nel misterioso volto di Cristo”. Questo non lo possiamo mai perdere di vista.
Pertanto, noi dobbiamo saper vedere in ogni corpo dolorante di un infermo, negli occhi tristi di un bambino abbandonato, nelle mani stese del povero o dell’affamato, nelle lacrime della vedova o nelle pene che affliggono gli immigrati, nella paura di solitudine degli anziani, negli uomini che camminano sconcertati e dispiaciuti per le strade di grandi città l’Ecce Homo presentato davanti a Pilato e con la luce della fede saper dire: Ecco il Cristo!
San Giuseppe Benedetto Cottolengo chiamava le sue case di carità “case di fede”, lo stesso si dovrebbe dire di tutte le nostre case di misericordia.
Faccio mie le parole che San Luigi Orione indirizzava ai suoi: [mancano] sacerdoti missionari di “fede che facciano della vita un fervido apostolato in favore dei miserabili e degli oppressi, come è in tutta la vita di Cristo… di quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che diano al popolo la vita in Dio ed anche il pane. Se oggi vogliamo lavorare utilmente affinché il mondo ritorni a vedere la luce e la civiltà, ad un rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci svegli da questo sonno ‘che quasi, è più della morte’. È necessaria una grande rinascita di fede, e che fuoriescano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli di Cristo, anime vibranti di fede, quelli che suonino la carica per Iddio, i seminatori della fede! E deve essere una fede applicata alla vita. Serve spirito di fede, ardore di fede, impeto di fede; fede d’amore, carità di fede, sì, fede; sacrificio di fede!”. Chi fra di noi potrebbe leggere queste parole e non sentirle specialmente dirette a sé?!
b) Carità: come “il Vangelo si rende operante mediante la carità, che è la gloria della Chiesa e segno della sua fedeltà al Signore” il diritto proprio ci insegna che “i poveri sono Cristo: ‘rappresentano il biglietto da visita del Figlio di Dio’; i pellegrini sono Cristo: ‘li si riceva come lo stesso Cristo’; i bambini sono Cristo, chi li accoglie, accoglie me; in ogni uomo c’è ‘Gesù, nascosto nel fondo della sua anima’”.
Per noi, non potrebbe essere diversamente, “amore a Dio e amore al prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Ma entrambi derivano dall’amore di Dio, che per primo ci ha amati. In modo tale che se –mettiamo il caso– nella nostra vita omettessimo totalmente l’attenzione all’altro, volendo essere solo “pietosi” e compiere solo i “doveri religiosi”, morirebbe anche il legame con Dio. Sarebbe solo una relazione “formale”, priva d’amore. Solo la disponibilità ad aiutare il prossimo, per mostrargli amore, ci fa sensibili dinanzi a Dio”.
Pertanto, il nostro è “amare Dio manifestandolo nel concreto amore ai fratelli, dato che è l’unico mezzo possibile di amare Dio, secondo quello che ci ha insegnato Gesù Cristo, come inoltre afferma l’Apostolo: chi dice di amare Dio e non ama i suoi fratelli, costui mente”.
“Per far questo –ricorda don Orione– bisogna essere davvero ‘pieni della dolcissima carità di nostro Signore’ mediante una vita spirituale autentica e santa”. Pertanto, le nostre opere di carità non saranno mai un mero gesto filantropico, né “dovranno limitarsi ad un servizio di distribuzione meramente tecnico”, tanto meno si tratta “di una specie di attività di assistenza sociale” ma oggi e sempre devono essere espressione tangibile dell’amore provvidente di Dio. E questo è così perché “le opere senza la carità di Dio che dà loro valore davanti a Lui, non valgono nulla”. Ricordiamo qui il saggio avviso del Magistero della Chiesa del quale il diritto proprio fa suo: “Non basta dare ai poveri, ma bisogna dare se stessi” in modo da essere segno visibile di quel Dio che è amore e che ha offerto se stesso per noi.
Vorrei inoltre sottolineare qualcosa che risulta di fondamentale importanza per coloro che si spendono come missionari dedicandosi alle opere di misericordia, ed è l’esortazione paterna del diritto proprio a coltivare un amore verso il prossimo, per “poterlo servire con carità sia nell’ anima che nel corpo. In effetti, con la grazia di Dio –diceva San Camilo de Lellis– desideriamo servire gli infermi con l’affetto che una madre amorosa suole dare al suo unico figlio infermo”. Noi dovremmo avere la stessa aspirazione nei confronti di qualsiasi anima che abbia necessità. Giacché tutte le “opere di carità devono essere compiute con carità”, cioè, con dolce tenerezza, sensibilità e senza indugi.
Ora, deve essere ben compreso che “l’attenzione alle necessità degli uomini non implica abbandonare o trascurare il servizio di Dio attraverso la preghiera. È proprio la preghiera che ci permetterà di dedicarci meglio al servizio degli uomini; perché la preghiera ci permette di scoprire Dio nel prossimo”.
Per ultimo, rispetto alla carità nella pratica delle opere di misericordia raccomando vivamente la lettura o la rilettura –orante e coscienziosa– della seconda parte dell’enciclica Deus caritas est di Sua Santità Benedetto XVI che è la carta magna per coloro che sono impegnati con le opere di misericordia corporale e la cui dottrina il diritto proprio fa sua sviluppandola ampiamente nei punti 39-67 del Direttorio delle Opere di Misericordia.
c) Fiducia nella Divina Provvidenza: La visione apostolica con la quale l’Istituto assume il meraviglioso apostolato delle opere di misericordia in qualunque parte del mondo ci deve animare a intraprenderlo con gran fiducia nella Divina Providencia che nell’inviare i suoi apostoli disse non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento.
Di conseguenza, Dio sarà sempre colui che si prenderà cura dei suoi poveri..
Ricordiamoci che il nostro “è un confidare senza limiti nella Provvidenza”, il rendere “un culto incessante alla Divina Provvidenza” con la nostra vita di consacrati e missionari perché quel Padre pieno di bontà che si occupa degli uccelli e dei gigli del campo, non abbandonerà quelli che con tanta fiducia si offrono a Lui. Per questo, in tutte le nostre piccole case della carità “la Regina è [e sempre deve essere] la Divina Provvidenza che provvede a tutto il necessario e più ancora, in modo da poter fare anche l’elemosina”.
Riguardo ciò basta ripetere qui quello che insegnava il P. Luis Smiriglio, FDP, che fondò le Piccole Case della carità in Argentina e che in qualche modo racconta la nostra esperienza in una delle nostre case: “Di questo noi siamo testimoni: noi non ci impoveriamo dando a Cristo; al contrario, sia detto a maggior onore e gloria di Dio che, quanto più diamo, più avremo da dare. E questo si può verificare in qualsiasi delle Piccole Case della carità, affinché non accada in uno o un altro luogo, ma ovunque; e non è che Dio sia stato prodigo con noi solo nei tempi di abbondanza, ma sempre, costantemente: Dio è sempre pieno di bontà. Dio non si fa mai vincere in generosità. […] È un male se ripeto per l’ennesima volta che nelle Piccole Case della carità dobbiamo fuggire l’accumulo di ricchezze come la peste? È un male ripetere che, se un giorno le Piccole Case della carità dovessero essere fuse, non sarebbe a causa della povertà, ma a causa della ricchezza? Sì, proprio così: per la ricchezza, non per la povertà. Dio ci proibisce di accumulare ricchezze nelle Piccole Case della carità, sarebbe la nostra morte: non accumulare tesori sulla terra. A noi il Signore ci assegnò il compito di dare, sarebbe a dire, riservò per noi la parte migliore, perché è meglio dare che ricevere. Diamo, poi, con tutta liberalità. […] Noi possediamo il coraggio di vivere giorno come Gesù Cristo comanda: non preoccupatevi per il domani. Per mettere questo in pratica bisogna avere una grande fiducia nella Divina Provvidenza. Ebbene, se questa fiducia non l’abbiamo noi, ditemi voi, chi deve averla?”.
Come corollario di queste tre virtù deve risplendere in tutte le nostre opere di carità una grande allegria soprannaturale. Anzitutto, nei religiosi impegnati in esse, perché vi è più gioia nel dare che nel ricevere e qui pratica la misericordia, lo faccia con allegria come “allegro sacrificio per ottenere l’intima unione con Dio”. E anche in coloro che sono favoriti, sperimentando che sono amati da Dio attraverso il religioso che li aiuta, che si prende cura di loro, che li ascolta e li accompagna; Perché sentirsi amati produce sempre conforto e gioia. Che le nostre case siano sempre un faro che irradia allegria!
2. I nostri benefattori
Come detto all’inizio, tutte le nostre opere si fondano nella fiducia illimitata nella Divina Provvidenza, che comporta, tra le altre cose, il chiedere l’elemosina. Questo è lo spirito a cui noi siamo legati e così vogliamo continuare a fare a causa dell’importante valore apostolico che la testimonianza della povertà comporta. Perché a noi religiosi ci aiuta vivere in attesa, questo dipendere totalmente dalla Divina Providencia, e a pregare specificamente per coloro che ci aiutano.
Questo ci ha permesso di entrare in contatto con innumerevoli anime che generosamente hanno contribuito e contribuiscono in mille modi ad aiutarci nelle nostre opere di carità. In verità, essi sono per noi “la banca e le mani generose della Divina Provvidenza”.
Per tanto, non possiamo parlare delle opere di misericordia che realizza l’Istituto senza menzionare i benefattori delle stesse. La Divina Provvidenza ci ha benedetti in tutto il mondo con una grande quantità di anime che testimoniando l’allegria che vi è nel dare, sono state e sono tutt’ora molto prodighi con i preferiti del Cuore di Gesù: i poveri e i religiosi. A tutti loro dobbiamo essere molto grati nel tempo e nell’eternità per una così grande carità.
Oggi, ciò nonostante, vorrei menzionare brevemente un aspetto che forse è poco contemplato nelle opere di misericordia, e che riguarda il grande beneficio che porta con sé l’elemosina che per amor di Dio è data ai poveri, per la stessa persona che la fa.
Il nostro caro San Giovanni Paolo ІІ scrisse: L’amore misericordioso, nei rapporti reciproci tra gli uomini, non è mai un atto o un processo unilaterale. Perfino nei casi in cui tutto sembrerebbe indicare che soltanto una parte sia quella che dona ed offre, e l’altra quella che soltanto riceve e prende (ad esempio, nel caso del medico che cura, del maestro che insegna, dei genitori che mantengono ed educano i figli, del benefattore che soccorre i bisognosi), in verità tuttavia anche colui che dona viene sempre beneficato.” Giacché colui che fa l’elemosina (che pratica un’opera di misericordia) sperimenta nello stesso tempo la misericordia di chi l’accetta.
“Dio ama i poveri –dice San Vincenzo de Paoli– e, ugualmente, ama anche coloro che amano i poveri, come quando qualcuno ha un affetto speciale per una persona e estende questo affetto a coloro che danno a quella persona manifestazioni di amicizia o di servizio”. E per questo chi ha misericordia con i poveri deve avere la ferma speranza che Dio abbia misericordia con Lui, per l’attenzione ai poveri. Da questo segue che le opere di misericordia siano la seconda tavola di salvezza per coloro che hanno peccato dopo il battesimo; giacché le opere di misericordia fatte per amore di Dio, cancellano i peccati e purificano l’anima.
Per questo San Giovanni Battista della Concezione diceva che “un pezzo di pane (dato ai poveri) non vale meno che il cielo, e con il cielo si paga in questa vita e nell’altra”. E procedendo così, il nostro buon Dio rende “agenti del suo cielo e delle sue proprietà i poveri”. Dopo di che il santo sostiene: “Questo Dio vuole ed è per questo che li ha messi [i suoi beni e lo stesso regno dei cieli] in pessime mani, perché lo diano a buon mercato e lo gettino per strada e nelle case dei ricchi e dei potenti”.
La nostra vita di povertà e il fatto che le nostre opere di misericordia siano povere e dipendano interamente dalla Divina Provvidenza è un grande beneficio per i ricchi; perché in noi e nelle nostre opere di carità possono trovare i mezzi che li porteranno al possesso del Bene massimo che è Dio nostro Signore. Per questo dice la Sacra Scrittura: L’uomo misericordioso fa bene a sé stesso, ma chi è duro di cuore tormenta la sua stessa carne.
Questa è la visione soprannaturale che dobbiamo avere e che dobbiamo saper trasmettere ai nostri benefattori e volontari, e di cui noi stessi dobbiamo essere convinti, in modo che non si lasci passare, tanto meno scartare, la preziosa opportunità di soccorrere i poveri, qualunque sia la necessità.
Questo richiede che noi, mossi da gran carità apostolica, impariamo ad associare ai piani della Provvidenza molte più anime dando loro l’opportunità di praticare l’elemosina. “La carità ha riserve che i calcoli umani non conoscono”, diceva Don Orione. Quindi, è anche nostro obiettivo aprire sempre di più le porte alle persone che ne hanno bisogno; e occupare molte mani e ricorrere a molte più anime generose che donino il loro tempo, i loro talenti e il loro credito per collaborare nelle opere caritative dell’Istituto. In altre parole, si tratta di ampliare il circolo del bene, perché la carità è diffusiva.
Molti di voi avranno costatato l’immenso bene che fa ai giovani, ai professionisti, ai più abbienti, quando in qualche modo sono fatti partecipi di una magnifica opera di misericordia, come sono quelle delle nostre case. Bene, questo stesso, è già un gran apostolato che, grazie ai rapporti che si stabiliscono con i benefattori, continua dandoci numerose occasioni di avvicinarli a Dio, di istruirli, di procurargli il bene spirituale. Sono moltissimi i casi di persone che attraverso la collaborazione diretta o indiretta (attraverso le donazioni) con le nostre opere di carità hanno potuto riprendersi da profonde tristezze, si sono convertite alla fede, hanno riscoperto la loro vocazione, e in non pochi casi, hanno fatto riparazione per qualche colpa e sono ritornati sulla retta via.
Il Verbo Incarnato ci dice: i poveri li avrete sempre con voi. Per tanto, le opere di carità saranno sempre necessarie. Impegniamoci dunque nel dare a molte più anime l’opportunità di essere persone attraverso le quali il Signore risolleva il povero dalla miseria e dona con larghezza ai poveri .
Da parte nostra sarà sempre nostra obbligazione “l’occuparci con attenzione dei benefattori, pregare per loro, e fargli conoscere l’opera che si realizza con la loro collaborazione”. E qualunque sia il contributo che possono offrirci, dobbiamo renderli tutti oggetto dello stesso titolo di fervida gratitudine, senza mai essere tributari.
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Cari fratelli, desidero animarvi affinché continuiate con grande zelo e magnanimità la preziosa opera di carità che realizzate.
In verità, la situazione di tanti uomini, donne, giovani e bambini che soffrono il dolore, la fame, la solitudine, la povertà materiale, ecc. non può lasciarci indifferenti, né può essere qualcosa che si possa trascurare, tanto meno considerare come alcunché di scomodo o superiore alle nostre possibilità di assistenza sollecitata. Dobbiamo essere come il Buon Samaritano che si ferma davanti alla sofferenza di un altro uomo di qualsiasi genere essa sia ed esse compassionevoli; non solo quando è emozionalmente confortante o conveniente, ma anche quando è esigente e sconveniente.
Non diminuiamo ne interrompiamo mai i nostri sforzi nel lavorare per il bene integrale dell’uomo, mostrandogli la sua natura, la sua dignità, la sua vocazione, i suoi diritti inalienabili, la sua libertà, il suo destino eterno, raggiungendo così la meta della fede e conseguendo così la salvezza delle anime.
Animo! “A lavorare con umiltà, con semplicità e fede, e poi avanti nel Signore, senza turbarci mai. Solo Dio è colui che conosce le ore e i momenti delle sue opere e ha tutto e tutti nelle sue mani! Andiamo avanti con fede vivissima, con totale e filiale fiducia nel Signore e nella Chiesa”.
E, parafrasando quello che il Santo della Provvidenza diceva ad un amico, vorrei dirvi: “Mantenetevi di buon animo, di buon animo sempre. Perché all’uomo allegro il cielo lo aiuta”. Possono mancarci molti beni in questa vita, ma dentro di noi abbiamo un bene che sorpassa tutti i beni possibili: Dio, ed è Lui che può darci un’allegria incalcolabile. Tutto dipende dalla fede, dagli atti di fede viva, da una speranza solida, da un’ardente carità.
La Vergine Santissima, Madre della Divina Provvidenza, si prenda molta cura di Voi e vi faccia sperimentare –anche sensibilmente– il suo amore materno che dispone e provvede tutto con affetto provvidente per il bene dei suoi amati figli.
Ave Maria e avanti!
Buona festa di tutti i santi!
Un forte abbraccio a tutti, nel Verbo Incarnato,
P. Gustavo Nieto, IVE
Superiore Generale